Basterà la scimitarra per i nodi del governo? di Filippo Ceccarelli

Basterà la scimitarra per i nodi del governo? IL PALAZZO Basterà la scimitarra per i nodi del governo? Filippo Ceccarelli Eia spada, anzi la scimitarra? In vista della crisi, qualche giorno fa, il presidente del Consiglio Massimo D'Alema ha ricordato di aver ricevuto in dono nei suoi viaggi diverse scimitarre, anche da Gheddafi. «Ne sceglierò una - ha fatto sapere - e la porterò via per sostenere la battaglia...». Per ora, evidentemente, è rimasta nel fodero. Ma l'evocazione dalemiana è comunque rimarchevole. E non solo perché ha subito trovato autorevole convalida nelle parole del presidente del Senato, secondo cui il presidente dimissionario «ha uno spirito guerriero e spesso parte lancia in resta» - anche se poi Mancino ha aggiunto maliziosamente che «spesso è costretto a fare marcia indietro». Il fatto è che la spada rientra in qualche modo anche nella tradizione comunista. Franco Rodano, l'intellettuale che fu anche tra i consiglieri di almeno un paio di segretari del Pei, sosteneva che il partito di Togliatti era «gladius dei», gladio divino. Mentre al leader protoriformista Giorgio Amendola si attribuì una specie di divisione dei compiti con Napolitano: «Lui usa il fioretto, io la sciabola». Per quanto riguarda le virtù spadaccine di D'Alema, vale giusto la pena di osservare che qualche anno fa, forse per via dei baffetti, venne chiamato «Aramis». Ma adesso la storia della scimitarra, o .spada a . forma di falce, sposta senz'altro l'immagine presidenziale dal moschettiere di Dumas al Feroce Saladino. Più di una volta - l'ultima nel febbraio scorso a Miglionico, il paese in provincia di Matera da cui provengono i suoi avi - D'Alema ha ritenuto di informare la pubblica opinione sull'origine degli «Alemio», giunti in Italia appunto come spietati soldati arabi. Ancorché al momento sotto prudente controllo da parte del presidente, la vocazione bellica e l'esaltazione metaforica della spada non sono così ricorrenti nella politica italiana. Il quarantennio democristiano ha celebrato po■ chissime armi da taglio, a I parte i minuscoli stiletti da congiura di palazzo e le forbici per tagliare i nastri. C'era lo scudo, soprattutto, nell'utensileria De, e la vanga della Coldiretti, e alla fine il piccone. L'Alberto da Giussano leghista, con il suo brando - pare ispirato a Bossi dal marchio delle biciclette Legnano - costituisce appena una parentesi, sia pure sintomatica. Per ritrovare veramente la spada nell'immaginazione politica occorre infatti riandare al fascismo - «E' l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende» - e riguardarsi quella foto (anche ritoccata, come si scoprì dopo) di Mussolini su un cavallo bianco con un enorme spadone levato verso il cielo: la spada dell'Islam, neanche a farlo apposta. Grande è la potenza simbolica di quest'arma, con opportune ricadute magiche, mistiche e sacrali. Dalla spada fiammeggiante dell'arcangelo che caccia dall'Eden Adamo ed Eva allo spadino «wakizashi» con cui i samurai procedono al suicidio rituale, detto «harakiri». Carlo Magno, inoltre, scelse la spada come insegna di sovranità, mentre a San Paolo, a Santa Caterina e a Thomas Becket fu imposta come simbolo di martirio. Insomma, ce n'è davvero per tutti i possibili destini. Tra la minaccia incombente di Damocle e la mortificante rappresentazione di Brenno, alla cronaca minuta della Seconda Repubblica viene così ad aggiungersi la scimitarra dalemiana. La crisi di governo offre intricatissimi nodi e grovigli da sciogliere. Paragonare D'Alema ad Alessandro Magno pare in effetti eccessivo, ma anche il re macedone, a Gordio, non aveva molto tempo da perdere. ^laj

Luoghi citati: Giussano, Italia, Matera, Miglionico, San Paolo