Bordon, quel che avanzo del «nuovo» di Filippo Ceccarelli

Bordon, quel che avanzo del «nuovo» Bordon, quel che avanzo del «nuovo» Re del gruppo misto, professionista di visibilità Filippo Ceccarelli Ed ebbe il premio... «Ministro! ministro! Io ministro!» si sarà detto ieri mattina Willer Bordon, probabilmente senza rendersi conto che quella ricompensa, quel rango così desiderato, quali invidiatissimo traguardo andavano ben al di là del suo personale destino. Non è un fatto di meriti o demeriti, che in ogni caso ci sono. Se è per questo c'è anche il personaggio, con l'occhio vigile, il caldo accento istriano e i baffoni da gendarme pontificio o da disegni del giornalino di Giamburrasca. Il punto vero è che più che al neo ministro,' apparso opportunamente emozionato al giuramento, il premio appare idealmente dedicato a ciò che è oggi la politica. Come pochi altri, e in forma compiuta, Bordon ne incarna infatti limiti e misteri, gommosità e polverizzazioni, ostinatezze ed esibizionismi. L'assoluta buona fede non gli ha impedito di capire prima di tanti altri la nuova virtù sovrana: la visibilità. Quand'era un giovane e coraggioso comunista in odore di eresia, comprese il valore dei temi ambientali e, insieme, referendari. Contro il partito, da sindaco di Muggia, paese dell'Istria, bloccò una mostruosa centrale nucleare. Da deputato andò di nuovo controcorrente tesserandosi con i radicali e conducendo Cicchetto a un convegno dove Akel venne ghermito e quindi baciato davanti ai flash da ricciolina. Dagli e dagli, per certi versi si può considerare Bordon un autonomo soggetto politico, come lo erano i partiti una volta. Al lord posto c'è lui, Re del gruppo misto, sempiterno professionista del «nuovo». Su questo «nuovo», necessariamente tra virgolette, occorrerà intendersi. E non solo o non tanto perché nel frattempo questo «nuovo» è invecchiato. An- che Willer, se è per questo, è invecchiato; ha perso cuore, coraggio, spontaneità, imprevedibilità. Nulla di male. Sono cose che capitano, però si notano quando uno fa carriera. Si diceva un tempo: ecco il «nuovo» che avanza. Bene, senza che suoni solo come un gioco di parole, Bordon è oggi quel che avanza del «nuovo». TI suggestivo ribaltamento di senso, ancorché ambiguo e malinconico, merita tuttavia un'analisi obiettiva. Troppo facile ironizzare sul passato prossimo del personaggio. Dopo il Pei, la doppia tessera radicale e una gita nell'indimenticabile «sinistra dei club», Bordon entra definitivamente nel vertiginoso frullatore della micro-politica ed è complicato stargli dietro. E comunque, per la storia: fonda Alleanza democratica (che come simbolo ha il quadrifoglio, attenzione, non il trifoglio); canta Adelante, addante con De Gregori e Adornato; lo si vede sorridente dietro un manifesto elettorale che recita: «Ragiona, Italia». Ad è un'offerta di mercato alla domanda di «nuovo». Ma va male. Se ne vanno tutti meno lui, che però si federa con alcuni socialisti e certi repubblicana che hanno litigato con La Malfa. Quindi organizza un congruo numero di referendum. A questo punto, in prossimità di Segni e di altri ritrovati, poi persi e poi di nuovi riscoperti, lo si trova a capo di qualcosa che si chiama «I democratici», che però - come il trifoglio sopra - non sono i «I democratici» di Prodi. A questi Willer aderirà dopo essersi fuso con l'Unione democratica di Meccanico, non senza essere in seguito utilmente transitato nell'Italia dei Valori di Di Pietro, previa alleanza con irrequieti fuoriusciti dalla Rete. Ideologie, programmi e allean- ze, che un tempo rappresentavano la mente, la carne e il cuore della politica, sono ormai in secondissimo piano. Della «nuova» politica, più che un alfiere, Bordon sembra in realtà un buon meccanico. Uno che riavvita giunture che reggono per un po'; uno che costruisce necessariamente sul virtuale, sulla sabbia, o sul nulla. Ma che instancabile anticipa, rimbocca, rimpolpa, rispolvera, si agita, sta in mezzo, si butta a pesce. Su che cosa non si capisce mai bene, ma per questo qualcosa, di insondabile utilità collettiva, sembra comunque che Willer abbia il radar. Nella nuova cultura politica dell'immediatezza e dell'immaterialità non ha più molta importanza chiedersi quante divisioni abbia; né quanti italiani si riconoscono nel nuovo ministro dei Lavori Pubblici. Importa il fatto che le sigle spariscono, ma lui rimane. Lui che non si perde una partita del cuore con la nazionale dei politici; lui che dà la ricetta («Reginette alla Rosa») al libro sulla cucina dell'Ulivo; lui che scava nicchie inesistenti, occupa spazi vuoti, cerca e trova «luoghi di raccolta»; lui che rinuncia ai soldi del finanziamento pubblico; lui che arriva tardi al vertice di centrosinistra perché ha l'appuntamento con il fotografo del Venerdì, che deve riprendere e mostrare ai lettori la sua casa, compresa la stanza di bagno e il contenuto del frigorifero. Bordon sa che la sopravvivenza politica è sempre più appesa al mo dell'intrattenimento e delle pubbliche relazioni. E' gentile, simpatico, chiama tutti per nome, fa i complimenti. Non è un calcolatore, è così sul serio, è contento di esserci. Ieri mattina, al Quirinale, era contentissimo. Facendolo ministro, in fondo, la «nuova» politica ha premiato se stessa, la sua scaltra incompiutezza, la sua noncurante disponibilità. Il neoministro dei Lavori Pubblici Willer Bordon (a destra) con II ministro Piero Fassino

Luoghi citati: Istria, Italia