Natura morta Un viaggio nella pittura lombarda

Natura morta Un viaggio nella pittura lombarda Natura morta Un viaggio nella pittura lombarda LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Rosei LA mostra di distillata preziosità, affascinante e rigorosa, su una natura morta di vocazione apparentemente «umile» come quella lombarda (a parte gli strumenti del Baschenis e i fiori della Caffi) è nata da una singolare coincidenza locale e personale di interessi e competenze. Il responsabile scientifico delle mostre di Palazzo Reale, Flavio Caroli, è da armi studioso dell'ombrosa assorta pittrice della Controriforma milanese Fede Galizia, precocissima autrice di nature morte arcaiche, alla quale ha dedicato una monografia nel 1989; a Milano risiede Alberto Veca, lo studioso specialista di natura morta di maggior respiro intemazionale, curatore negli Anni 80 di mostre di ottima qualità presso LorenzeUi a Bergamo. Ritroviamo il punto chiave di questa coincidenza, e dell'intera LA MDESETTMarc DI UN GENERE NATO IN ITALIA mostra, nei due interventi nel catalogo Electa di Caroli e di Veca. La rosa in un quadro di Fede Galizia è l'emblema della mostra in manifesto e in catalogo: «Una rosa. Il disfacimento di una rosa. No: l'ibernazione del disfacimento di una rosa. Il tempo che si ferma. C'è la morte che avanza, nel disfacimento di una rosa. C'è addirittura il suo simbolo. C'è la bellezza che se ne va. Ma in questo quadro la bellezza è ancora lì; sarà lì per sempre». Nel saggio appassionato e polemico di Caroli in prò del primato in tutti i sensi di donna Fede leggiamo anche: «La "natura morta pura" (quella cioè che espunge completamente la figura umana della rappresentazione) è con verosimiglianza nata non nei Paesi Bassi o in Spagna (come recita un luogo comune fra i più diffusi) ma in STRA A ANA Rosei Lombardia». E Veca, consonante anche se meno radicale, citando una mia annotazione nella Storia dell'arte italiana Einaudi: «Gli anni soglia del secolo sono comunque cruciali per la nascita della natura morta: i primi generisti conosciuti di natura morta, da Fede Galizia a Juan Sànchez Cotàn, a Caravaggio, a Georg Flegel, a Jan Brueghel dei Velluti e Ambrosius Bosschaert il vecchio appartengono... alla medesima generazione». Vi sono anche, di bell'effetto, un preludio e un'appendice: all'esordio, il colloquio ancora di spirito leonardesco fra arte e scienza della natura nei disegni botanici ad olio su carta della cerchia del Peterzano, alle radici della formazione del Caravaggio, così come le stesse radici riemergono, a fianco, nello straordinario «unicum» del Piatto metallico con pesche firmato da Ambrogio Figino e databile, secondo le ultime ricerche, ai primi anni 1590; alla fine, la stupefacente iperrealtà integrale, fino alla «pelle» e al peso esatto, dei frutti del cavaliere di Umberto I Francesco Garnier Valletti di Giaveno, in impasto della resina-vernice Dammar ben nota ai pittori. Da qui si dispiega il colloquio «arcaico» trepido e «silenzioso», fra le alzate, le fruttiere, i cesti in ceramica con la frutta quotidiana padana, pere, mele, pesche, uva, prugne (un fiore a terra, un paio di farfalle) fra donna Fede e Panfilo Nuvolone, un colloquio non privo di contrasti critici e attribuzionistici contemporanei ma sempre intimamente lombardo nella sua essenzialità e limpidezza nordica, in cui la severità controriformata e il rigorismo calvinista trovano un impensabile coincidenza di natura simbolica. La controprova è offerta, nelle opere parallele messe giustamente a confronto, dalle consonanze fra i due pionieri lombardi, Francesco Codino (Franz Godin), importatore della cultura degli specialisti di Francoforte e di Hanau, profughi protestanti dai Paesi Bassi e dagli spagnoli e la pietosa compunzione di suor Orsola Maddalena Caccia, scoperta da Giovanni Romano nel municipio di Moncalvo. E ancora: sono quasi gemelli simbolici i vasi di vetro con fiori in una tavola del Codino, nel rame del gesuita Daniel Seghersrgià registrato nel 1650 nella collezione milanese del cardinale Monti donata all'Arcivescovado e nella tavola ottagonale giustamente attribuita da Filippo Ferro a Carlo Antonio Procaccini, fratello di Giulio Cesare. L'altra bella attribuzione di Ferro, il Vaso di fiori del Tanzio da Varallo, pertinente anch'esso alla prima fase europea della natura morta, ci porta all'altro versante, alla grande alternativa caravaggesca, con la pasta di luce che penetra, frusta, vibra su ogni petalo e fibra del fogliame. E non gli è da meno la Natura morìa con tartaru ga e testa di capro riconosciuta al Cerano da Marco Bona Castellotti. La continuità di questa densa, compatta immersione lombarda nel mondo oggettivo della realtà quotidiana dei sensi, dei sapori, degli odori dopo l'astrazione metafisica e simbolica degli «arcaici» nasce evidentissima dal confronto del Cerano con il capolavoro settecentesco del Ceruti, la grande Cucina in cui pollame, frattaglie, verdura fanno corona al cadavere maestoso della testa di maialino. Di mezzo, lungo il percorso della mostra, si frappone la sontuosità pittorica barocca al servizio dei rigorosi, «gestaltici» ritmi spaziali in profondità delle Cucine del Baschenis, altrettanto rigorosi di quelli dei «ritratti» di strumenti musicali. Questi sono messi a confronto, fuori dai confini lombardi, con il Munari. Natura morta lombarda Milano, Palazzo Reale Orario: 9,30-18,30 mar, gio 9,30-22,30 Chiuso Lunedi. Fino al 2 aprile 2000 DA FEDE GALIZIA A CARLO ANTONIO PROCACCINI AL PALAZZO REALE DI MILANO SCOPERTE E RIVALUTAZIONI «Alzata con prugne, pere e una rosa» (particolare) di Fede Galizia in mostra al Palazzo Reale di Milano