Il Papa che ha aperto la porta di Cristo di Igor Man

Il Papa che ha aperto la porta di Cristo KAROL WOJTYLA HA MANTENUTO LA PROMESSA DI PORTARE LA CHIESA NEL TERZO MILLENNIO Il Papa che ha aperto la porta di Cristo L'Anno Santo è l'epibgp di un pontificato straordinario l'evento Igor Man Hi A vinto la scommessa, lui, Karol Wojtyla: aprire la porta della speranza nel Natale a ridosso del Terzo Millennio. Per annunciare, Urbi et Orbi il Grande Giubileo. Ma quanta fatica, quanta pena, anche fisica, quanto scetticismo, curiale e non, è costata al Papa venuto dal freddo la gioia calda, spirituale e altresì umanissima, di «avercela fatta». Non era trascorso un anno del suo pontificato, e Giovanni Paolo II già diceva: «L'Anno Santo del 1999 comincia ad essere meno distante». Il cardinale Stefan Wyszynski, ancora visibilmente deluso dalla mancata ascensione al Trono di Pietro, inginocchiandosi davanti al giovine suo allievo appena nominato Papa - che, invano, commosso sino alle lacrime, tentava di impedire quel (pesante) gesto pubblico di obbedienza e cercava, lui, di baciare la mano al Maestro -, il Cardinale dagli occhi taglienti disse sicuro: «Tu porterai la Chiesa nel Terzo Millennio». Quelle parole (una profezia, una previsione: fa lo stesso) uscite di getto dalla bocca amara del Cardinale debbono aver segnato profondamente il cuore e la mente di Giovanni Paolo II. Avrà certamente visto nelle parole di Wyszynski non tanto il «segno del destino» quanto il lungo cammino che l'attendeva. E ch'egli volle subito affrontare, forte, vigoroso com'era, e per di più intrigato dall'Uomo, affascinato dall'Altro. A ben guardare, il prontificato di Wojtyla è una instancabile catechesi, una santa fatica da «commesso viaggiatore del Vangelo»: per citare un giornaletto di Managua che credeva con quel giudizio di dargli una stoccata. Invece il Papa, che allora leggeva tutto e pretendeva dal suo fidato uomo della comunicazione, l'hidal- gunaNn^s: II piviale MigS: .simile ai ms'giudMoPX gli impedmotivodiriflessio- fafa^ tCerto, vederlo la notte di Natale, afflitto dallo stentato passo, sorretto con lo sguardo ma anche con le mani affettuosamente discrete da due monsignori-cerimonieri, strizzava il cuore. Come se non bastasse la difficoltà motoria, il piviale che gli avevano messo, fascinosamente simile al manto multicolore di certi stregoni africani dal Papa spesso incontrati e con letizia, quel piviale dai riflessi acrilici lo impicciava e parecchio. Chiunque altro con quella roba indosso sarebbe apparso pateticamente ridicolo, lui, invece, portava quel manto in lurex - un tessuto sintetico e leggero, uscito dal connubio «estro dei fabbricatori di Prato-grafica computerizzata» - con quella disinvoltura ch'è propria di certi personaggi «intrinsecamente eleganti». Solo che gli intralciava il passo, il piviale, sicché ben tre volte il nostro cuore laico ha avuto un sobbalzo, vedendo il Papa terribilmente barcollare per infine inginocchiarsi con moltiplicata fatica. E' entrato in campo relativamente spedito sfoggiando un'ottima cera, l'occhio attento ancorché si vedesse che rimuginava un retropensiero. Chissà, forse il Papa era emozionato. E tutto concentrato nello sforzo di rendersi degno, anche nelle movenze, dell'Evento sul punto di compiersi infine dopo tanta, ineffabile seppur ansiosa lunghissima attesa. Nel 1983, assetato di quell'unico accadimento, il Papa si concesse un Anno Santo straordinario, dedicato alla Redenzione. Adesso, nell'anno che finisce incalzato dal 2000, Giovanni