L'ultimo botto sia di vino
L'ultimo botto sia di vino L'ultimo botto sia di vino Carlo Pelrini IL XX Secolo nella descrizione agiografica è iniziato con il botto dello champagne, e con il botto dello champagne si chiude, consacrando questa bevanda come il vino del secolo. In verità per cercare l'origine di questo vino frizzante occorre andare indietro nel tempo. Nel 1718, a Reims, il canonico Godinot, filantropo e proprietario di vigenti, scrisse un libro intitolato «Manière de cultiver la vigne et de fa ire le Vin de Champagne» nel quale si legge: «Da più di vent anni il gusto dei francesi conferma il favore per i vini frizzanti di Champagne». Si devo dunque dedurre che lo Champagne abbia avuto i suoi natali intorno al 1690. Agli inizi del XVIII socolo lo champagne era ormai diventato un vino per feste ricercate; furono Filippo d'Orléans e le sue amanti a decretarne il successo. A propòsito di queste cenette al Palais Royal, lo stesso duca di Richelieu scrive nelle sue Memoires: «Le orge non avevano inizio se non quando tutti fossero in quello stato di beatitudine prodotto dallo Champagne». La fama ed il successo di questo vino non corrispondevano alle suo qualità organolettiche. Lo champagne di quell'epoca era terribilmente acido tonto più che solo tardivamente si giunse a utilizzare lo zucchero come addolcente prima dell'aggiunta della liqueur d'expédition. Inoltre bisognerà attendere sino all'inizio di questo secolo perché i cantinieri decidano di procedere all'eliminazione del deposito formato dai globuli di fermenti agglomerati dalle materie organiche vegetali. Lo Champagne delle origini era acido e torbido a tal punto da essere definito «detestabile risciaquatura». Quando il vino faceva troppa spuma le bottiglie esplodevano; era il temuto flagello della rottura. Poteva succedere che su mille bottiglie sistemate in cantina 800 andassero in frantumi al momento della ripresa dalla fermentazione. Ai giorni nostri, una produzione annuale superiore ai 250 milioni di bottiglie è basata su una qualità divenuta ineccepibile o costante, grazie a una tecnica collaudata che ha soppiantato l'empirismo delle origini. L'evoluzione dello champagne è la pietra di paragone per comprendere come i vini e le tecnologie sappiano assecondare i mutanienti del gusto e viceversa. Cosicché il secolo che lasciamo alle spalle ha contribuito non poco a mutare le caratteristiche dei vini; ma, pur ammettendo, come io credo, che questi mutamenti siano positivi, ossi sono avvenuti nella seconda metà del 900. Gli squarci di cielo sereno nei primi cinquantanni del nostro secolo furono pochi, e durarono poco. Il cattivo tempo, lo guerro, la crisi economica, il fanatismo proibizionista si unirono in una congiura ai danni di Bacco. Negli Anni 10 l'Europa viticola reduce da mozzo secolo di guerra ai parassiti e alle malattie non aveva ancora debellato il flagello della fillossera, ci si misero anche la pioggia e la peronospera e molti vignaioli non riuscirono a produrre vino. L'avvento della prima guerra mondiale trasformò in campi di battaglia intere regioni viticole e in alcuni casi.mutò la geografia del territorio. Fu alla fine della Grande Guerra, quando il ritorno alla normalità stava rinfrancando lo spirito di tutto il mondo, che l'America venne fuori con l'atroce scelta del proibizionismo. Nemmeno un agente nemico che avesse voluto distruggere la nazio- ne, avrebbe potuto immaginare un modo più efficace per incoraggiare la criminalità. L'effetto finale del proibizionismo fu di aumentare di più del 50% il consumo di vino degli Americani. Tutto ciò avvenne grazie alle scappatoie permesse dalla legge per la produzione di «succili di frutta non intossicati esclusivamente per il loro uso domestico». Milioni di americani trovarono la definizione «non intossicanti» troppo difficile d« capire e prontamente si trasformarono in produttori