Le piccole risse che uccidono la pace

Le piccole risse che uccidono la pace I DUELLANTI DEL LIKUD Le piccole risse che uccidono la pace Vecchi odi, strategie elettorali: una crisi pericolosa PER sei volte David Levy aveva minacciato le dimissioni in quest'anno e mezzo di governo Netanyahu. E venerdì scorso tutti i giornali locali avevano sogghignato: ecco un nuovo «al lupo al lupo» del pomposo capo dei sefarditi la cui influenza etnica e cultural-religiosa è molto più grande dei cinque deputati del Gesher, il suo partito, secessionista dal Likud. E invece, anche se Bibi fa mostra di grande sicurezza di sé, anche se ha già detto che pensa di poter recuperare la situazione, pure Levy ci è finalmente riuscito: ha sempre desiderato tanto, infatti, metterlo nei guai. Per due giorni, durante il weekend nella sua villetta fra l'arabo e il brianzolo a Beit Shean, un paesino del Nord, Levy si è isolato perfino dalla sua famiglia patriarcale per vedere se alla fine il lupo era pronto ad azzannare. E almeno per ora ha deciso di sì. Probabilmente se la stampa non 10 avesse preso tanto in giro, almeno uno degli elementi della sua decisione non sarebbe lievitato, ovvero, la sua antica, ricambiata rabbiosa antipatia per Bibi. L'odio è noto da quando Bibi era 11 vice di Levy, allora ministro degli Esteri, durante la crisi del Golfo; il capo escludeva regolarmente il suo vice da ogni contatto politico con gli Stati Uniti, invidioso dell'ottimo inglese di Bibi. E l'antipatia raggiunse toni paradossali quando nel '93 Netanyahu accusò Levy di aver cercato addirittura di ricattarlo con una cassetta che lo filmava durante un tradimento amoroso; pochi mesi dopo Bibi battè Levy alle «primarie» del Likud. Da quando Netanyahu è primo ministro, Levy, ministro degli Esteri in virtù del suo potere fra gli israeliani di origine marocchina, ha spinto a forza dentro il governo Ariel Sharon che Netanyahu cercava di tener fuori a tutti i costi; e poi con notevoli capacità equili- bristiche, si è fatto, di fronte al mondo, l'oppositore più duro di Netanyahu quanto al processo di pace: ha infatti rifiutato di accompagnarlo all'ultimo incontro con il segretario di Stato americano Madaleine Albright, ritenendo troppo deboli le promesse di procedere al secondo ritiro dalla West Bank. Adesso Levy gioca su due tavoli, che dovrebbero catturargli sia il consenso interno, sia quello internazionale: il secondo è appunto quello di presentarsi come il campione di pace in campo mo- derato; il primo, invece, è quello delle dimissioni nel corso della discussione sul bilancio, con posizioni di battagha in favore dei diseredati, per cui chiede un impegno economico molto maggiore. Tutti e due questi spunti danno a Levy la possibilità, in caso si vada a elezioni anticipate (e non a un rimpasto, perché è piuttosto improbabile che 80 deputati su 120 votino per l'empeachment di Netanyahu, come richiesto dalla legge), di essere il candidate ideale perire "ventua- le governo di coalizione. Ma Levy giura, e con lui il capo del Labor, Yehud Barak, che non c'è stato il minimo accordo. E' chiaro, tuttavia, che andare alle elezioni è il vero scopo di Levy, anche perché far fuori Netanyahu è un gesto che può procurargli consensi senza fine, da Clinton agli uomini del Likud. Ma i cinque voti contrari del partito Gesher non bastano a far cadere il governo. Netanyahu dispone ancora di 63 voti: ma la destra estrema gli si può facilmente rivoltare contro solo che Bibi, com'è intenzionato a fa¬ re, proceda allo sgombero dei territori; e se Netanyahu, invece, si sposta a destra, allora sarà il partito «la terza via» che sostiene gli accordi di Oslo, a ritirargli i suoi voti. Insomma, senza Levy il governo resta comunque uno sgabello senza una gamba. A Bibi resta la possibilità di convincere Levy ad accettare qualche bel regalo. Oppure di contare sulla schiera dei deputati della coalizione che non sono sicuri si essere rieletti. E si può giurare che sta anche già pensando, in ogni caso, a come gestire la sua immagine nell'eventualità di elezioni nella primavera prossima: è quasi certo che Bibi pensa a disegnarsi presentandosi come un campione tradito, che ha osato andare contro tutto il mondo, contro Clinton, contro la simpatia di mezzo Israele, e di tutta Europa, contro i suoi amici di partito stessi per difendere l'idea della «pace nella sicurezza» nella lotta contro il terrorismo. E che Barak, il capo dell'opposizione, anche se già annuncia a tutti quanti la prossima vittoria, non è tuttavia un personaggio forte. Insomma, Levy ha aperto un capitolo certo molto eccitante, ma alquanto incerto. Una delle vittime della sua mossa potrebbe essere persino l'intero fragile tentativo di rimobUitare rapidamente il processo di pace: da qui a due settimane infatti erano fissati gli appuntamenti di Clinton sia con Netanyahu che con Arafat. Clinton era stato a lungo riottoso di fronte alla richiesta della Allbright di procedere con decisione, e a malapena aveva accettato questo incontro. Per ora, comunque, Bibi dice di esser pronto a partire come da programma. Ma solo da stasera sapremo (forse) se i programmi sono sempre gli stessi, o devono tutti essere riscritti da capo. Fiamma Nirenstein BIBI, TI ACCUSO «Nel programma del governo non sono state stanziate somme per venire incontro ai problemi delle classi più povere, mentre tondi consistenti sono andati agli insediamenti dei coloni». «Il processo di pace sta scricchiolando perché nel governo c'è chi tenta solo di guadagnare tempo e non mettersi in prima fila per mandare avanti la trattativa». «L'approccio deve invece essere un altro: ci sono persone che hanno preso impegni, impegni che non sono stati assunti dal governo precedente ma da questo in carica. Esse pensano che si possa guadagnare ancora una settimana, ancora un mese, e non cercano piuttosto di fare in modo che l'iniziativa nel processo di pace sia nelle nostre mani». «Potremmo per questo trovarci, Dio non voglia, nelle veste di colui a cui sono imposte condizioni». L'ex ministro del Ghesher si è isolato per due giorni nella sua villa per decidere se era il momento di colpire Il ministro degli Esteri David Levy (a sinistra) insieme con il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. In basso il leader laborista Barak

Luoghi citati: Adesso Levy, Europa, Israele, Ma Levy, Oslo, Stati Uniti