Sparite lingue e culture

Sparite lingue e culture ETNOGRAFIA Sparite lingue e culture Quanti «selvaggi» ha sterminato il '900? ALL'ALBA del primo giorno del 1900, per quel che potesse significare tale data, il Sole avrebbe sfiorato un innominato atollo delle isole Figi, dove le latitudini Est e Ovest si incontrano a 180°. Sulla spiaggia, una donna martellava la corteccia di palma per ricavarne la tapa del suo vestito; il marito trovava qualche difficoltà a mettersi l'acconciatura di piume prima di partire in piroga a bilanciere verso le Tonga. I moti di Sole e Terra si combinarono e così la luce toccò il volto di un aborigeno australiano intento a dipingersi il corpo con ocra e caolino, prima di raggiungere gli antenati dipinti nelle caverne, a 136° E. Il Sole illuminò allora i bonzi di liii tempio shintoista a Kyoto e assieme apparvero bande di tagliatori di teste nel B o r n e o (114° E), in caccia. Cavalieri mongoli uscirono dalle tende di feltro contemporaneamente a negritos della Malesia (102° Est), nudi. Si svegliò l'India dei Maragià e poi si mossero i nomadi delle steppe dell'Asia centrale e i cammelli d'Arabia coperti di tappeti. Un giovane masai, appena circonciso, uscì dalla capanna di sterco per cercare un leone da uccidere e divenire così un uomo, in Africa orientale (36° E). Un pigmeo spinse poco dopo la sua canoa nell'Euri, scostando le foglie della foresta primordiale del Congo. Poi un tuareg cominciò a maledire il Sole e a bollire l'acqua, mentre un gentleman inglese si apprestava a sorbire il tè prima di uscire nella pioggia di gennaio, collegati nella misteriosa cerimonia dell'infuso mattutino (0° a Greenwich come nell'orrore del Tanezrouft). Passato l'Atlantico, la luce ridestò una maloca di amazzonici Botocudo (43° O), Alberto Salza dipinti e piumati, reduci da una cerimonia di trance collettiva, per poi scivolare a Occidente sugli Eschimesi dei ghiacci di Baffin, soli coi cani tra gli orsi bianchi, e via via incontrando amerindi di ogni sorta e acconciatura, salutando Ishi, l'ultimo «indiano selvaggio» della California (118° O), appostato con l'arco dietro un cespuglio di salvia, per poi perdersi sui sette r.iari della Polinesia e fare uscire dalla tenda di pelli un pastore ciukci della Siberia, a 1730 Ó, per badare alle renne. E' l'alba del 2000: tutte quelle persone, naturalmente, non ci sono più. Con esse, però, sono scomparse anche le culture, i modelli di vita plurimi di Homo sapiens. Alle Figi, le camicie a fiori «falsa Polinesia» spiccano nei campi malsani della canna da zucchero mentre carni bianchicce costellano spiagge da sogno in cartolina; all'alba l'aborigeno, in un camiciotto di jeans stracciato, si trascinerà fuori da un bar in lamiera ondulata del Tempo del Sogno Morto, mentre nel Borneo, come nel Congo o in Amazzonia, gli eredi di cacciatori di teste, pigmei e indios saranno intenti à tagliare a pezzi la loro madre, la foresta pluviale. Le sublimi danze d'Africano si trasforma- no in ignobili etnoshow per sopravvivere. Il masai va all'Università per divenire prima un uomo e poi un disoccupato, mentre i beduini avvieranno rombanti fuoristrada ferroplasticosi. Ishi è già morto in cattività, in un museo, e i ciukci si suicidano impiccandosi per risparmiare le cartucce che potrebbero servire ai loro figli per uccidere l'ultima foca. Nessuno è in grado di dire quante culture abbia ucciso il '900. Le culture, come gli individui, mutano, si evolvono, si estinguono, da sempre. E neppure si può determinare il numero di esseri umani forzatamente coinvolti nel «progresso» prima, e nella «globalizzazione» oggi, che abbiano visto la propria vita totalmente travolta psicofisicamente. L'antropologo dolente, nuova figura del millennio, non può fare altro che piangere per la scomparsa dei soggetti dei suoi studi, in una disciplina che vive del «diverso da sé». Si prevede che nell'arco di un paio di generazioni sparirà l'80% delle 4000 lingue oggi parlate al mondo (i dialetti sono assai di più, ma spariranno molto prima): verranno selezionate da demografia e successo economico alcune lingue «ufficiali» (quelle degli Stati nazionali) e altre «operative», come l'inglese, per la comunicazione di massa. E' una forma di desertificazione culturale che l'umanità non ha mai sperimentato prima. Si opina spesso su cosa abbia mai prodotto l'Africa «primitiva» per il mondo del '900. La risposta è semplice: tutta la musica e tutta l'arte moderna. Ora è opinabile se sia «meglio» aver ideato la lampadina o il computer. Fatto sta che l'uomo non sopravvive senza arte, e l'arte è comportamento non stereotipo, spesso anticipatorio di novità che si diffonderanno eventualmente in tutta la popolazione. La biodiversità è oggi sulla bocca anche dei politici, mentre l'etnodiversità è argomento utilizzato principalmente per fomentare o criticare odii razziali. Dobbiamo tener conto del fatto che con le lingue, i costumi, gli stili di vita e tutto ciò che connota culture non individualistiche od omologate, si perdono interi modelli di comportamento e universi di pensiero, sostituiti soltanto dalla possibilità di comperare nell'ipermercato virtuale oggetti e informazioni. La popolazione dei Maya non si è mai estinta (oggi sono oltre 5 milioni): a un certo punto, misteriosamente, svanirono principi guerrieri e sacerdoti, che costringevano le persone a immani sforzi edilizi e all'omologazione nella produzione economica (mais) e culturale. Interessante. Alberto Salza Alberto Salza

Persone citate: Alberto Salza