Italia, provincia dell'Islam di Igor Man

Italia, provincia dell'Islam Continua il conto alla rovescia verso il nuovo % K Millennio, dieci giorni all'arrivo del Duemila Italia, provincia dell'Islam Igor Man ArcMtettonicamente bella contro il cielo color ceramica, col sole che giucca a rimpiattino con nuvole che cumulano immensi grumi mobili di bianchissima cera, la Moschea di Roma sembra essersi posata, appena adesso, sulle pendici di Forte Antenne, planando a modo di extracomunitaria astronave fra il verde e il cemento. Nel freddo ventoso di quest'aspro inverno romano svolazzano le lunghe vesti di donne semivelate (come se ne vedono al Cairo) che s'affrettano verso la Moschea seguite da allegri greggi di bambini con zainetto d'organza; gU uomini procedono lesti ma senza affrettarsi: siccome dignità vuole. Il richiamo del muezzin sfida il cupo linguaggio del traffico, riuscita imitazione d'un moto perpetuo minaccioso. È tempo di Ramadan, nella Roma del Giubileo. Ramadan è il nome d'un mese del calendario liturgico musulmano: segue il ciclo della Luna sicché conta 28, 29 giorni. Durante il Ramadan, dall'alba al tramonto, i musulmani sono tenuti all'«astensione», in arabo sawm : parola comunemente tradotta con digiuno. 11 musulmano è tenuto ad astenersi dall'assunzione di cibo, bevande, e anche dal fumo. È tenuto ad astenersi dai rapporti sessuali e altresì «dalle cattive azioni e dai cattivi pensieri». Poiché si fa peccato soltanto a pensar di commettere una cattiva azione (dal furto al tradimento, dall'offesa al piccolo imbroglio, dalla vendetta al suicidio eccetera), e giacché non è facile sottrarsi all'esercizio dìpensardifarqualcosa (anche brutta) e?co il buon musulmano calarsi in una sorta di «apatia mentale» che rifugge da tutto ciò che non sia il piccolo pensiero quotidiano, il franti un abituale. Il vuoto di pensiero epe rimane va colmato con la meditazione, con la preghiera. Ed è qui il valore massimo della Moschea: al pari della B? ittica cristiananon è soltanto luogo di preghiera ma altresì di aggregazione sociale, di incontro coni fratelli musulmani: siano essi parenti, amici o persone mai viste in precedenza. Prima di entrare nella Moschea, il fedele fa abluzioni rituali abbeverando così lo spirito alla premessa della preghiera eh'è, appunto, fonte di incontro coi «fratelli», ma soprattutto meditazione. Per poter pregare bisogna attraversare il chiostro che non è riservato agli «eletti», come nel monachesimo cristiano, bensì aperto a tutti. La Moschea, la chiesa della pratica religiosa musulmana, con la sua disposizione (craffigura la concezione del tempo e delretemità (del qui e del dopo) specifica dell'universo islamico. Tutto ciò è toccante, è (balisticamente metafisico» ma il credente qualunque, il musulmano di Roma che in questo sacro mese dell'islam frequenta con maggiore assiduità l'ariosa Moschea disegnata dal Portoghesi, la massa dei fedeli, se così può dirsi, sa, percepisce tutta codesta simbologia insita nella pietra del tempio islamico? La domanda è rivolta al mio accompagnatore ch'è, poi, un amico musulmano di vecchia data: il dottor Yussef M., già laureato in scienze politiche al Cairo e successivamente all'università di Palermo, ma di professione pizzaro. La risposta è serenamente semplice, tanto che ti spiazza. «Non importa il simbolo, il discorso interpretativo, Usignificativoescatologico: quel che conta è credere nel Dio Clemente e Misericordioso. Davanti al quale tutti i musulmani sanno di essere assolutamente eguali». E qui il mio amico pizzaro, mi indica le scarpe sparse in armonico disordine all'ingresso della Moschea. Sono diverse, scarpe da ricchi, scarpe da poveri, osservo, dov'è l'eguaglianza? «Nella consapevolezza di essere tutti, ricchi e poveri, umili e potenti, assolutamente eguali davanti all'Altissimo, sia sempre lode a Lui Eguali e dunque scalzi Non eguali perdi é scalzi Vede, il sawn, il digiuno, vuol proprio sottolineare questa eguaglianza tra gli uomini Digiunando, anche chi dispone di molto denaro può capire cosa significhi aver fame». Maometto, il giovine Muhammad, cammelliere coraggioso, al ritorno da ogni viaggio si ritirava a meditare e digiunare in una grotta del Monte Hira. E allo scoccar del tramonto allorché il colore neutro delle dune diventa rame fuso, in quel momento che spacca il cuore struggente com'è, un giorno, il quarantenne Maometto «vide» l'Arcangelo Gabriele. E questi gli rivelò il suo destino profetico. Stravolto dal turbamento, squassato da subitanea febbre, Maometto corse dalla sua cara sposa Khadigia. Col capo poggiato sul suo grembo, mentr'ella gli asciugava la fronte sudata, egli le parlò della Rivelazione e chiese consiglio alla saggia sua compagna. 