La cavalcata dei quarantenni

La cavalcata dei quarantenni La cavalcata dei quarantenni Finita la stagione dei dinosauri ex sovietici personagg Domenico Quirioo VLADIMIR Putin, il trionfatore delle elezioni russe, quando morì Stalin non balbettava neppure le prime sillabe. Serghei Shoigu, leader del partito che in due mesi di vita ha rosicchiato 80 anni di rendita comunista, è nato nel 1955: quando illanguidiva la tiepida primavera di Kruscev frequentava le scuole elementari. Sergej Kirienko, ex premierlampo nabilitato dalle urne, nei giorni in cui i carri armati di Breznev spensero il socialismo dal volto umano a Praga aveva appena finito l'asilo. La vera rivoluzione del voto di domenica bisogna leggerla nell'anagrafe: fragorosamente è balzata alla ribalta una nuova generazione di politici, Suar antenni orgogliosi, aridi, pruenti, sornioni che si preparano a raccogliere e gestire la eredità di Eltsin. Per loro il mondo della vecchia Urss, la mitologia dell'eguaglianza e l'orrore dei gulag, sono mercanzia da mettere in soffitta; non hanno rimorsi, solo volontà di potere. E' un passaggio fondamentale in un Paese in cui il peso della memoria à stato finora opprimente e tutti i dirigenti portavano nei cromosomi, comunque, lo stampo della vecchia Unione Sovietica. I quarantenni hanno affilato le unghie nel calderone ribollente del termidoro eltsiiìano, scuola durissima di sopravvivenza. Li ha aiutati la didattica raffinata della scuole del Kgb: hanno buttato via l'ideologia ma hanno conservato la machiavellica tecnica del potere. Si avvia al tramonto la stagione dei (finti) postcomunisti, i camaleonti usciti dalla nomenklatura so¬ vietica e rifioriti attorno al nuovo regime. Primakov, Luzhkov, Cernomyrdin, Ziuganov sono il passato. E anche se Eltsin sorride rinfrancato da questa ennesima beffa a chi lo dava polit icamente defunto, il futuro non è neppure più suo. Basta guardare come vestono Eer capire la profondità del cami amen to. Da una parte le giacche a vento da perenne stakanovista di Ziuganov, lo stile «cekista» di Luzhkov con i soprabiti in pelle e i cappellini kruscioviani, le grisaglie da riunione al Comecon di Primakov. Appaiono in televisione e evocano una lunga concatenazione di miserie. I nuovi padroni hanno buoni sarti o vanno in tv con il casual che piace a Clinton e Blair. Le mogli frequentano la boutique di «Dolce e Gabbana», gli hobby sono il karaté e il tennis e non gli scacchi o l'orticello nella dacia, parlano perfettamente tedesco e inglese, non sono finti inge¬ gneri come i vecchi dirigenti ma hanno studiato il sistema bancario e lavorano al computer. In Russia, tra disastri e povertà, cresce, arrangiandosi, una generazione che gli assomiglia, forse arida e senza ideali ma che ribolle di energie incoerenti: finirà per identificarsi nel loro stile. Putin, ad esempio, viso pallido e severo, occhi d'acciaio, voce senza asperità, un riso raro ma che morde. Questo allievo modello del kgb, capo dei servizi in Germania prima della grande ritirata imposta da Gorbaciov, non ha certo l'aspetto di un seduttore di folle. Ma «il cardinale grigio», come lo chiamavano i colleghi quando si allenava tirando le fua dell'amministrazione di San Pietroburgo, ha dato una lezione di scalata al potere. Dicevano che era un burattino, destinato a essere immolato ai ghirigori della politica di Eltsin che cambia premier più della giacca. In quattro mesi ha manovrato la guerra in Cecenia come una clava stila testa dei rivali. I russi hanno bisogno di dire basta alle umiliazioni degli anni del caos, di sentire rassodato il loro nazionalismo: e lui appare in tv nela carlinga dei caccia che mettono a posto gli insopportabili ceceni, stringe la mano ai commandos che finalmente vincono battaglie come ai bei tempi. E poi risponde per le rime alle proteste di questo Occidente così arrogante e vergognosamente ricco. Serghei Shoigu bisognerà inserirlo nel Gotha della politica spet¬ tacolo. Ha fondato la Protezione civile russa; sembra una bazzecola, ma in un Paese dove tutto è marcescente e tarlato è un posto chiave. Ha messo insieme un corpo di pompieri-ranger semilitarizzati che accorrono a sirene spiegate (e con efficienza) ovunque: alluvioni e case crollate, bombe cecene e profughi daghestan!, incendi e apocalissi ecologiche, perfino nella Turchia sconvolta dal terremoto. Naturalmente portandosi dietro le telecamere delle tv. Ogni sera i russi, a cena, hanno imparato a vedere questo trentaquatrenne iperattivo; e hanno cominciato a pensare che, in fondo, nel loro Paese disastrato c'era ancora qualcuno che sapeva far funzionare le cose. Ai successi della Protezione civile ha aggiunto una robusta dose di polemica contro i politicanti, la Duma dei perdigiorno e dei corrotti: come poteva non avere successo? Forse la loro determinazione è tutta in un episodio della biografia di Serghej Kirienko, altro quarantenne m carriera, il premier-baby che Eltsin gettò nella fornace della crisi economica russa. Raccontano che quando a scuola incontrò la futura moglie Masha le disse senza scherzare: «Ti sposerò». La ragazza, sdegnando quel secchione così anonimo e bruttino rispose: «Mai». Alla fine l'ha sposata. Da sinistra: Serghej Shoigu, l'ex premier Kirienko con la moglie e Vladimir Putin

Luoghi citati: Cecenia, Germania, Praga, Russia, San Pietroburgo, Turchia, Unione Sovietica, Urss