di vino casalingo. Dopo tredici anni di proibizionismo l'America non aveva perso solo la sua industria vinicola, aveva perso anche il gusto del vino. I vini secchi hanno bisogno di buone uve e di una vinificazione accurata, il gusto viziato di vino fatto in casa ha favorito vini dolci e forti. L'opinione pre¬ ★★ BILI del più ni valente in quegli anni era che il vino fosse una bevanda di infimo ordine. Anche in Italia, dove il vino ha sempre mantenuto un forte legame con la civiltà contadina, nella prima metà del secolo il consumo del vino non era simbolo di distinzione; per le donne, ih particolare, era sconveniente bere vino in pubblico. Per il mondo del vino attuale, quegli anni furono come i dolori del parto. Gli standard di vinificazione attuali, i principi di autenticità, e persino il nostro modo di gustare e di apprezzare il vino hanno avuto origino da questo lungo travaglio. So guardiamo il panorama vitivinicolo odierno la diffusione ed il prestigio della vite ha conquistato nuovi terreni, ha trasformato l'economia in zone dove la produzione dell'uva è millenaria. Tutto ciò è avvenuto perché passo dopo passo s'è imposto un mutamento qualitativo basato su minori rese per ettaro, innovazioni tecnologiche in cantina, maggior sensibilità gusto-olfattiva innanzitutto da parte dei produttori. Non c'è da meravigliarsi se all'inizio i viticol¬ tori non riuscivano a rendersi conto che il problema era semplicemente che si produceva troppa uva e troppo vino. La loro memoria recente era piena del rischio, dello scarso riconoscimento del loro lavoro e spesso della perdita di intere vendemmie. In quest'opera di riconversione del sistema enologico un ruolo determinante viene assolto dal nuovo mondo. I vigneti d'Australia, della Nuova Zelanda, del Cile, della California e persino del Sud Africa ci danno vini che sono in tutto e per tutto all'altezza dei migliori vini di Francia e del resto d'Europa. Gli Anni Sessanta furono un momento decisivo nella storia moderna del vino. Nacque contemporaneamente in molti luoghi un'idea radicalmente nuova: quella che il vino non fosse una misteriosa reliquia dei tempi antichi, che stava scomparendo perfino in Europa, né un modo per prendere una sbornia a buon mercato, ma una espressione della terra. che aveva il potere di incantare e di procurare il piacere a chiunque. In quegli anni nel nuovo e nel vecchio mondo si sviluppò non solo un nuovo modo di produrre più attento alla qualità che alla quantità, ma trovò terreno fertile una generazione di scrittori e comunicatori dediti alla cultura del vino e si consolidarono le prime associazioni enologiche. Hugh Johnson in Inghilterra, Alexis Lichine in Francia, Max Lake in Australia sono stati divulgatori insostituibili e preziosi. In Italia Luigi Veronelli è stato il primo vero promotore di un moderno approccio al mondo del vino. Pur non rinnegando le salde radici contadine occorreva sviluppare una comunicazione più capillare e sostenere le piccole produzioni di qualità. Intuire e praticare questi metodi in un paese dove regnava incontrastata la produzione massiva nei vigenti e dove non di rado si sviluppavano fenomeni di adulterazione è stato uno dei grandi meriti di Veronelli. A metà degli Anni Settanta la catalogazione veronelliana dei vini e dei produttori del «suo privilegio», rappresentò il nucleo innovatore della moderna enologia italiana. Quegli anni furono propedeutici rispetto al grande balzo in avanti degli Anni Ottanta e Novanta; infatti, a partire dalla seconda metà degli Anni Ottanta sino ad oggi la qualità del vino italiano non ha conosciuto pause. Le giovani generazioni di produttori toscani, piemontesi e friulani sono state le punte di diamante di questo rinascimento; in maniera così forte e determinata da segnare, in alcuni casi, una vera e propria rottura con i metodi e i saperi delle precedenti generazioni. Cosicché