11 consigho fu questo: ((Parlane agli altri della tribù». Maometto sapeva che sarebbe stato difficile credergli: quella del suo tempo era una società agnatica, violenta, lussuriosa, sommersa da una teoria infinita di idoli E infatti la sua predicazione incentrata sul Dio unico e solo trovò poche perplessi seguaci E così la piccola comunità raccoltasi intorno a lui, emigrò da La Mecca a Medina compiendo l'Egira, lHigra. Il digiuno venne stabilito nel 624, l'anno secondo dell'Egira. «O ved che credete, il digiuno vi è prescritto affinché possiate manifestare la vostra pietà. Digiunerete un numero preciso di giorni (...) Digiunate, dunque, tutto il tempo stabilito e lodate Iddio per avervi immesso nel buon cammino si da provargli la vostra riconoscenza». Cosi ò scritto nella Sura seconda del Corano (al Baqara, la Giovenca) in tre soli versetti: dal 183 al 185. "Tre versetti che fanno elei digiuno, durante il Ramadan, il quinto pilastro dell'islam. (Gli altri quattro sono: la professione di fede [shahada], la preghiera Isalat 1, l'elemosina \zakat], il pellegrinaggio a La Mecca Quest'anno che per noi gregoriani come da calendario chiude il 900, il Ramadan cade in un momento drammatico per tutto il mondo islamico: in Palestina la pace dei bravi segna il passo, pericolosamente; in Algeria la riconciliazione nazionale promossa con slancio storico da Bouttuka, non riesce a concretarsi, mentre nello spazio d'un terribile interludio riemergono gli assassini mandati dai falsi profeti dell'islamismo integralista, mossi dai soliti servizi (deviati) del cosiddetto «partito degli sradicatori». In Marocco le aperture del giovine re Mohammed VI vengono sabotate dal vecchio establishment della borghesia compradora, nel pacifico Egitto la follia religiosa continua a diffondersi come una turpe alluvione carsica. Le armi non si tacciono nel Kosovo né in Cecenia. L'islam «è» oggi un miliardo circa di musulmani. Forma, sul globo, un grande semicerchio: da Dakar all'Insulindia, ricordando l'iùlal, la falce della Luna nel suo primo quarto, divenuta nel volger dei secoli il simbolo dell'islam. La sua diaspora si spinge fino alla Cina, al grande Sud dell'ex Unione Sovietica, fino ai poveracci emigrati in Europa, i nostri vii compra che non sono macchiette bensì uomini, spesso disperati. (Così come lo erano gli italianuzzi che nel dopoguerra ripresero la valigia di fibra dei loro padri [quelli del "passaporto rosso"] emigrando per fare i lavori che ai tedeschi, ai belgi, agli americani eccetera facevano schifo). Forse un bel digiuno farebbe bene anche a noi occidentali, a noi italiani presuntuosi , stoltamente fieri d'una presunta superiorità tecnologica. Non dico durante un mese, ma soltanto una settimana smettere di masticar saccenza,^differenza, egoismo, razzismo (per altro sempre negato) ci salverebbe forse dal disastro. Vent'anni fa, all'incirca, intervistai Houari Boumedien, l'ascetico presidente dell'Algeria «Un giorno milioni di uomini per non soccombere alla carestia, alla fame lasce¬ ranno i poveri territori meridionali del mondo per invadere gli spazi accessibili del ricco emisfero nord mi disse -, Se il mondo avanzato comincerà subito ad attrezzarsi per ricevere un flusso tanto imponente di persone, avrà agito con saggezza e umanità garantendosi un futuro prospero. Se, al contrario, trascurerà questo ineluttabile evento, avrà sancito la sua disgrazia». La previsione-profezia di Boumedien s'è avverata: i poveri del Sud sono sbarcati al Nord, altre masse di diseredati s'annunciano e noi, cittadini del mondo libero e ricco, rischiamo di far la fine dell'asino di Buridano. In tutti noi, infatti, alberga una dicotomia comportamentale: