Bombe incendiarie sui ceceni di Anna Zafesova

Bombe incendiarie sui ceceni Indiscrezioni su un tentativo di negoziato con Maskhadov mentre Eltsin cerca di uscire dall'isolamento Bombe incendiarie sui ceceni A Grozny una disperata resistenza Anna Zafesova MOSCA Il Cremlino lancia la fase finale dell'attacco contro Grozny, senza badare ai mezzi. Si combatte violentemente nella capitale cecena, e nel sud della repubblica ribelle, dove l'aviazione russa ha cominciato a usare micidiali bombe incendiarie. Ma a Mosca cominciano a pensare alle conseguenze internazionali di questa guerra che ha fruttato la vittoria elettorale al premier Vladimir Putin, Il presidente russo Boris Eltsin, riapparso ieri in pubblico dopo un lungo intervallo, ha convocato al Cremlino il ministro degli Esteri Igor Ivanov per indicargli l'obiettivo principale per il 2000: «Impedire che la Russia rimanga isolata con il pretesto della guerra in Cecenia». All'uscita dall'ufficio di Eltsin il capo della diplomazia russa ha subito smentito un peggioramento nei rapporti con l'Occidente. E anche l'invito del ministro a «sbarazzarsi dei clichè della guerra fredda», rivolto ai partner della Russia, è suonato ieri meno minaccioso rispetto alla tonante retorica da anni '70 usata dal Cremlino nei giorni scorsi. Mosca a questo punto spera di concludere al più presto possibilmente entro la fine dell'anno - l'operazione militare in Cecenia. Il premier Putin ha commentato ieri per la prima volta l'assalto à Grozny, iniziato sabato scorso; affermando che «tutto procede secondo i piani». Ma dalle frammentate e contraddittorie notizie provenienti dal Caucaso pare di capire che le cose non stanno andando così bene come cerca di presentarle la propaganda russa. Ieri il comandante della milizia filorusso Bislan Gantemirov ha annunciato la presa di un altro quartiere di Grozny, Staropromyslovskij, conquista che il comando russo aveva «già data per certa una settimana fa. Mentre l'aviazione e l'artiglieria martellano la città - dove rimangono ancora decine di migliaia di civili - con sempre maggiore intensità, nelle strade di fffozny da tre giorni ormai dura una violenta battaglia per ogni pezzo di terreno. I russi hanno cominciato l'offensiva da quattro direzioni contemporaneamente, e stanno puntando al centro. Ma i guerriglieri -1500 secondo i russi, 5000 secondo i ceceni - asserragliati nella città stanno opponendo una resistenza abile e feroce. I comunicati ufficiali del comando russo parlano di 61 militari russi uccisi negli ultimi giorni, ma i ceceni - sostenuti da testimoni indipendenti - parlano di centinaia di soldati di Mosca uccisi a Grozny e nelle montagne del sud. Uno degli uomini di Gantemirov ha ammesso che non si aspettava una risposta così agguerrita degli indipendentisti. I principali comandanti ceceni - Sbamil Bassaev, Khattab e lo stesso presidente Aslan Maskhadov - hanno già lasciato la città insieme al grosso delle loro forze, trasferendosi nel sud della repubblica. E ieri i russi hanno cominciato a usare in quella zona bombe incendiarie: ordigni del peso di 250-500 chili che sprigionano una nube di gas infiammabile. I generali russi spiegano che queste armi micidiali vengono usate in «regioni poco popolate» contro presunte «basi dei terroristi». Ma esperti militari parlano già di una violazione dei trattati internazionali: l'uso delle bombe incendiarie è vietato nelle zone abitate da civili. La guerra in Cecenia ha raggiunto l'apice della sua violenza e la potenza spiegata contro gli indipendentisti sembra rendere inevitabile la loro sconfitta. Ieri però a Mosca ha cominciato a circolare la voce che Putin in segreto stia trattando con Maskhadov. Il quotidiano Izvestia ha pubblicato in prima pagina indiscrezioni sensazionali: il ministro della Protezione civile Serghej Shoigu (capolista del partito vincitore del premier «Unità» e fedele di Putin) starebbe cercando contatti con rappresentanti della presidenza cecena. Formalmente Shoigu vorrebbe proporre soltanto una tregua di due giorni per fare uscire i civili dalla città in fiamme. Le fonti delle Izvestia però elencano le condizioni della resa: amnistia per gli uomini di Maskhadov e riconoscimento della sua legittimità in cambio della lealtà a Mosca e delle teste dei comandanti islamisti. Un patto che troverebbe nemici sia tra i guerriglieri ceceni che tra i generali russi. E Maskhadov - almeno a parole -ha rifiutato qualsiasi proposta di capitolazione: «Difenderemo Grozny fino alla fine». Una giovane rifugiata cecena in Inguscezia: vive in un vagone ferroviario nell'attesa di un improbabile ritorno a casa