«Io sono un buono, reagisco solo se provocato» di Fabio Martini

«Io sono un buono, reagisco solo se provocato» IL PREMIER IN TERRASANTA PER INCONTRARE ARAFAT D'Alema, Natale alla grotta di Betlemme «Io sono un buono, reagisco solo se provocato» reportage Fabio Martini invialo a GERUSALEMME CERTO, mamma Fabiola ci è rimasta male. Il giorno di Natale aveva chiesto di passarlo assieme a suo figlio e invece Massimo D'Alema non ha saputo dir di no ad Yasscr Arafat. Tre mesi fa il capo palestinese gli aveva chiesto di partecipare alla messa di Natale davanti alla grotta di Betlemme, là dove la tradizione cristiana vuole che sia nato Gesù. D'Alema che credente non è - è voluto venire a tutti i costi e questo Natale per lui e sua moglie Linda, sarà difficile da dimenticare. Nella notte di Natale, la piccola Betlemme è attraversata da un pathos speciale anche per chi, come D'Alema, la guarda dietro un muro di soldati palestinesi: in piazza della Mangiatoia, i richiami del muezzin si mescolano al suono delle campane e dentro la chiesa di Santa Caterina, gli inni, i salmi, i cori della messa si susseguono in tre lingue. D'Alema na seguito ogni dettaglio della lunghissima funzione e alla fine ha scambiato i «segni di pace» invocati dal patriarca latino Michel Sabbah. Di umore splendido, stemperati sarcasmi e stress, D'Alema è restato in Terra Santa con moglie e figli anche il 25 e il 26, alternando le visite turistiche e gli incontri politici con Arafat e con il primo ministro israeliano Ehud Barak. Un D'Alema così rilassato che la sera del 24 ha invitate i detestati giornalisti per un brindisi, ha personalmente stappato la bottiglia di champagne e in questo clima natalizio ha provato a lanciare una diversa immagine di sé: «Io? Sono buono. Certo, sono un po' reattivo, ma soltanto se sono provocato...». E il D'Alema buono di Natale si è concesso anche battute paradossali, come quando ha invocato alla guida dell'Italia un generale come il primo ministro israeliano: «Barak è un duro, uno risoluto: in Italia ci vorrebbe uno così. Quando l'ho incontrato gli chiesi un giudizio politico su Netbanyau e lui mi rispose: "Netbanyau? Pessimo soldato. Invece suo fratello, che morì nell'azione di Entebbe, quello sì che aveva le palle..."». L'idea di trasformare in un evento la messa di Betlemme e i duemila anni dalla nascita di Cristo era venuta alcuni mesi fa ad Arafat. Gli inviti erano stati irradiati in tutto il mondo, molti capi di governo avevano cortesemente rinunciato e Arafat contava almeno su Gerard Schroeder e Jacques Chirac. Ma alla fine soltanto Massimo D'Alema, il capo del governo spagnolo José Maria Aznar, il presidente dell'Uganda e il capo del governo marocchino non hanno «tradito» il vecchio leader palestinese. D'Alenia è arrivato a Betlemme il pomeriggio del 24, poche ore dopo aver risolto la grana-Mis- serville. Città-cantiere sommersa da tonnellate di polvere la piccola Betlemme: i 200 milioni di dollari investiti per costruire grandi hotel non sono bastati a concludere i lavori in tempo per il Giubileo, atteso qui con la speranza di un business. Prima della messa, D'Alema era atteso all'inaugurazione del Museo del presepe. E qui il presidente del Consiglio ha pronunciato un discorso particolarmente ispirato, piaciuto assai al clero cattolico: «Betlemme - ha detto D'Alema - è la città che ha visto nascere il Redentore» e il presepe «rappresenta un legame profondissimo tra i nostri popoli: da quando San Francesco ha trasportato la rappresentazione della natività dà Betlemme a Croccio, il presepe è diventato qualcosa che è nei cuore di tutte le famiglie italiane». Subito dopo monsignor Liborio Andreatta, dell'Opera pellegrinaggi, confidava: «Un discorso che mi ha colpito». Nel Museo, oltre ad un imprevista epifania di Yasser Arafat, si è compiuto il primo «miracolo» della serata: è apparso anche Giovanni Rana, il «re del tortellino», meritorio sponsor del museo. E intanto, in piazza della Mangiatoia, davanti alla chiesa di Santa Caterina, partiva la festa, con una applaudita esibizione di Katia Ricciarelli, accom¬ pagnata da Pippo Baudo. Ma finita la performance in piazza, la signora non veniva riconosciuta dalla occhiuta polizia palestinese, lei se ne lamentava con il suo Pippo («Ma ti pare che fermino una signora vestita da sera come me?»), salvo poi rilassarsi alla vista di D'Alema. E più tardi Katia scherzava con Pippo: «Lo sai che D'Alema è proprio affascinante? Quasi quasi ci farei un pensierino...». Le retrovie si animavano e un Baudo reso più umano dai suoi acciacchi, rivelava: «Ghoddafi? Mi risulta che si sia fatto il trapianto dei capelli...». E mentre la mezzanotte si avvicinava, D'Alema faceva sa¬ pere di voler fare gli auguri ai giornalisti, un piccolo evento, gratificato da una esternazione enti-giornali meno perentoria del solito: «Ho appena incontrato il decano del clero di Gerusalemme: è un italiano che è stato ordinato sacerdote qui nel 1927, un personaggio leggendario. Perche non scrivere una pagina su personaggi del genere anziché 6 pagine di gossip politico? Ve lo dico senza polemica, da ex lettore di giornali...». E ancora: «Io non ce l'ho con voi, voi siete vittime del sistema e insieme potremmo organizzare un seminario per liberarvi dalle vostre dolorose incombenze». Poi un brindisi personalizzato con Marcella Ciarnelli inviata dell'Unitu: «Con lei siamo colleglli, io sono giornalista dell'Unità in aspettativa. Ma senza contributi figurativi: fa parte della mia bontà...». Il pensiero dei cronisti è andato subito ai tanti politici- giornalisti che intascano i contriuti-Inpgi, da Veltroni in giù, D'Alema se ne è accorto, ha stroncato le illazioni, salvo far sapere: «Prima o poi tornerò a fare il giornalista: con un contratto di collaborazione, potrei scrivere dei pezzi da ogni porto del Mediterraneo...». Nel giorno di Natale per Massimo e i suoi gita con attraversamento del deserto di Giudea, pranzo in un kibbutz, vista dall'alto sul Mar Morto. E la notte del 25, D'Alema ha chiesto di poter vedere l'orto di Getsemani e il monte degli Ulivi, dove Gesù, assalito dall'angoscia del supplizio, avrebbe alfine accettato la passione e la morte. Qui, nel cuore della notte, pare che D'Alema abbia detto: «L'ulivo è una pianta forte e resistente». «Barak? E' un duro, uno risoluto: in Italia ci vorrebbe uno così» E davanti al Getsemani: «L'Ulivo è una pianta forte e resistente» Massimo D'Alema con il premier israeliano Ehud Barak A destra: il presidente del Consiglio a Betlemme «MBSPnaoNni