Paolo D. che prese a regnare con lo slogan «non abbiate paura, aprite le porte a Cristo», ora che lo slogan s'è tradotto in un pellegrinaggio permanente tessuto in un milione e duemilia chilometri finora percorsi (tre volte la distanza Terra-Luna) alla ricerca dell'uomo indifeso, lui stesso, il Papa, ci ha spiegato cos'è e perchè la Porta Santa. Essa, si legge nella Bolla di Indizione del Giubileo, «Incarnationis Mysterium», «evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla Grazia. Gesù ha detto: "Io sono la porta", per significare che nessuno può presentarsi al Padre se non per il suo tramite. (...) L'indicazione della porta richiama la responsabilità di ogni credente ad attraversarne la soglia. Passare per quella porta significa confermare che Gesà Cristo è il Signore, con ciò rinvigorendo la fède in lui». Privo, per sua decisa scelta, della massiccia Croce papale d'oro, a tre braccia, stringendo con la sinistra, sino allo spasimo, il pastorale d'argento, per frenare il tremore della mano, il Papa c'è parso ebbro d'amore allorché impercettibilmente barcollando è giunto davanti alla porta (opera del senese Consorti), la quinta che dall'atrio della Basilica affaccia su Piazza San Pietro. Per evitare la pericolosa caduta di mattoni e calcinacci (che, per altro, non scosse papa Montini nel 1975), la fabbrica di San Pietro ha predisposto un meccanismo d'apertura docile, tanto che basta poggiar le mani sul bronzo per farlo girare sui cardini. Ma l'altra sera, Giovanni Paolo II non ce l'ha fatta subito. Sembra che premesse sul lato di destra, molto, e poco su quello di sinistra. Ma il suo fedele segretario, monsignor Dziwisz, uno dei due cerimonieri, nel volger di tre secondi ha risolto il breve intoppo, suggerendogli, in polacco, come fare. E infatti la mano sinistra del Papa è scivolata più in basso, sino al punto giusto, e la porta, detta anche della Giustizia, s'è mirabilmente aperta e Piazza San Pietro s'è accesa di luce lunare (una invenzione straordinaria di Ermanno Olmi) ed è stato come se la Basilica si fosse fusa con l'immensa folla silente, sotto la conca lontana del cielo freddo di Roma. E finalmente il Papa piomba in ginocchio su quella soglia ch'è anche (forse) un ponte invisibile tra lo Ieri e l'Oggi nella prospettiva incerta del Domani. Nel presepio siciliano c'è un pastore detto «u scantatu da Stidda» poiché lo sfolgorio della Cometa, prima, e la vista del Bambino, dopo, l'hanno «scantatu», spaventato, vale a dire reso consapevole del Mistero nato duemila anni fa a Betlemme, in una stalla di rejetti della Terra fra i più miserabili: i pastori, in quel tempo considerati peggiori degli zingari. Ebbene, a quel pastore «scantatu» siamo istintivamente riandati osservando nel monitor il primo piano del volto del Papa polacco. Ripiegato su se stesso, Giovanni Paolo n prega. Muovendo in giro occhi increduli, vagamente sospettosi (è vero, non è vero ch'io sia qui - non è più sogno, è realtà). Le labbra bisbigliano la preghiera quasi timorose delle parole stesse, ed egli, il Papa, ci appare persino incredulo. Come se non osasse guardare oltre il suo orizzonte tatto di carità, di fede nel Salvatore. Tutto si tiene ed è verosimil- mente riassunto nel silenzio della folla, dentro e fuori della Basilica. Un silenzio enorme, preistorico, che allaga l'anima. E l'aereo di linea che passa alto nel buio ritmando le luci direzionali è come se anziché la rotta scandisse il battito accelerato del cuore pio di papa Giovanni Paolo; quel battito che leggiamo sul dorso della