Lo champagne stappa il tutto esaurito

Lo champagne stappa il tutto esaurito Vendute nove milioni di bottiglie, dopo l'Inghilterra siamo i massimi importatori Lo champagne stappa il tutto esaurito Boom di vendite in Italia per le feste di fine anno Vanni Cornerò inviato a REIMS Basta con i tentennamenti: la ripresa c'è. A certificarlo non è il Fini o l'Ocse ma un indicatore che raramente inganna: lo champagne. E' vero che Napoleone diceva: «Si beve quando tutto va bene e si beve anche quando tutto va male», ma nel nostro caso vale la prima parte della frase. «Champagne? Non ce n'è più». Mette in chiaro Gino Setti direttore commerciale della D6C, che importa in Italia prodotti di alta immagine, primo fra tutti il Veuve Clicquot. «Quest'anno è stata ima vera corsa agli acquisti - prosegue Setti - e la richiesta è stata ampiamente insoddisfatta, dato che la produzione ha un tetto invalicabile. Così abbiamo dovuto rifiutare parecchi ordini e limitare quelli dei clienti storici». Insomma, detto in linguaggio borsistico si è andati «a riparto» per rispondere almeno in parte a una richiesta che superava del 10-15% quella del'98. Il fatto si ripete da tre anni e l'Italia con 9 milioni di bottiglie è, dopo l'Inghilterra, il Paese che importa più champagne. «Questo è veramente un anno in cui il mercato ha toccato il culmine delle possibilità - spiega Thierry Nataf, direttore commerciale di Veuve Clicquot - si parla di una produzione di 315-320 milioni di bottiglie contro 280 del '9B. Bisogna considerare che l'area dello champagne è un cerchio con 50 chilometri di diametro c la produzione è governata da regole ferree per garantire la qualità: 320 milioni di bottiglie sono veramente il massimo che 500 marchi di champagne e 5000 produttori possono dare». Euforia del nuovo millennio? Certamente, ma non euforia cieca, tant'è vero che la domanda ha puntato in particolare sulla ricerca della qualità superiore, delle «cuvée» più prestigiose: si cerca il meglio e lo si paga.«Quale migliore indicatore di un ritomo alla prosperità?», commenta Nataf e non lo sfiora nemmeno il rimpianto che ima ragionata politica di prezzo impedisca di fare impennare il fatturato dello champagne ben oltre gli attuali 670 nmiardi di lire annui. «Quella di questo vino è una storia che assomiglia all'indice Dow Jones - spiega il direttore commerciale della Veuve Clicquot - come azienda e come sistema siamo abi¬ tuati a ragionare sulla distanza e sulla fiducia. Le speculazioni di un momento non hanno senso». Per questo i produttori di uve ajfcui Veuve Clicquot si rivolge per coprire le sue necessità di vinificazione non premono sui prezzi, perché sanno che quando il futuro appare roseo è meglio cementare la fiducia con la correttezza. Bisogna saper guardare avanti, proprio come madame Clicquot, a cui oggi le Università dedicano seminari indicandola come «business lady». E la vista lunga la signora dello champagne c'è l'aveva: in pochi anni trasformò la piccola azienda ereditata dal marito in un marchio esportato in tutta Europa, Russia compresa, tant'è che nella prima metà dell'Ottocento a Mosca per dire champagne si diceva «Klikol skoe».

Persone citate: Gino Setti, Nataf, Thierry Nataf, Vanni Cornerò

Luoghi citati: Europa, Inghilterra, Italia, Mosca, Russia