E venne un uomo chiamato Papa e Re

E venne un uomo chiamato Papa e Re E venne un uomo chiamato Papa e Re Domenico Del Rio DOPO le grandi lotte medioovali tra papi e imperatori, dopo la scomparsa, nell'Ottocento, dello Stato pontificio, sembrava di essere giunti a un tempo in cui i papi dovessero essere relegati entro confini soltanto spirituali ed ecclesiastici. In questi ultimi decennidelsecolo XX, invece, si ha come l'impressione di assistere a una specie di resurrezione politica del papato: un'azione l'atta, però, di un potere che non ò intessuto di forza materiale, ma di autorità morale. Lungo i secoli, la storia del papato è stata spesso legata alle vicende politiche europee. Anelli: senza contare un'antecedente stagione storica di grandi papi (Leone I, Gregorio Magno, Nicolò 1), è dopo l'inizio del secondo millennio del cristianesimo che si assiste a un urto quasi sublime tra papato e impero. E' quando al trono di Pietro sale Ildebrando da Soana col nome di Gregorio VII (1073-1085). Monaco, prima di diventare papa, focoso e mistico, Gregorio proclama la pienezza dei poteri spettanti al pontefice di Roma e li enuncia nel «Dictatus Papae», ventisette proposizioni, di cui ecco i punti più significativi: «Quod solius Papae pedes omnes prìncipes deosculent» (che tutti i principi bacino i piedi solamente del Papa); solo il Papa possa usare le insegne imperiali; a lui sia lecito deporre gli imperatori...». Gregorio VII, si sa, è famoso per la vicenda di Canossa. Ha scritto con un po' di enfasi il Gregorovius, storico non sospetto di simpatie papali: «Nella storia del papato vivranno eternamente splendidi due episodi: Leone I innanzi a cui indietreggia Attila, formidabile conquistatore, e Gregorio VII davanti ai quale si inginocchia Enrico IV in abito da penitente. La vittoria del monaco inerme ha più diritto all'ammirazione del mondo che tutte le vittorie di Alessandro, di Cesare e di Napoleone». L'idea di un'alta sovranità del Papa sugli Stati sorregge poi fortemente!'opera di Innocenzo III (1198-1216), sotto il quale giunge al vertice la potenza papale. Eletto papa a soli 37 anni, già nel discorso della sua incoronazione esprime la consapevolezza della propria giurisdizione su tutto. «Chi sono io esclama - che seggo sublime sui re e occupo il più eccelso dei troni? Per me il profeta disse: Io ti ho posto sui popoli e sui regni, onde tu innalzi e abbassi, distrugga e costruisca...». Tiene fede al suo programma. Domina regni europei a forza di scomuniche e di interdetti e piega al suo volere i regnanti. Amico egli stesso di eleganze mondane e di splendori regali, guarda tuttavia ogni cosa con un senso di dolore e scrive un libro quasi disperato, De contemptu mundi (Del disprezzo del mondo). Forse per questo riesce a intuire, nell'ambito della Chiesa, l'importanza degli Ordini mendicanti (francescani e domenicani), sorti sotto il suo pontificato. Una volontà di dominazione mondiale, ma quasi come una contraffazione delle grandezze precedenti, rinasce con Bonifacio Vili (1294-1303), il papa della bolla Unam sanctam, che teorizza l'idea delle «due spade», tutte e due in mano al pontefice, la spirituale e la temporale: la spada spirituale maneggiata «dalla» Chiesa, la temporale «per» la Chiesa; la prima del sacerdote, la seconda del re, ma secondo la volontà del sacerdote: la spada temporale soggetta alla spirituale. E' il sogno di dominio universale dei Papi, che però naufraga miseramente con lo schiaffo di Anagni, dato a Bonifacio dal generale francese Nogaret. Da allora, i Papi passano per la «prigionia» di Avignone e quando ritrovano là strada di Roma trasformano la loro sede pontificia in una corte principesca, come tante altre nella penisola, dedicandosi a conquiste di territori italiani, come Giulio II, o a fare i mecenati, talvolta anche senza soldi, come Leone X, o ad amministrare duramente lo Stato, come Sisto V. La storia dell'Europa risente ancora un poco della loro influenza, come avviene con Pio V, per un ripristino di potere