Afghanistan, la guerra dell'oppio

Afghanistan, la guerra dell'oppio Dalle zone in mano agli «studenti islamici» arriva l'ottanta per cento dell'eroina consumata in Europa Afghanistan, la guerra dell'oppio L'Onu paga i taleban per stroncare la coltura I PADRONI DELLA DROOA LASHKARGAH NOSTRO SERVIZIO Nient'altro che un bazar in capo al mondo, in un ambiente da Far West: Lashkargah si riduce a qualche strada con gli incroci ad angolo retto, una bella moschea circondata da un giardino, qualche edificio hi macerie lasciato dalla guerra civile - ma al momento qui è tornata la pace -, un fiume tranquillo, agenti in tenute disordinate che regolano un improbabile traffico stradale. Chi direbbe che questa capitale della provincia di Helmand, paesone perduto in mezzo al deserto, fu un tempo conosciuta come «La piccola America» grazie a una concentrazione di cooperanti venuti d'Oltreatlantico per modernizzare l'Afghanistan? Ma erano i tempi della monarchia, erano gli Armi Settanta, e quell'era è ormai tramontata. Da allora, Lashkargah è diventata una della capitali mondiali dell'oppio. Nel frattempo, il re è stato rovesciato da un golpe comunista e i sovietici hanno invaso il Paese per poi ritirarsi trascinando nella sconfitta anche anche i marxistileninisti locali. Alla fine, quattro anni di guerra fratricida fra i mujaheddin dell'ex resistenza hanno spianato la strada agli ormai celebri taleban (gli «studenti islamici») che si sono impadroniti a poco a poco di due terzi dell'Afghanistan, imponendo un ordine islamico di una ortodossia senza paragoni nel mondo musulmano. Tutte queste vicissitudini hanno forgiato per Lashkargah un destino su misura: se è diventata la capitale dell'oppio, è dipeso da questa guerra senza fine che ha obbligato i combat tenti a finanziarsi, in particolare con lo sfruttamento del fiore di papavero. La stessa logica si ap plica ai contadini, che in questo Paese esangue e dalle infrastrutture quasi inesistenti preferiscono coltivare l'oppio, immediatamen te remunerativo. Con 2800 tonnellate nel 1997, l'Afghanistan produce ormai molto più oppio di Birmania, Laos e Thailandia messe assieme, le tre nazioni del famoso «Triangolo d'oro» del Sud- Est asiatico. L'Helmand è la prima regione produttrice non solo dell'Afghanistan, ma di tutto il pianeta: il 40 per cento dei campi di papavero dell'Afghanistan si trova qui, in questo deserto montagnoso, nello scenario grandioso, austero e roccioso della parte meridionale del Paese. L'ottanta per cento dell'eroina consumata in Europa ha origine qui. Alla fine di novembre, l'arrivo a Lashkargah di un convoglio di auto fuoristrada ha scosso dal torpore i ventimila abitanti: si trattava di una delegazione del Programma delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe (Pnucid). Il direttore di quest'agenzia basata a Vienna, l'italiano Pino Arlacchi, ha organizzato la spedizione per valutare di persona che mezzi usare nella lotta alla coltura del papavero. Ex senatore distintosi nella lotta alla mafia, il quarantottenne Arlacchi è stato nominato di recente alla guida del Pnucid e ha fatto dell'Afghanistan, al pari della Birmania, una priorità in materia di controllo delle droghe. Uomo dall'ottimismo e dal dinamismo a tutta prova, Arlacchi punta ad essere l'Attila dell'oppio, dopo il cui passaggio il papavero non crescerà più. Alla vigilia del suo arrivo il 23 novembre nell'Helmand, questo professore di sociologia specializzato in crimine organizzato ha incontrato una parte della leadership taleban a Kandahar, prima «capitale» degli «studenti». A dispetto della condanna formale della coltura dell'oppio per ragioni religiose, le mi- lizie integraliste hanno introitato l'anno scorso circa 9 milioni di dollari di tangenti sulla produzione dell'oppio, secondo quanto indica l'Osservatorio geopolitico delle droghe. «Ecco quello che ho