«Squilibrio tra accusa e difesa»

«Squilibrio tra accusa e difesa» «Squilibrio tra accusa e difesa» Capellini: ecco come mi trattò l'ex pm R: MILANO OBERTO Capellini, se lo ricorda Di Pietro quando faceva il magistrato? «Me lo ricordo sì, me lo ricordo a San Vittore subito dopo l'arresto. Era scatenato, urlava. Continuava a ripetere: "Parla, parla che se no non esci più". Diceva che era sulle tracce dei conti svizzeri del pei e del pds, che era cosa fatta. E io gli rispondevo: "Ma quali conti svizzeri? Guardi che noi siamo il pds..."». Lei nel '92 era il segretario cittadino della Quercia Fu tra i primi a fmire in carcere nell'inchiesta tangenti rosse... " «Arrestarono me, Greganti, Fredda. Di Pietro e il giudice Italo Ghitti dicevano che il partito aveva i conti in Svizzera come il psi, la de, come tutti gli altri partiti. Ma noi eravamo un'altra cosa». Le fecero «tintinnare le manette davanti», come dice il presidente Scalfaro? «Non sono quelle, le coso peggiori. La cosa peggiore era vedere lo squilibrio tra accusa e difesa. Come i magistrati non ammettessero verità diverse dalla loro, come fossero convinti che il partito avesse i conti in Svizzera». Però lei qualcosa ha ammesso, di quelle accuse. Vero? «Un attimo. Io ho ammesso di aver raccolto soldi per il partito, ho patteggiato e sono stato condannato con la condizionale. Ma c'è una bella differenza fra le tangenti e i finanziamenti illeciti, tra le bustarelle e le sottoscrizioni all'Unità che chiedevamo ai cantanti che venivano alle nostre feste e che poi non venivano dichiarate. Mi sembra che si sia capito, che non tutti i politici rubavano». Lei è stato arrestato due volte, nel '92 e ancora nel settembre'93... «Quattro giorni prima del secondo arresto andai a palazzo di giustizia con i miei avvocati.. Chiesi di poter incontrare Di Pietro. Mi fece rispondere di non avere tempo. Il giorno dell'arresto, a San Vittore, gli dissi: "Che bisogno c'era? Ho ammesso la prima volta, ho spie¬ gato che non sapevo la provenienza dei soldi, quindi non potevo sapere se arrivavano dalla Metropolitana o da Linate. Ho spiegato che, essendomi autosospeso, non avrei potuto ripetere i reati. In più negli ultimi dodici mesi non avevo lasciato l'Italia"». E Di Pietro? «Continuava a ripetere che se non saltavano fuori i conti svizzeri, non sarei più uscito dal carcere. C'era solo quella sua verità, non ammetteva che si potesse fare la politica in altro modo, che in 20 anni di partito non avevo mai sentito parlare di conti all'estero, che io a pranzo mangiavo panini e non andavo al Savini. Non è vero che tutti i partiti erano uguali, che erano tutti dentro lo stesso sistema. Io, alla prima della Scala non sono mai andato, le mie frequentazioni...». Prego. «Io non sono mai andato a giocare i cavalli e nessuno mi ha mai prestato 100 milioni, una Mercedes o i telefonini», Però allora il suo partito era in prima fila davanti a palazzo di giustizia. Si ricorda quando il pds scendeva in piazza con i palloncini a fianco dei giudici di Mani pulite? «Sì, ma poi preferisco ricordare quandi, dopo il mio arresto, Massimo D'Alema disse: "Siamo tutti corresponsabili con Capellini". Perché non si può, come hanno fatto certi magistrati, scoprire solo nel '92 che c'erano rapporti tra il partito e la Lega delle cooperative. Perché non si può mettere tutto insieme, partiti che hanno commesso errori con politici che si sono arricchiti personalmente. C'è una differenza enorme». Si torna a parlare di amnistia, di uscita da Tangentopoli. E' d'accordo? «Certi processi sono ancora in corso, un'amnistia generalizzata cancellerebbe tutto. Non voglio andare nel mazzo con chi ha avuto ben altre responsabilità. All'inizio dicevano che gli unici puliti erano gli industriali, poi gli avvocati, infine i magistrati e guardiamo cosa è successo. La politica è arretrata troppo, in questi anni». Che fa, vuole ancora occuparsi di politica? «Adesso sono un dirigente d'azienda ma penso sia giusto rimettersi a far politica nel partito». Fabio Potetti Roberto Capellini ex segretario del pds di Milano

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