inquisitoriale dopo la Riforma luterana. Poi un certo grigiore si stenderà sui Papi di Roma fino addirittura alla perdita del potere temporale e politico. Sarà con gli ultimi papi di questo secolo, soprattutto con Giovanni Paolo II, che il capo della Chiesa cattolica tenta di inserirsi nelle vicende mondiali, cercando di influenzarle sotto il profilo sociale ed etico e quindi, indirettamente, anche politico. E' l'intento chiaro di un papa itinerante come Wojtyla che, da Roma o nelle sue visite a innumerevoli Paesi, pro¬ clama con forza i grandi principi della legge morale, della pace, della solidarietà e della giustizia. Anche se, talvolta, come nel caso della guerra nel Golfo persico, la sua voce rimane inascoltata o addirittura si rende fastidiosa ai potenti e ai governanti. Viviamo, infatti, in un pontificato, quello di Giovanni Paolo II, che si pone giudice morale di contese internazionali (la guerra del. Golfo o nella ex Jugoslavia); interviene con le sue delegazioni nel dibattito di problemi mondiali (assemblea delle Nazioni Unite, partecipazioni alle Conferenze della Csce, trattative per il Medio Oriente, Conferenza del Cairo o di Pechino sulla questione demografica); entra dentro la vita politica delle nazioni, cercando di guidarne la moralità (la condanna, quasi la delegittimazione, dei Parlamenti che votano l'aborto); ispira sconvolgimenti nella storia di intere zone del mondo (il crollo dell'impero comunista nell'Europa centrale e orientale). In particolare, questo ultimo aspetto ha dato la dimensione dell'incidenza del Papa nell'assetto politico internazionale. La grande fatica soprattutto dei primi dieci anni del pontificato di Karol Wojtyla, il papa venuto dall'Est, è stata l'abbattimento dell'ideologia marxista e dei suoi regimi («Vergogna del nostro secolo», come sono stati definiti in un documento vaticano), a cominciare, naturalmente, dalla sua Polonia. Sembra indubbio che, alme- no per la sua patria, sia stato egli l'artefice principale del cambiamento. Basti pensare a Solidarnosc, che faceva apertamente riferimento al pontefice, e a Wojtyla che arriva in Polonia come un liberatore della sua nazione cattolica occupata dalle strutture di uno Stato ateo. Una volta scardinato un punto dell'impero sovietico, quello polacco, si può pensare che il crollo degli altri regimi dell'Est europeo ne sia stata la conseguenza, anche se bisogna certamente far entrare nel conto la «perestrojka» di Gorbaciov e il dissesto economico di quei Paesi. Del resto, proprio quel mondo sovietico aveva intuito (e temuto) la forza dirompente di questo pontefice anche sul piano politico. «Un papa sovversivo», lo ha definito, una volta, la Tass, l'agenzia di stampa moscovita, quando Giovanni Paolo II, in Polonia, nei giorni della visita a Danzica, aveva pronunciato le parole proibite: solidarietà, libertà, diritti umani. E', d'altra parte, su questi valori che si esplica l'azione internazionale di Giovanni Paolo II. Wojtyla si rifiuta di considerare i suoi interventi come di natura politica, intesa nel senso comune del termine. Quando, a Bangkok, sollevò il problema dei rifugiati con un appello al mondo e i giornalisti, conversando con lui in aereo, lo definirono di carattere politico, egli, quasi irritato, esclamò: «No, non è politico, è morale». Arrivando in ogni angolo della Terra, anche ora sebbene appoggiato a un bastone, egli propone i principi morali e i vdori della dignità dell'uomo non solo all'opinione pubblica ma anche alle istituzioni statali In questo caso egli assume la figura di un anti-Machiavelli. Per lo scrittore fiorentino, gli Stati adeguano il diritto ai fatti, cercando di risolvere i problemi più che di considerare la moralità dei comportamenti. Wojtyla indica un percorso inverso: sono i comportamenti degli uomini e gli atti degli Stati che devono adeguarsi alle norme morali. E' il discorso appassio nato che egli ha espresso in una sua enciclica, la «Veritatis splen dor». Un'immagine della folla radunata in Piazza San Pietro, a Roma