sua mano sinistra (ahi quanto dolorosa alla vista quella vena così convulsa nel suo precipitoso palpitare). Un altro aereo trasvola più alto ancora nel buio della notte di Natale, regalando al nostro sacro spavento il rombo degli astri trasferito in un CD impossibile da acquistare. Sembra che i due cerimonieri lo sradichino dalla Terra, tanto è visibile che il Papa amerebbe rimanere più a lungo in preghiera, scrutando perdutamente l'invisibile volto di Gesù, di nuovo apparso bambino. E' uno di quei momenti rari che la Storia offre a chi sa pregare o se non altro rispetta la fede e l'accoglie come limpido dono. La Porta Santa è stata infiorata da mani femminili «terzomondiste», e pellegrini venuti da un po' tutti i continenti spargono acqua di rose e depongono sulla soglia della porta lumiere di terracotta dalla fiamma modesta ma resistente. E al vecchio cronista è venuta in mente quella notte di tanti anni fa che in Santiago del Cile, sotto Pinochet, uscendo da una casa di amici vide lungo i muri del giardino fiammelle tremolare come fuochi fatui. No, non erano fuochi fatui, spiegarono gli amici, bensì le vele che vuol dire lumi che il popolo accende, la notte, là dove un uomo è stato ucciso. E pensava anche alle animite, quei piccoli altarini di materiale povero, eretti, al pari delle vele, là dove una persona è morta. E poiché sappiamo che dopo la nascita verrà la Pasqua, e quindi la luce di infinite vele e animite illuminerà il Figlio di Dio risorto, l'atto pietoso di quegli indios che facevano germogliar fuochi dalla pietra della Basilica è apparso al vecchio cronista qual era m realtà: un atto d'amore, un patto di fedeltà stretto col Bambino nato nella grotta miserabile per crescere ricco soltanto della sua missione sino al giorno in cui diverrà il Cristo che attraverso la strazio della croce salirà al cielo. Strappato dalla preghiera che rischiava di annullarlo, di sommergerlo di Grazia però struggente, il Papa ha percorso udire il non breve tragitto dalla Porta all'altare del Bernini. E a mano a mano che cresceva l'applauso dei circa diecimila invitati speciali - pellegrini, uomini di cultura, e «autorità»: il presidente Carlo Azeglio Ciampi e sua moglie Franca (compostamente commossi), il Sindaco (molto amato) di Roma, il Signor Sergio, 36 anni, un ex poliziotto oggi barbone in Galleria Colonna -, a mano a mano che il coro della Sistina diventava sempre più ampio e festoso, lui, il Papa, perdeva menti rari fede il pallore e sorrideva e imponeva le mani sulla fronte di questo o quello: sembrava aver ritrovato il suo sorriso tra l'ironico e il comprensive aveva recuperato l'abituale suo habitat esistenziale, quel clima di umana simpatia da cui attinge forza e speranza come da una immensa flebo generosa. La notte di Natale s'è celebrato l'Evento in più linguaggi: dall'africano kiswil al filippino, dal polacco al kuechua, dal samoano al russo,eccetera. Mia madre, russa-ortodossa, la cui fede cristiana era fatta di perplessità ma non di disperazione (cfr. Lettera ai Corinti, 4-6), mi raccontava, per Natale, la storia (incredibile) del Quarto dei Magi. Si chiamava Artaban ed era un sacerdote persiano di Zoroastro. Comparsa la Cometa si mette in viaggio per raggiungere gli altri tre Re. Ma a poche ore dall'appuntamento (se non giungerà in tempo gli altri se ne andranno), Artaban si imbatte in un Ebreo orribilmente ferito. Soccorre il moribondo e questi si riprende e lo ringrazia rivelandogli che il Messia nascerà in Betlemme. Mancato l'appuntamento con