esitiamo fra la difesa del nostro particulare e l'aiuto all'Altro. E spesso cadiamo nell'intolleranza. Questo perché il povero «straniero» irnmigrato, quasi sempre clandestinamente, ci appare arrogante oltreché rumoroso, invadente, sporco: «diverso», insomma. Nei lontani Anni 50 gli italianuzzi fuggiti dalla fame del Sud d'Italia per approdare in Svizzera, in Germania, in Belgio eccetera, apparivano ed erano rumorosi, invadenti, arroganti. Quasi sempre per celare o frenare le lacrime («le lacrime degli emigranti - ha scritto Withman -, han concimato Wall Street»). Poi, piano piano, non senza dolore, i Gestarbeiter più coraggiosi si sono inseriti in quelle società affluenti, molti sono stati assimilati e i loro figli hanno rinsanguato paesi anemici Ma ancorché rozza, sprovveduta nel senso totale della parola, quella massa di mirnigrati viveva, lavorava in una società straniera, sì, per lingua e costumi, opperò non completamente estranea perché europea, cristiana. Gli stessi irnmigrati in Italia dal Sud del mondo, pochi rispetto ad oggi, ma in ogni caso sempre vocianti eccetera, venivano assorbiti dalla nostra società civile senza eccessive scosse. Questo semplicemente perché quegli immigrati dal Sud mediterraneo, non desideravano soltanto di lavorare ma altresì speravano di integrarsi nella nostra società. «Era il mio sogno, era il nostro problema», conferma Yussef, il dottore in scienze politiche divenuto pizzaro. Oggi è diverso. Oggi u .problema è soprattutto culturale. Oggi colui che chiamiamo volgarmente vu cumprà chiede il rispetto della sua Cultura. Spesso lo pretende. (Si veda il caso di Torino). Ciò accade perché, grazie al cosiddetto «risveglio islamico» (nasce nei Trenta, si ingigantisce nel 1967 quando la «Guerra dei sei giorni» tritura Nasser con tutti gli ismi mutuati dall'Occidente, degenera dopo la flebo di integralismo iniettata da Khomeini) l'extra comunitario ha preso coscienza di essere figlio di una grande Cultura, l'islam. Ma la nostra società, laica ancorché cattolica, non è preparata perché è ignorante: nel senso che ignora cosa sia l'islam al punto da associarlo non di rado al terrorismo o all'idea-incubo di un'invasione islamica dell'Occidente. Così accade, fa notare Joseph Joblin, un padre gesuita della Gregoriana particolarmente attento al fenomeno migratorio dal Sud al Nord, così accade che la presenza dei «nuovi immigrati)), tanto differenti dai vecchi, possa determinare un problema di equilibrio tra culture diverse sullo stesso territorio. La cultura del gruppo maggioritario, la cultura dei nuovi venuti. Va ripetuto come poco o nulla, addirittura, sappiamo dell'Altro che ci sta di fronte, a un braccio di mare da Trapani (Palermo è più vicina a Tunisi che a Roma). Poco o nulla sappiamo del lavavetri rompiscatole del quale cerchiamo di liberarci con mille lire. E non senza malagrazia. Non sappiamo neppure quanti siano esattamente i cosiddetti extracomunitari, regolari e clandestini. L'Istat ne indica «circa ottocentomila». E i convertiti all'islam, esistono davvero, e quanti sarebbero? «Certo che sì», conferma Yussef M. «Ammontano a circa cinquecento. I più noti sono 'Abd ni Wahid principe Pallavicini e Hamza Roberto Riccardo. La maggior parte dei convertiti preferisce 1 anonimato. Si tratta di gente colta", affascinata dal sufismo». Altro slogan allarmistico: «Gli immigrati rubano il lavoro agli italiani». In realtà esiste «un eccesso di manodopera italiana qualificata mentre mansioni poco qualificate, faticose ovvero umilianti, vengono respinte». I lavoratori stranieri non rubano quindi il posto agli italiani. Al contrario «contrmuiscono a normalizzare coiti effetti perversi del mercato del lavoro». Infatti li troviamo pescatori a Mazara del Vallo (città forse unica al mondo: vi convivono ebrei, cristiani, musulmani, pacificamente, industriosamente), o , li troviamo braccianti agricoli in Campania e nel Lazio, facclùni, lavapiatti, spurgatori di fogne nel Veneto, addetu alle fonderie in Emilia eccetera. «La presenza dello straniero, tuttavia - mi dice il professor Andrea ftecardi, il famoso presidente-fondatore della Comunità di Sant'Egidio, da me ribattezzata "l'Onu di