detto - racconta Pino Arlacchi - al "primo ministro" taleban, il mollali Rabbani, e al governatore di Kandahar, mollah Hassan: "Nessuno vi ama, siete completamente isolati dal mondo occidentale co- me da quello islamico. E questo essenzialmente per due ragioni: il vostro atteggiamento verso le donne (che i taleban hanno completamente bandito dalla vita pubblica, ndr) e la persistenza della coltura del papavero nel vostro territorio». In effetti, dopo aver conquistato i due terzi dell'Afghanistan i taleban controllano il 90 per cento del papavero che vi è coltivato. E nel 1996 la produzione, grazie alle ottime condizioni climatiche, si è impennata del 25% rispetto all'anno precedente. E' per questo che Arlacchi ha proposto ai «barbuti» una nuova strategia: «Fate uno sforzo per controllare la produzione sul vostro territorio e migliorerete la vostra immagine internazionale». L'idea è stata accolta positivamente dai responsabili del movimento, che già avevano avuto lunghe discussioni su questo tema con il loro capo supremo, il mollah Omar. Rispondendo alle domande dei giornalisti della stampa internazionale che accompagnavano la delegazione dell'Onu, il governatore di Kandahar Hassan ha annunciato che i taleban e le Nazioni Unite si erano «accordati per lavorare insieme allo sradicamento del papavero», aggiungendo che l'Onu dovrà in cambio «aiutare i contadini a riciclarsi a nuove colture». Ma la strada è ancora lunga: per cominciare, bisogna vedere se i ta- leban manterranno i loro impegni. Quanto ai contadini, costituiscono l'ostacolo più serio, perché i taleban potrebbero avere difficoltà a imporre le misure previste a 1 milione e 400 mila agricoltori che vivono in gran parte di papavero. Si dovrà inoltre ripristinare i sistemi di irrigazione e creare posti di lavoro nelle fabbriche locali (tessili) per convincere la gente che l'oppio non è la sola fonte di sostentamento possibile. Per farlo, il Pnucid chiede un impegno di 25 milioni di dollari l'anno per i prossimi dieci anni. Arlacchi stima che «la coltura dell'oppio potrà essere sradicata in cinque, e poi ce ne vorranno altrettanti per consolidare i risultati». Haji Agha Mohammed è uno di questi contadini dei dintorni di Lashkargah. Capo di una famiglia di ventitré persone, l'agricoltore ha una posizione sulla coltura del papavero identica a quella di chiunque altro in questa regione: «Sappiamo che l'oppio è una cattiva cosa. Ma in mancanza di un adeguato sistema di irrigazione, siamo obbligati a coltivare il papavero» dice quest'uomo dalla barba bianca, coi piedi piantati in un campo appena seminato di papavero. Mohammed, un mezzadro, destina all'oppio più di sei ettari e l'anno scorso i trafficanti locali gli hanno comprato il raccolto per l'equivalente di circa dodici milioni di lire: una somma enorme per un Paese in cui il reddito medio annuo prò capite è di 150 mila lire. A fianco di Mohammed il proprietario del terreno, un uomo grosso, ilare sotto il suo turbante, un certo Hazan Mohammed, con' fessa sprizzando buon umore che la coltura del papavero sulle sue terre gli rende una somma annua di 25 milioni di lire. Dice ridendo «I taleban vorrebbero vietare l'oppio. Noi siamo d'accordo, perché è una droga pericolosa che crea di pendenza. Se potessimo, coltiveremmo grano!». Bruno Philip Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Il reddito medio è di 150 mila lire Un contadino con i papaveri incassa 12 milioni all'anno Le Nazioni Unite offrono soldi per il difficile avvio di nuove coltivazioni tanta per cento dell'eroina dell'oppio are la coltura mm co Due guerriglieri taleban Gli «studenti islamici» controllano l'area afghana dove ha origine metà dell'oppio mondiale Qui sopra il responsabile dell'Onu per la lotta alla droga Pino Arlacchi che ha visitato la zona della coltivazione del papavero invitando a cambiare colture