Gaspar, Melchior, e Balthasar, il quarto vende ima delle pietre preziose che pensava di offrire al Bambino, e allestisce una nuova carovana. Arriva a Betlemme ma in piena strage degli innocenti. Con un altro gioiello, un rubino, salva dalla morte un bimbo corrompendo i soldati che stavano per giustiziarlo. Gli anni passano e il vecchio Artaban li spende occupandosi dell'Altro. Conserva l'ultimo tesoro, una perla rara, mediante la quale spera di salvare il Messia dalla crocefissione. Ma sul Golgota tm ragazzo lo implora di riscattarlo dalla schiavitù e il vecchio Re sapiente sacrifica l'ultimo suo bene: la perla. In quel preciso momento, tuttavia, «egli si avvede d'essere stato ammesso, per primo, alla presenza dell'unico Re tanto atteso e cercato, quello vero: Gesù». Morale della storia: Artaban è giunto in ritardo in Betlemme ma è arrivato in anticipo sulla Pasqua di Resurrezione. Ebbene, la not- o a o o r o , a a te di Natale, cogliendo il breve, quasi impercettibile ritardo del Papa nell'aprile la Porta Santa, ho immaginato Karol Wojtyla come il quarto dei Re Magi. Ha sacrificato alla predicazione incessante del Vangelo il suo bene terreno più consistente, più prezioso: la salute, ma ha fissato, con le sue mani già vigorose e ora fragili, il tempo della Pasqua di Resurrezione. Il Papa polacco ha infranto non pochi tabù, innanzitutto quello del Vaticano statico «dove i pontefici morivano ma non si ammalavano». Ha svuotato d'autorità la potente Curia, e nonostante l'attentato subito non ha mai voluto il giubbetto antiproiettile: «Ne ho uno formidabile, lo scapolare della Madonna del Cannine». Ha senso dell'umorismo, fin troppo, ma i suo; occhi chiari, piccoli e pur profondi rivelano il dolore di un bambino rimasto presto senza mamma, la tristezza di una vita tragicamente scandita dalla morte delle persone a lui più care. Nella controversa biografia di Giovanni Paolo II, Juan Alias scrive che la grandezza del Pontefice è nella sua ferma disponibilità a pagare il prezzo che comporta l'unità della Chiesa, anche se codesto prezzo è la vita. «Ma forse il Wojtyla autentico è colui che si rivela quando la malattia lo morde, quando si reclina sul seggio, si sfrega gli occhi quasi volesse cancellare gli incubi che lo assillano». Autentico lo è soprattutto, io credo, allorché, d'improvviso, come durante la trionfale notte natalizia, resta a guardare nel nulla forse alla ricerca d'imo spazio soltanto suo, dentro di sé, frammezzo al rumore, a tanta gente e a tanta rispettosa esaltazione. Giubileo viene da Jobel, il comò che annunciava agli ebrei il tempo della riparazione. E l'altra notte, la Porta si apriva mentre pellegrini neri suonavano il comò d'avorio dei Fratelli Maggiori. Suonavano pure i rozzi violini giapponesi, antichissimi. Ma lui, Wojtyla, aveva fissato il tempo. Dall'altra notte all'eternità. «Evenu shalom aleyem. Evenu shalom aleyem. / Evenu shalom aleyem / Evenu shalom shalom shalom aleyem». II piviale multicolore simile ai manti africani gli impediva il passo e fafa^ trepidare gjj spettatori E' stato uno dei momenti rari che la storia offre achi sa pregare o almeno rispetta la fede La trionfale notte natalizia ha coronato un sogno iniziato 2 Ianni fa Piazza San Pietro gremita dai fedeli all'apertura del Giubileo In basso: Giovanni Paolo II davanti alla Porta Santa A destra il cardinale Stefan Wyszynski in compagnia di Papa Wojtyla Sotto: il presidente Ciampi e la moglie alla cerimonia della notte di Natale

Luoghi citati: Betlemme, Cile, Managua, Roma, Santiago, Stidda