D'Alema: troppo lenta lo pace in Medio Oriente di Fabio Martini

D'Alema: troppo lenta lo pace in Medio Oriente allarme dopo D'Alema: troppo lenta lo pace in Medio Oriente Fabio Martini inviato a GERUSALEMME La mattina di Natale si è visto a quattr'occhi con Yasser Arafat, la mattina di Santo Stefano con il premier israeliano Ehud Barak e le conclusioni di Massimo D'Alema suonano come un campanello d'allarme, qualcosa di più serio delle consuete litanie sul Medio Oriente in crisi: «Sbaglierebbe l'Europa a pensare che qui una soluzione ai problemi e stata trovata», dice il presidente del Consiglio al termine della sua visita privata in Israele, «possono accadere ancora cose molto rischiose», «è in corso un cambiamento di clima», c'è una «frustrazione palestinese» per un cambiamento che riguarda il «clima» e «non le cose concrete». E un altro allarme: «Attenzione perché questa frustrazione potrebbe portare ad una stretta autoritaria tra i palestinesi». In linea con la tradizione della politica estera italiana, da sempre attenta al Medio Oriente, da alcuni mesi Massimo D'Alema sta svolgendo un'azione attiva in tutta l'area, anche grazie al dialogo con la Libia nei confronti della quale l'Italia rivendica il ruolo di battistrada: «Noi - dice il presidente del Consiglio - siamo il principale interlocutore nel processo di riavvicinamento della Libia alla comunità internazionale». Di Gheddafi, incontrato di recente a Tripoli, D'Alema ha parlato con i suoi due interlocutori, ma il cuore dei colloqui ha riguardato ancora una volta la questione palestinese. D'Alema, con la libertà consentita dagli incontri informali, ne aveva parlato il giorno di Natale con i cooperatori e i funzionari italiani presso le organizzazioni internazionali incontrati nella residenza del console italiano a Gerusalemme. «Qui si sono fatti piccoli passi, troppo piccoli», «i conflitti a bassa temperatura sono pericolosissimi», «l'ideale sarebbe dare ai palestinesi un'identità statale, coinvolgendoli assieme agli israeliani nello sviluppo economico». Con gli italiani riuniti in consolato, D'Alema usa parole crude: «Da queste parti gli Stati Uniti hanno fatto la politica, mentre l'Europa si è presa il compito dell'ufficiale pagatore...». D'Alema racconta della paura palestinese di perdere «la guerra del cemento»: «E' impressionante quella strada - ha spiegato il presidente del Consiglio - e cresce la sensazione palestinese di restare chiusi in un'enclave». Certo, i rapporti tra italiani e palestinesi, già impostati lungo l'asse Andreotti-Craxi, restano molto buoni anche con D'Alema. Arafat ha voluto insignirlo della massima onorificenza palestinese, lo ha gratificato di lunghi abbracci (interminabile il primo, quando D'Alema è arrivato a Betlemme) e il presidente del Consiglio ha contraccambiato con parole non di circostanza («Sono da molti anni un militante della solidarietà verso il mondo palestinese») e poi con le dichiarazioni molto impegnative fatte ai giornalisti. Meno appassionato, ma non meno solido (almeno a sentire D'Alema), il rapporto con il premier israeliano: «Abbiamo avuto un colloquio molto amichevole» perché Barak «è un uomo umanamente simpatico». E D'Alema ha dato una speciale soddisfazione anche agli israeliani, annunciando una svolta nell'atteggiamento italiano rispetto ad una questione che sta molto a cuore ad Israele: «E' cambiata - ha annunciato D'Alema - la posizione italiana contraria all'ingresso di Israele nel gruppo euro-occidentale alle Nazioni Unite ed io personalmente mi sono impegnato ad interloquire con quei colleghi che ancora resistono». Come dire: l'Italia intraprenderà un'offensiva diplomatica sui Paesi europei ancora recalcitranti. «La frustrazione potrebbe portare ad una stretta autoritaria trai palestinesi» Un momento dell'incontro del primo ministro Italiano Massimo D'Alema, la mattina di Natale a Betlemme, con il presidente dell'Autorità palestinese, Yasser Arafat