BEAT una rivoluzione per capello

BEAT una rivoluzione per capello Si riscopre il movimento degli «zazzeruti» che scandalizzò l'Italia borghese e fu cancellato dal '68 BEAT una rivoluzione per capello SESTIAMO di bianco una città nera». «Non abbiamo ideologie, abbiamo metodi». Non amano le etichette politiche, sono pacifisti, protestano contro la logica degli schieramenti, mettono al primo posto la lotta contro il pericolo nucleare, sono insofferenti del cupo grigiore delle città moderne e si riuniscono a Milano e a Roma in sparuti gruppetti. Sono i «capelloni», i ragazzi che a metà degli Anni Sessanta hanno 15-18 anni e si rivoltano contro il mondo dei genitori, prediligono le fogge trasandate, si schierano per il libero amore e adottano come numi tutelari non più angeli maledetti p galla James Dean ma poeti scrittori vagabondi come Kerouac, Ginsberg, Ferlinghetti, Corso. Hanno deciso di far sentire la propria protesta. E' il novembre 1966 quando nasce il primo giornale underground italiano, Mondo Beat, oggi completamente dimenticato. La rivistina, che adesso riappare a cura di Gianni De Martino e Marco Grispigni, I capelloni. Mondo Beat, 1966-67. Storia, immagini, documenti (Castelvecchi Editore) è la prima voce della controcultura italiana, che anticipa il '68 e molte delle battaglie politiche degli Anni Settanta. Durerà in tutto nove mesi e termià i i nerà - non a caso - quasi in coincidenza con le prime occupazioni studentesche delle università. I primi due numeri di Mondo Beat vengono ciclostilati da un personaggio destinato con la sua tragica fine a segnare al storia d'Italia: è l'anarchico Giuseppe Pinelli, che insegna i rudimenti della stampa ai direttori di Mondo Beat, prima a Vittorio Di Russo e poi a Melchiorre Gerbino. E' una storia ancora tutta da riscoprire quella degli «zazzeruti» e della loro rivista-manifesto che vuole aggredire con le armi della satira e dell'ironia. I capelloni si ritrovano a Milano nei pressi di piazza del Duomo o a Roma, con collanine e chitarre, sulle scalinate di Trinità dei Monti dove bivaccano alla maniera degli hippies d'oltreoceano e sognano la creazione di un universo alternativo a quello opprimente delle «3M» (moglie, mestiere, macchina). A questo scopo nel capoluogo lombardo attuano un primo esperimento di vita collettiva in un campeggio a via Ripamonti, ribattezzato dalla stampa «Barbonia City», che poi verrà fatto sgomberare dalla polizia: i giornali dal Corriere della Sera alla Notte attaccano le manifestazioni dei «ragazzi yè-yè» e delle loro ninfette che paragonano a clochard e vagabondi. Gli obiettivi per cui si battono questi apripista della protesta civile, che tracciano la strada a Marco Pannella, sono la liberalizzazione delle droghe, la pratica della non violenza, l'antimilitarismo. I beat si manten gono equidistanti dalle due superpotenze: Andrea Valcarenghi, futuro fondatore della rivi sta Re Nudo, prende posizione contro l'invasione del Vietnam ed è contro gli Stati Uniti ed anche contro l'Unione Sovietica. Altre bandiere che la rivista sventola sono la lotta per il divorzio, la pillola, la libertà in tutti i campi. Ai gruppetti iniziali composti da ragazzi milanesi e romani che studiano e provengono da famiglie borghesi e si riempiono la bocca con citazioni da L incubo ad aria condizionata di Henry Miller o da Urlo di Ginsberg si aggiungono nuovi elementi: giovani operai, disoccupati del Meridione che non hanno nessuna cultura e scelgono nomi di battaglia esemplari che vanno da «Roccia» a «Gesù», «Cristo», «Pasticca», «Zafferano», «Nino il fascista», «Scheletrino». A Milano i beatnik si incatenano ai monumenti o sfilano per le strade con slogan che oggi fanno sorridere, come «W la mamma» oppure «Il presidente Moro è carino e fa abbastanza bene alla salute». Ma tutto l'atteggiamento dei provocatori all'epoca era considerato un sonoro ceffone alla morale consolidata. Il primo numero a stampa di Mondo Beat del 1967 viene fatto sequestrare dalla procura della Repubblica di Milano per «oltraggio al comune senso del pudore». Non mancano gli intellettuali che vogliono capire le ragioni della rabbia di questi capelluti oppositori, da Fernanda Pivano a Pier Aldo Rovatti, che scendono in campo per offrire la propria solidarietà. La carta e la stampa dell'ultimo numero di Mondo Beat verranno fornite da Giangiacomo Feltrinelli, che in un articolo firmato Gigi Effe invita a schierarsi dalla parte di «questi giovani ribelli», inventori di «una nuova forma di scio- pero permanente dimostrativo». Ricorda De Martino, uno degli animatori di Mondo Beat, che Feltrinelli voleva sviluppare un parallelo tra i tupamaros e la loro esperienza di protesta metropolitana, ma che fu subito ostacolato e duramente criticato nel suo progetto. Verso la metà del '67 la rivista Mondo Beat sembrò perdere la sua ragione di esistere: Adriano Celentano nella sua ultima canzone gorgheggiava: «Un passo avanti due indietro, il mondo beat morirààà». Ed era vero: gli zazzeruti teorici della non violenza, sbaraccati dalle loro sedi dai celerini, muniti di foglio di via, si disperderanno alla ricerca di una nuova spiritualità e di nuove frontiere, chi in India e chi in Marocco. Mirella Serri Lottavano per la libertà tra droga, sesso, non violenza Un raduno di capelloni. Castelvecchi ripubblica un'antologia di «Mondo Beat», il primo giornale undeground italiano uscito tra il '66 e il '67 Da sinistra, Walter Veltroni in versione «capellona», il cantante Antoine e Alien Ginsberg