«Perché non si impazzisce»

«Perché non si impazzisce» «Perché non si impazzisce» Lo psicologo: dal terrore all'accettazione intervista Claudia Ferrera iflfek UATTRO giorni di minacce. BUS Di bombe a mano, mitra^B^gliatori e coltelli. Di imprecazioni, di ordini secchi, di urla. Quattro giorni bloccati su un sedile d'aereo, una gabbia di pochi centimetri dove il più piccolo movimento diventa un nemico, mentre la paura e il terrore di venire uccisi si mescolano alla speranza che l'incubo fìnivra. Dottor Angelo Musso, lei è uno psicoterapeuta: come si può sopravvivere a questo inferno? «La paura è immediata, è una reazione neurofisiologica. I passeggeri sono terrorizzati di fronte a un aggressore che può ammazzarli. Ma quando lo stato di allarme perdura, la mente comincia a farsi domande come: "Posso reagire?", "Posso scappare?". La rispo¬ sta è ovviamente "No". Non rimane allora che adeguarsi alle leggi del carceriere, sottostare alle sue condizioni. Resta la paura, ma in questo piccolo passaggio di elaborazione di pensieri, la mente si accheta. Trova un motivo per resistere. Si attenua il fenomeno ansiogeno, l'incubo diventa più accettabile». Ci ha descritto un meccanismo generale di reazione. Il rischio, di fronte all'imprevisto, è anche quello di perdere il controllo di se stessi. «Certo, si amplifica la paura, le persone più fragili possono avere attacchi di panico fino ad arrivare al delirio, i cardiopatici rischiano l'infarto. Un complesso sistema di ormoni va a colpire i cosiddetti organi bersaglio. Vengono alterati tutti i meccanismi fisiologici dell'omeostasi, varia la respirazione, il battito cardiaco, la pressione, il controllo muscolare. Compaiono brividi, tremori, spasmi, crampi. Si arriva allo svenimento. Ma ripeto, quando si ha un attacco di paura e di ansia, la mente lavora a strati, crea dei feedback correttivi per mantenere un equilibrio che gli permetta di sopravvivere. Dentro di sè i.i si appella all'autorità terroristica». E' azzardato fare riferimento, in un caso come questo, alla cosiddetta Sindrome di Stoccolma? «Viene senz'altro in mente. I quattro impiegati che rimasero per 131 ore ostaggi di due rapinatori in una bancaidi Stoccolma, quando questi si arresero, si complimentarono con loro creando non poco scalpore. Questo si spiega, molto genericamente, perchè il confine tra dolore e piacere è sottilissimo». Vivere sotto la minaccia costante delle armi, a quali altre conseguenze può portare? «Ad esempio si può verificare un processo di "fissazione", la mente \ così provata e choccata che tenta di annullare ciò che sta vivendo. Si crea, insomma, un meccanismo di negazione o di rimozione. Nel primo caso ci si convince che tutto è sotto controlio: "Io non c'entro, in fondo i dirottatori vogliono la liberazione di un leader islamico"; si tende ad ammorbidire i contorni della tragedia. Nel secondo caso l'ostaggio si ripete che non sta accadendo nulla: "Chiudo gli occhi, il mio terrore è frutto di pura fantasia". Si può scivolare verso una negazione profonda e allucinatoria, il piano della realtà si sposta su uno stato modificato di coscienza». Paura, tensione, ore contate: un'escalation che coinvolge gli stessi pirati dell'aria. Il tempo li rende più vulnerabili o più pericolosi? «La forza del terrorista è la sua fissazione monomaniacale, una miscela di potere e di grandezza. La sua mente lavora su due Uveiti: quello razionale, che gli permette l'uso della forza. E quello irrazionale, fatto di ideali e di credenze. Lui sta lottando, sta facendo del male "a fin di bene". E la sua esaltazione è tanto più forte quanto più i suoi ideali coincidono con ì suoi miti politici. Un ostaggio indiano liberato dai terroristi dorme all'aeroporto di Kandahar

Persone citate: Angelo Musso, Claudia Ferrera

Luoghi citati: Kandahar, Stoccolma