Una battaglia prima dello sbarco

Una battaglia prima dello sbarco Ricostruite le drammatiche fasi che hanno preceduto l'arrivo della nave a Otranto: dietro i viaggi un patto tra mafie Una battaglia prima dello sbarco Molotov dei clandestini contro un clan albanese OTRANTO DAL NOSTRO INVIATO Estate. A Urfa, città di echi sinistri per gli armeni d'inizio secolo, come per i curdi di oggi, qualcuno ride. E' Bilal, 29 anni, muratore, che quella città di echi sinistri sta per abbandonare. Anche nel più lontano villaggio turco, siriano, egiziano, e di altre decine di Paesi d'Oriente, esiste un uomo delegato a fare da ponte tra inferno e paradiso, fra Terzo Mondo e Europa. L'uomo di Bilal si chiama Abd ar-Rahman Aslan. La famiglia di Bilal si è già rivolta a lui in passato per giungere in Germania. Ora tocca a Bilal. Seimila marchi, bocca cucita e nessuna fretta sono le condizioni poste da Abd ar-Rahman. Bilal le accetta tutte. Da quel momento diventa, sapendo di diventarlo, una briciola umana nella ragnatela di interessi con diramazioni estese per migliaia di chilometri, in grado di traghettare Bilal, e chiun que altro ne abbia bisogno, dall'inferno al paradiso. «Mafia turca» la definisce senza alcun problema Bilal. Istanbul ne è il centro operativo. Ingenti interessi economici ne sono il motore, né più né meno di quanto accade con gli stupefacenti, questo è quanto tutti affermano. Ahmet Yaman, rappresentante del Fronte di liberazione del Kurdistan, afferma qualcosa di più: «Mafia turca e Turchia sono la stessa cosa. La Turchia è uno Stato mafioso. Le organizzazioni che gestiscono il traffico di curdi fanno capo al governo. Senza l'assenso di Istanbul non sarebbe possibile un passaggio continuo di curdi, attraversando frontiere e trenta posti di blocco, nonostante la mancanza di documenti. La Turchia intende utilizzare i curdi come strumento di ricatto nei confronti dell'Europa per entrare a far parte della Cee». Delle parole di Ahmet Yaman, Bilal non sa, e forse nemmeno vuole sapere nulla. A lui, povero muratore in fuga dalle persecuzioni di Urfa, interessa giungere a Istanbul il più presto possibile. Una volta nella grande capitale e centro operativo della mafia, si mette immediatamente alla ricerca della Sibel Turizm, un'agenzia di viaggi, ma non solo. Al titolare dell'agenzia, Batmauli Edip, consegna i seimila marchi per la traversata. Il viaggio inizia più di tre mesi dopo, dal porto di Canakkale su una piccola nave. Dopo un po', al largo, appare la sagoma della Cometa, l'imbarcazione destinata alla traversata verso l'Italia. Lì, non lontano dalla costa turca, ma ben al riparo da occhi indiscreti, avviene l'incontro tra profughi e mafie di mezzo mondo. Giungono i cingalesi raccolti dalle organizzazioni ucraine e russe. Giungono i curdi iracheni raccolti dai gruppi mafiosi turchi, ma anche dei cugini turcmeni, una minoranza del Kurdistan iracheno, di lingua e, da un po' di tempo, an che stipendio turco. Poi, alla spicciolata, dai porti di Izrnir e Istanbul, giungono kenyani, alge rini, pakistani, raccolti come capitava, senza competenze preci se, dai membri delle cosche presenti in tutto il mondo, Calabria e Sicilia comprese, come rivela il rapporto presentato dal Fronte di liberazione al capo della polizia Masone. I profughi vengono nascosti tutti nella stiva e la Come ta si mette in viaggio. Giunge in Albania due giorni dopo. Una sosta tecmca, frutto di un patto di ferro mafia turca-mafia albanese stretto a Istanbul sulla Cometa e il suo carico. Ma la sosta si trasforma in rissa tra mafie. In base all'accordo, il viaggio della Co meta avrebbe dovuto terminare lì, quello dei profughi sarebbe proseguito su un'imbarcazione diversa, ovviamente di modesta qualità. Ma i turchi avevano promesso una nave molto più veloce e soldi. In mancanza di entrambi la banda albanese guidata da un turco, decide di fare da sé. Co stringe i profughi a salire in co perta, e sfilare uno per uno da vanti ai kalashnikov e ai coltelli spianati. Li spoglia di tutto ciò che hanno. Poi, gli intima di scendere a terra. La risposta è un UMrsgèdzrunrtgCci rifiuto. La banda criminale insiste e riesce a sbarcare un primo gruppo di 40 persone. Ma la nave è tutto ciò che i profughi possiedono, non hanno alcuna intenzione di abbandonarla. Si procurano della benzina e fabbricano una bomba molotov. Armati, la notte di Capodanno affrontano e respingono anche il secondo attacco della banda. A quel punto il gruppo albanese si arrende. La Cometa ottiene il via libera e poche ore dopo entra nelle acque italiane. Il comandante inserisce il pilota automatico e scappa, gli altri restano. Ma non è detto che con il comandante sia fuggita del tutto anche la mafia della Cometa. Secondo Ahmet Yaman fra i profughi si mescolano ancora «mafiosi e criminali», alla ricerca di un foglio di via in grado di portarli verso Paesi come la Germania o l'Olanda. Vero o no, saranno le indagini della Criminalpol di Puglia e Basilicata e della procura distrettuale di Lecce a stabilirlo. Vero o no, nemmeno questo interessa a Bilal. Ben nascosto nelle sue tasche, conserva l'ultimo numero di telefono. In un luogo irraggiungibile anche un migliaio di marchi. La mafia lo ha portato lontano dai mitra turchi e, lo sa, la mafia lo porterà anche a superare l'ostacolo finale, la frontiera italiana. Flavia Amabile Il rappresentante del . Fronte di Liberazione del Kurdistan: «Fra questi disperati si mescolano criminali» Un immigrato racconta «Con 6 milioni ho affidato la mia vita ai clan» - , jkftr » 9» 0 M v ' Xi, Curdi in un centro accoglienza A fianco la prima notte italiana di una donna curda e dei suoi bambini, all'ospedale di Maglie (Lecce) Sotto, giovani curdi sbarcati ad Otranto