«Chiarimento radicale», D'Alema ci prova di Federico Geremicca
«Chiarimento radicale», D'Alema ci prova Un intervento colmo di dati economici e con riferimenti a Internet: «Sbagliato interrompere la legislatura» «Chiarimento radicale», D'Alema ci prova Alle Camere dice: saggi per Tangentopoli e riforme subito Federico Geremicca ROMA L'ultima metamorfosi di Massimo D'Alema si consuma alle cinque della sera, dentro un'aula di Montecitorio piena solo per metà e le strade tutt'intorno, invece, zeppe delle luci e della folla del Natale. L'ultimo "uomo forte" della sinistra italiana - il "leader Massimo", il "Dalemoni", il presidente guerriero dell'intervento in Kosovo - sorprende la platea: non rovescia tavoli, non lancia sfide, tiene a bada ironia e sarcasmo, e intrappola amici e nemici dentro un discorso molle come le sabbie mobili e appiccicoso come il miele. Niente duelli e niente sangue, insomma, nell'arena di Montecitorio. «Un eccellente discorso, da democristiano», -sintetizzerà. poi -Irene Pivetti. Ma Fausto Bertinotti, per amore della precisione, la correggerà: «Da andreottiano. Infattl"qTitìsta;,è unacrisi con sbocco andreottiano...». Definizioni accettabili: a patto di non commettere l'errore di prenderle così, entrambe all'ingrosso. Di democristiano, infatti, le 18 cartelle lette ieri da D'Alema nell'aula silenziosa di Montecitorio (un solo applauso, e solo alla fine) avevano soltanto la filosofia di fondo: e cioè la prudenza, tesa a non scontentare alcuno ■ e a non offrire pretesti per agguati dell'ultima ora. Quanto allo «sbocco andreottiano»... prima vediamolo, questo sbocco, e poi ne parliamo: dal Divo Giulio, infatti, ieri D'Alema ha mutuato solo la estenuante puntigliosità dell'elencazione minuta dei risultati ottenuti dal governo. Per il resto, la metamorfosi è troppo repentina per esser vera. «Ha detto ai suoi amici della maggioranza "io mi occupo del Paese e delle cose da fare, a voi la bassa cucina delle guerre per i ministeri"...» annota alla fine Casini. In fondo, è precisamente così. In coerenza, verrebbe da dire, con l'unico vero obiettivo che D'Alema ha assegnato a questo «chiarimento radicale e serio»: saltare l'ostacolo, continuare a governare e poi lo vediamo chi mi caccia da qui e chi mi sbarra la strada verso la candidatura a premier nel 2001. Perché se c'è una cosa crudele e chiara in questa crisi, è che si gioca a carte scoperte: e cioè, D'Alema sa che Democratici e Popolari lo lasciano lì dov'è per provare a indebolirlo giorno dopo giorno; e Parisi e Castagnetti sanno che, da lì dove lo stanno per lasciare, D'Alema lavorerà per non farsi fregare e per tentare, magari, di fregare loro. E se questa è la partita vera sullo sfondo, c'è da meravigliarsi per il tono dimesso e l'approccio modesto al quale il "premier dimissionante" ha improntato il suo intervento? Per altro, la lunga sequela di dati economici citati (dalla diminuzione dell'indebitamento, • dell'inflazione, del cesto del lavóro, del numero di poveri, della pressione fiscale all'aumento degli occupati, del numero delle imprese attive, dell'indice della Borsa e perfino dei navigatori Internet) la lunga sequela di dati, dicevamo, potrà anche annoiare: ma è la fotografia di un paese «cresciuto nel prestigio grazie alla strada fatta». Così come è vero - anche se il passaggio è apparso tatticamente indirizzato soprattutto a rabbonire Boselli - che sugli anni del comunismo e di Tangentopoli, D'Alema non ha cambiato posizione. «Non sono mai stato contrario - ha ripetuto il premier ieri alla possibilità di una ricognizione coraggiosa per ricostruire la verità sul nostro passato... Penso che sarebbe utile dar vita ad un comitato che possa preparare per il Parlamento un rapporto sulle vicende del finanziamento dei rapporti e sul rapporto tra politiee e affa»? Resto convinto che un tale organismo - che dovrebbe essere dotato dei necessari poteri d'indagine - dovrebbe essere composto di personalità scelte al di fuori del Parlamento perché non è ragionevole pensare che i partiti indaghino su se stessi né che ci siano rivincite della politica sulla magistratura». Difficile immaginare che questo basti a far rientrare la decisione dei socialisti di Boselli di non votare a favore del possibile D'Aiema-bis: ma più di questo, il premier davvero non poteva concedere. Del resto, anche nel passaggio finale del discorso (quello dedicato alla verifica politica da avviare) il presidente del Consiglio ha usato toni prudenti e nient'affatto polemici verso lo Sdi, che pure gli aveva riservato nell'ultima settimana - conte- stazioni e polemiche di ogni tipo. «Abbiamo di fronte un passaggio complesso che deve esser vissuto da tutti, e innanzitutto da me, con grande senso di responsabilità - ha constatato D'Alema -. Il Paese non ha bisogno di lacerazioni e, tantomeno, di uno scioglimento traumatico della legislatura... Per questa ragione il mio auspicio e impegno e che dal travaglio di questi giorni nasca un governo rinnovato, forte e adeguato ad affrontare i compiti che ci attendono». Quando ha smesso di parlare il centrosinistra lo ha applaudito a lungo: ma non Boselli, e nemmeno La Malfa e i cossighiani. Poi, il finn di tutte le crisi: replica del discorso al Senato, riunione-lampo del Consiglio dei ministri, salita al Quirinale e dimissioni. Avrebbe mai immaginato, D'Alema, che il suo primo governo sarebbe durato il. lampo di 423 giorni? Diremmo di no. Ma il punto, ormai, non è più questo. Il punto è vedere se il bis - il da lui auspicato e probabile bis durerà ì quasi cinquecento giorni che potrebbero consentirgli di arrivare da favorito alla scelta del candidato premier per le elezioni del 2001. Che è, poi, la questione delle questioni al centro di questa altrimenti incomprensibile crisi. Il premier in aula «Il Paese è cresciuto nel prestigio grazie alla strada fatta in questi anni» «Il mio auspicio è che dal travaglio di questi giorni nasca un governo rinnovato» e e l l l , , l a i a r ,
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