la dialettica tra tradizionalisti e innovatori ha raggiunto in alcune zone vinicole alti livelli polemici; le piccole botti o barrique sono assurte da semplici strumenti di cantina a simboli contro l'ortodossia enoica. Ma malgrado queste diatribe la sostanza non cambia: la qualità dei vini italiani, in questi ultimi anni, è sensibilmente migliorata. Alle tre regioni leader si sono affiancate aree minori che, tuttavia, esprimono non pochi gioielli vinosi e il posizionamento degli attuali prezzi per vini di qualità rende remunerativo il lavoro dei vignaioli-produttori. Queste premesse fanno ben sperare per il futuro: l'opera di riconversione del vigneto italiano è avvenuta e, per certi versi, sta avvenendo senza grandi traumi. La straordinaria ricchezza di viti- fui che il nostro paese e 'Europa vantano sono la migliore garanzia per l'enologia del continente. Tanti vitigni autoctoni sono ancora potenzialmente inespressi e ci riserveranno piacevoli sorprese nei prossimi anni; chi l'avrebbe detto vent'anni fa che un vitigno popolare come il Barbera potesse esprimersi ai livelli odierni? Anche il consumatore è cambiato, non solo per- che ha mutato il consumo del vino da alimento a oggetto di piacere, ma perché trova nella conoscenza enologica un motivo di gratificazione culturale. Un ruolo importante l'ha giocato l'associazionismo e, mi sia consentito, anche l'associazione che ho l'onore di presiedere, Slow Food. La guida «Vini d'Italia» nelle sue tredici edizioni ha influenzato non poco la produzione del vino di qualità. Il massimo riconoscimento dei Tre Bicchieri è per un produttore di vino paragonabile a ciò che sono le stelle Michelin per i ristoratori. Questo rinnovato e diffuso interesse per il mondo del vino genera pure soggetti saccenti. A tutti costoro dedico la più bella definizione di intenditore di vini, che venne espressa con assoluta modestia da André Simon (il più grande scrittore di vino di questo secolo): «L'intenditore è uno che sa distinguere i vini buoni da quelli cattivi, e sa apprezzare i diversi meriti dei diversi vini». Molti che hanno detto di più hanno parlato troppo. Ed ora lo champagne; voci ben informate mi dicono che negozianti e ristoratori ne hanno i magazzini pieniPresi dalla fregola del Millennio hanno ordinato quantità di bottiglie spropositate ed ora sono ingolfati: nessun problema amici, in Francia stanno mettendo a fuoco la prossima campagna pubblicitaria dove si annuncia che il vero inizio del Millennio sarà il prossimo anno, il 2001. Per quella data saranno pronte altre trecento milioni di bottiglie e si ricomincerà a contare: meno dieci, meno nove, meno otto... Anche il consumatore è cambiato, ora trova nella conoscenza enologica un motivo di gratificazione culturale. L'intenditore è una persona che distingue una bottiglia buona da una cattiva e ne sa riconoscerei meriti Il mercato in questi decenni è sensibilmente migliorato. Alle regioni leader (Toscana Friuli e Piemonte) si sono affiancate aree minori che offrono veri gioielli di qualità. I «Tre bicchieri» equivalgono alle stelle Michelin Annata Brunello di Barolo e Chlanti Amarone Montakino Barbaresco Class!co' 1970 ★★★★★★★ 1971 ★★★★ ★★★★ 1972 - - ★ - 1973 ★ ★ ★ 1974 ★ ★* 1975 ★★★★ ★ 1976 - ★ ★ 1977 ★★★ ★ ★* 1978 *★ 1979 1980 ★★★ ** 1981 ** 1982 ★★★★ **★ - 1983 *★* 1984 * * - ★ 1985 ★★★★ ★★★★ ★★★★ 1986 *★ 1987 ★ ★ ★ * 1988 ★★★★ ★★★★ 1989 ★ ★★★★ - ★ 1990 ★★★★ <***.* 1991 ★ 1992 ★ ★ - 1993 ★★★ 1994 ★ ★ * 1995 ★★★★ ★★★★ ★★★★ ★★★ 1996 *★ 1997 ★★★★ ★★★★ ★★★★ LE STELLE NOBILI La classificazione delle annate del più importanti vini nobili italiani dal 1970 al 1997 ibmoin vino hnuto un La qualità dei vini italiani in questi anni è sensibilmente migliorata
Persone citate: Alexis Lichine, André Simon, Barbera, Hugh Johnson, Luigi Veronelli, Max Lake, Veronelli
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