Jervolino, addio al Viminale con classe di Antonella Rampino

Jervolino, addio al Viminale con classe Per i «bocciati» contano soprattutto i giochi interni ai partiti. Treu paga l'assottigliarsi di Rinnovamento Jervolino, addio al Viminale con classe Pivetti s'arrabbia: Mastella si fa mettere ipiedi in testa Antonella Rampino ROMA Persa ogni speranza, barattato un destino politico con il rientro alla vita (si fa per dire) comune, è nel momento della trombatura, nell'attimo in cui la storia si ammutina contro l'individuo, con corollario di ansie stressanti e attese senza fine, che si vede la stoffa dell'uomo. E, per dire, pure della donna. Rosa Russo Jervolino, per esempio. Oppure, sul fronte opposto, Irene Pivetti. Entrambe sui giornali, e sulla bocca di tutti, nel Palazzo e dintorni, da mesi. Resta, o se ne va? Ce la fa, o non ce la fa, e per quale poltrona? Destini diversi, per tempre assai differenziate, stile e misura da una parte, arrembaggio dall'altra. Jervolino che, prima del passaggio di consegne, passa il pomeriggio al Viminale salutando una ad una le persone che hanno lavorato con lei. E Pivetti che riduce se stessa alla caricatura celebre di Sabina Guzzanti, rivelando il cuore freddo un tempo serrato nei tailleur da Presidente della Camera, «quel Mastella, è uno che si fa sempre mettere i piedi in testa...». Oppure, altro esempio a suo modo magistrale, Tiziano Treu, che fu forse il primo ministro veramente contento di fare il ministro, quando entrò al Lavoro col governo Prodi, e che con la stessa leggiadria e riuscendo pure a non farsi mai nemmeno un nemico s'è fatto derubricare ai Trasporti, e infine è evaporato anche da lì. Perché poi dietro ogni successo ministeriale ci sono coscienze che rimordono, drammi di umana ambizione, nobiltà e ingordigia, lusinga del potere e schizzo di fango. E invece Treu, bordeggiando tra l'università e il sindacato, l'amico Prodi e il sodale Dini, e neanche mai troppo anguillescamente, ha fatto il suo. Per Treu, come per Jervolino, per Pivetti, per tutti i fatti fuori hanno contato moltissimo le camarille dei propri stessi partiti. Treu stava con Rinnovamento, partitino che a furia di assottigliarsi a ogni tornata di qualsivoglia elezione, alla fine può lasciare al governo solo il leader su cui è tagliato. Ed è Dini, ovviamente indispensabile alla Farnesina, e politicamente parlando in transumanza verso i Democratici. Pivetti è stata battuta dal compagno udeur Agazio Loiero, uomo gioviale, e infatti ieri era felicissimo di mostrare a Palazzo Madama l'abito nuovo fatto fare su misura per l'occasione, e il libro che gli ha regalato Bassanini, «La rivolta dei topi d'ufficio» di Andrea Camilleri. Ma poiché esiste la legge del contrappasso, la saggezza del popolo politico vuole che Pivetti abbia scontato il non essere volita testardamente andare a votare per Prodi, quando questi stava precipitando dalla poltrona di Palazzo Chigi. Per Jervolino, la storia è identica, e insieme diversa. Jervolino in sei mesi è passata da potenziale prima presidente della Repubblica a improbabile (perché ha fermamente rifiu¬ tato) candidata a presiedere la Regione Campania. Adesso, «chapeau bas», come si dice, dagli avversari, Rifondazione, i Repubblicani, dalle amiche di governo. E non una parola, se non quelle dette dette da Leopoldo Elia in Senato, dai suoi compagni di partito: Jervolino ha perso il Viminale, in realtà, per l'ostilità dei Democratici, e perché il leader Ppi, Castagnetti, sul suo nome ha ceduto. «Ehh, ma Rosetta lo sa, come lo sanno tutti, e perfino anch'io, com'è difficile fare queste composizioni di governo... Certo che però è un peccato, per la persona», chiosava ieri Andreotti alla Camera. Quel che è accaduto, un po' lo spiega Cossiga, «il problema di D'Alema era togliere Mattarella come vicepre¬ mier, per riprendersi la delega ai servizi segreti», aggiungendo anche lui «queste cose vanno così, è la politica ragazzi». Ma nessuno, proprio nessuno sa dire perché tra Mattarella e Jervolino, si sia scelto di lasciare al governo il primo. Poi, certo, ci si può ricordare che la pupilla di Oscar Luigi Scalfaro non è incline ad «aperture» tattiche a sinistra come il collega di partito famoso per gli occhi di ghiaccio. Oppure che lei, al congresso Ppi i cui effetti a cascata tanto hanno condizionato la composizione di questo nuovo governo D'Alema, s'era schierata dalla parte sbagliata, sbagliata per come la può giudicare chi pensa vi sia sempre una parte «giusta» su cui posizionarsi, aprendo alla candidatura Franceschini, «bravo Franco che fai largo ai giovani», disse pubblicamente a Marini. Oppure, anche, che lo stesso D'Alema l'aveva pubblicamente messa in imbarazzo, convocando una riunione di prefetti lui stesso, nei giorni del gran polverone sulla «sicurezza». E lei, gran signora, aveva appena commentato con i giornalisti, «è normale che sia così». Adesso, c'è il dolore di Palazzo Chigi per averla persa. Si rimedierà, si insisterà (inutilmente) perché vada alla Regione Campania, «e perché dovrebbe dire di sì, quando la Turco si candida da ministro?» osserva Elia. Oppure, le si offrirà la commissione Affari Costituzionali. 0 la presidenza del gran tribunalone su Tangentopoli. Andreotti: ma Rosetta lo sa com'è difficile che tutto quadri E' un peccato, per la persona Qui sopra l'ex ministro degli Interni Rossa Russo Jervolino A sinistra Irene Pivetti, qui sopra l'ex ministro Tiziano Treu

Luoghi citati: Campania, Roma