Nel salotto di nonno Oscar di Massimo Gramellini

Nel salotto di nonno Oscar Per la prima volta messaggio in poltrona e senza bandiera Nel salotto di nonno Oscar «Se questa Carta (la Costituzione, ndr) la amiamo, la viviamo, se ognuno di noi si impegna a farla vita, allora ciaaarto (certo, ndr) ci sarà più giustizia, più capacità di pensare agli altri, più capacità di fratellanza, più capacità di camminare insieme, più capacità di amare. Buon anno, (pausa) Buon anno». (Le favole di nonno Oscar) E, la sera dei miracoli, canta Lucio Dalla nel Veglione di Penitenza andato in onda sulla Rai a sbadigli unificati. Don Luigi Scalfaro, il parroco della Repubblica che per cinque anni consecutivi aveva impartito la sua benedizione urbi et orbi dallo scranno presidenziale, con il 1998 non esiste più. Come il tricolore che da sempre campeggiava dietro di lui: sparito. Forse l'ha rubato Bossi, sostituendolo con un orologio a cucù. Al posto del parroco, davanti alle telecamere si presenta un nonno d'altri tempi: nonno Oscar. Sempre molto religioso, ciaaarto, ma anche molto nonno. Uno di quei nonni che vivevano in pianta stabile sulla poltrona del sa- lotto, circondati da cesti di frutta decorativa (per Scalfaro, i melograni), da cornici dorate e da un arredamento gozzaniano appesantito dal marrone dei divani e dal verde spento delle tappezzerie. Il cambiamento, bisogna ammetterlo, giova a nonno Oscar. Le favole gli vengono meglio delle omelie. Anche perché ogni favola che si rispetti contiene un orco. Compresa questa, naturalmente. Non ha un nome (gli orchi non ce l'hanno mai) ma si intuisce l'indirizzo, Montenero di Bisaccia, e anche il mestiere: faceva il magistrato e, aiutato da «collaboratori un po' rozzi», spaventava i bambini nelle procure con mormorii terribili, tipo «o parli o ti sbatto dentro», e rumori imbarazzanti: quel «tintinnare in faccia le manette» che nonno Oscar giudica abietto. Che spavento, l'orco molisano! Persino il cucù del salotto si mette a suonare. Ma tutto finirà bene, vedrete. Le favole di nonno Oscar sono proprio istruttive. Non avrà la pipa e i modi bruschi di Pertini, ma in compenso stringe un bel mazzo di foglietti quadrati in mano. Appena smette di leggerne uno, ci si aspetta che se lo butti alle spalle come fa il presentatore di «Furore» Alex Greco, il quale è stato punito per eccesso di vitalità e immediatamente rinchiuso dalla Rai fra le mura di Assisi per il Penitenza Show di Capodanno. Si tratta dello spettacolo che ha seguito le favole di nonno Oscar, ma ha ottenuto un terzo dei suoi ascolti (4 milioni contro 11 ) e si è fatto sorpassare anche da quel petardo di Bonolis, scoppiettante d'allegria su Canale 5. Il Veglione di Penitenza è il prototipo del va¬ rietà televisivo dell'era veltroniana, cucito su misura addosso ai gusti di quei quarantenni di centrosinistra che oggi hanno il potere e sognavano da sempre un Capodanno con Dalla, De Gregori e Dario Fo sul palco, inframmezzati da pensierini elevati sulla vita di San Francesco. Una spremuta di cattocomunismo nostalgico e tv educativa che sarà piaciuta moltissimo ai sopracciò dell'Ulivo ma che non poteva interessare i loro elettori, per la semplice ragione che i medesimi, a quell'ora, erano immersi in qualche festa oppure stavano sul balcone a guardare i razzi (i dipietristi, probabilmente, anche a spararli). Davanti al video resistevano tranquille famigliole e nonni coetanei di quello del Quirinale: due categorie che, tranne lodevoli eccezioni, non posseggono l'intera discografia di De Gregori e anche se ammirano la maestà soporifera di Milly Carlucci, non appena la sentono parlare come Scalfaro preferiscono sentirsi un po' scemi, ma vivi, con i karaoke di Bonolis. Massimo Gramellini I

Luoghi citati: Assisi, Montenero Di Bisaccia