Giono, un pacifista nella fucina del diavolo di Carlo Grande

Giono, un pacifista nella fucina del diavolo Le lettere inedite dal fronte rivelano un lato sconosciuto: patriota-donnaiolo per sopravvivere alla Grande guerra Giono, un pacifista nella fucina del diavolo NMANOSQTJE (Provenza) ON temete, sto benissimo, fa bello, siamo felici come I uccelli, cantiamo e ridiamo, fumiamo come svizzeri, beviamo come spugne e le ragazze non mancano: come si dice? "Agne lou, ventre tendu"», ovvero, dove ci sono pecore, i lupi hanno la pancia piena. Suonano così molte delle 500 lettere che Jean Giono scrisse dal fronte ai genitori, dipingendosi come un soldato che ha fatto la guerra del '15-'18 «da turista», lontano dalla prima linea, grasso, riposato. I documenti, per lo più inediti e raccolti dalla figlia Sylvie, compaiono nella mostra «Jean Giono, conscrit de la Grande Guerre», a cura dell'associazione Ricerche storiche di Manosque nella città natale dell'autore dell'Ussaro. In molte pagine si stenta a intuire il futuro anarchico e pacifista, il lirico e panteista che con grande anticipo sui tempi toccò temi attuali come l'ecologia, la ribellione ai bisogni artificiali del consumismo, l'oppressione della civiltà di massa e la retorica della «patria». Giono alla Grande Guerra - 46 mesi di servizio, dal dicembre 1915 all'ottobre 1919 - è un ventenne che legge Stendhal e scrive poemetti contro il nemico. Ma anche patriota e un po' sciovinista, nei confronti di inglesi e americani. Come nella lettera del 23 maggio 1918: «I tedeschi, malgrado tutte le loro rodomontate, non passeranno in alcun punto in cui ci sono dei francesi. La sola cosa inquietante è che passeranno ovunque non ci sono dei francesi». Quasi cinico, il 30 settembre 1917: «Abbiamo avuto l'onore di collaborare all'atterraggio di un superbo aereo boche ("crucco", ndr) a 500 metri da noi, Abbiamo assistito all'agonia dei due piloti boches, schiacciati sotto il motore. Eravamo febei di vedere morire i due boches perché ci bombardavano da tutta la matti na». Giono alla guerra, nella fucina del diavolo che fabbrica morti e pacifisti, vuole rassicurare gli àrìziani genitori e riscattare freddo, fame malattie. Si dichiara contento di un sigaro e un pezzo di salsiccia, corteggia le ragazze. Il 6 aprile 1917 accenna all'avventura con la «pic¬ cola Charlotte» di Noyon, il 10 dello stesso mese - ma un anno dopo racconta la proposta di matrimonio di Rachel: «Ha vent'anni, è ebrea, ha una dote di 20 mila franchi. L'ho fatta correre». Scherza con il fuoco: «Abbiamo ordinato al corriere una "bomba" a base di torrone e toma»; «Contro le pulci non usiamo gas, andiamo all'arma bianca: nudi fino alla cintola, le schiacciamo con le unghie». La realtà sta scritta nei bollettini di guerra del 140° reggimento: «Il morale dei fanti non è dei più brillanti», si legge. E lo scenario è di boschi e uomini cancellati da bombardamenti, iprite e lanciafiamme. Giono, che rimarrà ferito alla testa da un obice e leso agli occhi dai gas, solo una volta dichiara la sua paura: «Mi affido alle braccia della Provvidenza per scampare alla catastrofe. Le sono di fianco, mio caro papà. La vedo là in basso, ma non ci sono ancora dentro». Proprio in quei mesi, però, metteranno radici il suo pacifismo incondizionato e il rifiuto di impegnarsi politicamente nella 2a guerra mondiale, che insieme con l'angusta etichetta di scrittore regionalista gli costeranno l'ostracismo e nel '39 e '45 addirittura l'arresto «per aver collaborato con il regime filo-nazista di Vichy». Fu liberato grazie all'intervento di André Gide e, pare, della regina madre del Belgio. Pierre Citron - che nel '95, a cento anni dalla nascita, gh ha dedicato una biografia {Giono, Seuil) - parla di un gigantesco equivoco. E' nei suoi scritti letterati, oggi finalmente rivalutati in Francia e scoperti in Italia (Guanda,. dopo L'Ussaro sul tetto, ha appena pubblicato Un re senza distrazioni, Sellerio La fine degli eroi), che bisogna cercare il teorico dell'obiezione di coscienza e dello sciopero («per affamare il Parlamento e gli Stati Maggiori»), colui che strappava manifesti di chiamata alle armi: «Io - scrive in Jean le Bleu - quando ve do un fiume dico "fiume"; quando vedo un albero dico "albero"; non dico mai "Francia"». «Sono stato a Verdun, sulla Somme, nella macelleria in pieno sole degli attacchi Ni velie, al Chemin des Dames», si leg ge in opere come Le Grand Trou peau e negli Ecrits pacifistes (Galli mard). E ancora: «Non riesco a di¬ menticare la guerra. Vorrei. A volte passo due o tre giorni senza pensarci, poi bruscamente la rivedo, la sento, l'ascolto, la subisco ancora. E ho paura. Questa sera, alla fine di un bel giorno di luglio, la pianura sotto di me è diventata tutta rossa. Vanno a tagliare il grano. L'aria, il cielo e la terra sono immobiU e calmi. Sono passati vent'anni, e malgrado la vita, il dolore e la gioia, non mi sono ancora purificato dalla guerra. L'orrore di quei quattro anni è ancora in me. Mi ha marcato. Tutti i sopravvissuti ne portano il marchio». Carlo Grande Jean Giono, conscrit de la Grande Guerre. Centra Giono di Manosque (bd E. Bourges I). Fino alla fine di marzo. Orari: da martedì al sabato, 9-12 e 14-18. Ingresso: 20.50 franchi.

Luoghi citati: Belgio, Francia, Guanda, Italia, Provenza, Verdun