Trastevere" - questa presenza anche se non costituisce una concorrenza reale può divenire un feticcio su cui sfogare le frustrazioni di strati della popolazione elle possono essere abilmente incanalate verso l'intolleranza». Poiché a causa del nostro mediocre tasso di natalità ci avviamo a diventare fatalmente una società multietnica, riflettiamo sul fenomeno del miserabile che fugge dal Sud del mondo per invadere, come mi disse Boumedien, «il ricco emisfero nord». Per riflettere bene occorre eliminare ogni pregiudizio in forza del quale il «marocchino» o il «negher» è un fanatico religioso che accorre in Europa per mia controcrociata. L'industrializzazione in certi paesi del Sud del mondo, una industrializzazione mediocre e brutalmente imposta, ha finito col produrre un proletariato molto più esasperato dii quello dell'epoca paleocapitalistica. Una massa tmdmonalista è stata attirata nella città neocostruita, sradicata dal suo ambiente naturale e immersa nella miseria a contatto diretto con la ricchezza della borghesia compradora. Il razionalismo occidentale - retaggio del colonialismo -, applicato nelle forme più grette ha rasentato, nel Terzo Mondo, specie in quello musulmano, l'irrazionale: il miraggio della modernizzazione occidentale ha messo in movimento una massa convulsa di individui, di illusi, senza offrirle sbocchi adeguati. Da qui la fuga dall'inferno con solamente il Corano appresso. Soltanto il Corano poiché «la religione diventa l'anelito della creatura oppressa dalla infelicità, l'anima di un mondo senza cuore e lo spirito di un mondo senza spirito». Non è stato Khomeini e nemmeno Giovanni Paolo n a scrivere questo. E' stato Carlo Marx, prevedendo le fusioni e le confusioni che stanno all'origine dell'attuale radicalismo islamico. Ma non basta una valutazione in chiave psicogenetica, o politologica, per spiegare la crescita tumultuosa del radicalismo islamico, mi dice il giovine ma autorevole Khaled Fouad Allam, nato in Algeria, oggi cittadino italiano, docente di islamistica alle università di Trieste e di Urbino, allievo, alla Sorbona, di Mohammeti Arkoun. U fatto che la religione costitidsca il supporto di una ideologia che si costruisce in termini di Stato, di economia, di s)iaria (il diritto islamico), significa che lo spazio religioso «è mena religioso. È politico». Benché presente nel discorso di Averroè, l'autonomia dell'individuo non è stata accolta («sicché i musulmani sono limasti oifani di Averroè per lasciarlo aU'Gxxadcnte». Oggi gli intellettuali arabi parlano della «crisi della ragione» che affligge l'islam proprio come colpì l'Occidente nel XVI-XVU secolo. «Purtroppo non ci sono né Kant, né Cartesio e nemmeno Rousseau nell'islam», commenta amaro Khaled Fouad Allam. «Riuscirà l'islam a mondarsi dal radicalismo massimalista? A recuperare le sue spie ndide fondamer. a?», si domanda Younis Tavvfik, lo scrittore irakeno-torinv se, autore di quel romanzo-v -t ita davvero splendido ch'è «L t straniera» (Bompiani). «Allah 'alani, Dio solo lo sa», si xisponde. Che sia in atto un coni atto culturale tra isliun e cristianesimo. .essuno può negarlo. Bisognerà affr. intarlo con sereno realismo anche perché leggi inadeguate, buanismo, ipocrisia rischiano di trasformare il Bel Paese non già in Una terra di nessuno ma in una specie di porto franco di traffici illeciti, di criminaltà. Da qui l'urgenza di leggi e strumenti che sappiano innanzitutto distin- §aere tra i rifugiati politici e quanti, uoni e cattivi, inmterrottamente sbarcano in Italia convinti che sia Lamerica vista alla tv. E, ultimo ma non meno importante, va riconosciuto all'immigrato che da noi e per noi lavora, il diritto alla sua specificità culturale ch'è essenzial mente religiosa. Sarà questa ia grande sfida deuinuninente 2000. Si è avverata la profezia di Boumedien: «Milioni di uomini lasceranno i poveri territori per invadere gli spazi del ricco emisfero nord: sarà saggio chi li accoglierà» «Gli immigrati non ci rubano il posto di lavoro ma al contrario contribuiscono a normalizzare certi effetti perversi del mercato: è sbagliato parlare di concorrenza» % K L'abbraccio tra due fedeli musulmani durante una celebrazione alla moschea di Roma