Arbore finisce all'inferno per un caffè di Marinella Venegoni

Arbore finisce all'inferno per un caffè «Sono partito da un'idea che mi ha sempre affascinato, l'aldilà. Altrimenti non avrei fatto il "Giudizio Universale" con Benigni» Arbore finisce all'inferno per un caffè Spot della Segafredo sfida quello paradisiaco della Lavazza ROMA. Sarà meglio l'ormai familiare aroma del paradiso o quello dell'inferno, appena spuntato a confonderci le idee sui teleschermi in uno spot di marca Arbore? Da anni, la pubblicità televisiva Lavazza ci racconta di caffè paradisiaci fra nuvole bianche e su uno sfondo cilestrino; Tullio Solenghi e Riccardo Garrone nei panni di San Pietro erano diventati referenti imprescindibili. Tanto imprescindibili, forse, da costringere la concorrenza più agguerrita a scendere in campo con un linguaggio altrettanto efficace. Anzi, intenzionalmente contrapposto. Così da ieri, nella pubblicità tv, all'azzurro del cielo Lavazza fa da contraltare il rosso Segafredo. Un mefistofelico Arbore che aveva mandato all'inferno un taxista (naturalmente americano) viene preso sul serio e catapultato agli inferi, in mezzo ai dannati, a cui viene concesso dal diavolo in persona un break dalla pena: il tempo necessario per un caffè. Battutine Arboriane («specialità della casa? Pollo alla diavola»), cori napoletani («Ma che caldo che fa, acca aria fresca min ce sta»). Al telefono Renzo Arbore ci racconta la filosofia di questa nuova avventura. Arbore, perché si è infilato nella guerra dei caffè? «Ma che guerra dei caffè. Questo è quello che sembra, l'abbiamo anche calcolato, ma non potevamo autolimitarci. Quindi ci siamo buttati sull'idea dell'inferno, pur sa¬ pendo che fa da contraltare allo spot di un'altra ditta gloriosa. Certo, si tratta di due posti molto diversi». Che idea c'è, allora, dietro lo spot dell'inferno? «Abbiamo ragionato su un concetto che mi ha sempre affascinato, l'aldilà. Non dimentichi che io ho fatto il Papocchio, e il Giudizio Universale con Benigni. Siamo partiti da quel caposaldo della comicità mia e di Boncompagni che è stato "Helzapoppin", pietra miliare della comicità surreale. Sono sempre stato attratto dalle cose sconosciute: e cosa c'è di più sconosciuto dell'inferno?». Gli spot sono molto arboriani. «Sono le mie tematica di sempre. Sono un po' americani. C'è il cappello caratteristico, e c'è il ricordo di Gianni e Pinotto; c'è anche una citazione di "Totò all'inferno"». Sarà anche una guerra ideologica, inferno contro paradiso? «Siamo partiti da idee che consentissero lo sviluppo della fantasia: razzolare nell'inconsueto era un mio vecchio slogan. L'inferno è un posto anche d'attualità, non è che oggi si viva così bene: il nostro non è un inferno come posto di piaceri, ma ci si soffre davvero e si espiano le cosiddette pene dell'inferno. L'unico conforto è un caffè, e lì viene bello caldo». Progetti, programmi? «Sto occupandomi dei programmi di Rai International. Curo "E' domenica, risponde Arbore", 20 minuti dedicati ad amici lontani e lontanissimi. Intanto ho appena cominciato ad incidere un disco nuovo con l'Orchestra Italiana, un po' napoletano e un po' no. E poi sto rinnovando gUmtendimenti. Non mi chieda però se terno in televisione, per favore». Invece di far programmi, si sfoga con gli spot. «Mi hanno sempre portato fortuna. Li faccio con passione, come un'operina. Mi piaceva anche molto l'altro della Segafredo, quello di "E' nato prima l'uovo o la gallina?", dove facevo l'intrattenitore pirla con otto o nove prototipi di personaggi, ispirato al salotto di Costanzo». Marinella Venegoni Il nuovo spot della Segafredo ideato da Arbore Lo spot concorrente del caffè Lavazza

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