Un giurì d'onore per dimenticare di Filippo Ceccarelli

Un giurì d'onore per dimenticare Un tempo evitava i duelli, oggi questo istituto serve solo per prendere tempo Un giurì d'onore per dimenticare Filippo Ceccarelli Giurì d'onore, giurì di che? Perché francamente non è che proprio abbondi, l'onore, in questa Seconda Repubblica. Sarebbe carino poter chiedere un parere sulla controversia Bampo-Bagliani all'onoratissimo barone Colonna di Cesarò, che nel 1922 introdusse nel costume parlamentare questo istituto dal titolo di ottocentesca magniloquenza per evitare i duelli. Per oltre mezzo secolo, esclusa la parentesi fascista, la benemerita iniziativa ebbe un glorioso e funzionale destino, nel senso che salvaguardò la dignità di tanti parlamentari, evitandone anche gli sbudellamenti. Ma adesso? Adesso è già molto se l'onore - nel senso alto della parola - viene considerato un optional. Poco onorata, effettivamente, appare la classe politica della Seconda Repubblica, a cominciare dal modo in cui onora la coerenza. Non è un caso che l'ultima invocazione di un giurì provenga dal mondo vasto e brulicante dei transfughi, ex leghisti ormai rapiti dal demone del nomadismo, gruppi di girovaghi e giostrai in lite tra loro. Un tempo queste giurie s'infiammarono per accuse tremende e personali che oltrepassavano gli stessi confini di partito. Ferruccio Parri, per dire, che non volle far cadere nel nulla una parola - «venduto» pronunciatagli contro dal separatista Finocchiaro Aprile. Oppure Sceiba, che accusò il comunista Li Causi di essere vicino al bandito Giuliano. Ora è una storia di ordinaria corruzione parlamentare - e Un miserabile, considerata la cifra: 200 milioni per la sopravvivenza di un governo. Che oltretutto nessunissimo giurì, privo di qualsiasi potere coercitivo, sarà mai in grado di documentare. Per cui l'istanza sa tanto di rituale scappatoia o di astuto temporeggiamento. Si chiede il «tribunalino», ma intanto il tempo passa e la gente si dimentica. Gli ultimi giurì di cui si serba memoria (il de Cristofori e il de Pomicino contro il socialista Piro) furono allestiti nel 1991. Ebbene, in uno ci furono difficoltà a trovare il presidente; una delle parti (Piro) si riservò un «diritto alla ricusazione»; i lavori andavano abbastanza a rilento. E alla fme si trovò il modo di dare torto e ragione a tutti. Venne letta una paginetta nell'aula di Montecitorio e buona notte. A questo, grosso modo, serve il giurì - quando non è una esplicita perdita di tempo. Senza riandare agli scontri Sullo-Covelli, o Niccolai-Vassalli, Mancini-Quilleri, Almirante-Manco, chi ricorda come finì in tempi più recenti tra Capanna e Gunnella sulla mafia? 0 tra Melega e Labriola sulla P2? E le accuse di Boato al psdi De Rose su una fabbrica d'armi, addirittura, in Sudafrica? Mah, vai a sapere. Se non bastasse, la Camera è sempre molto gelosa degli atti, che restano segreti. Ci sono stati conflitti forse anche ragguardevoli: tra il generale Miceli, ad esempio, già capo del controspionaggio, e Andreotti sulla sicurezza nazionale e internazionale; come pure tra l'ex ministro Bisaglia e il senatore missino Pisano a proposito dei finanziamenti a Pecorelli. are Risulta poi (fra le note di un sàggio del funzionario parlamentare Luigi Ciaurro) che Palmella e il repubblicano Dodo Battaglia hanno litigato su Osimo; che il de Ciccardini e il pannelliano Cicciomessere hanno chiesto un intervento su tangenti e Difesa. C'è anche stato un giurì d'onore tutto radicale, o meta-radicale, tra l'avvocato De Cataldo e la Bonino. E un altro al Senato tutto leghista, o trans-leghista, fra Staglieno e Tabladini. Ma di solito il giurì non fa storia. Non può farla anche perché è uno strumento senza poteri, una specie di club senza potestà disciplinare o investigativa. Quel poco che se ne sa si trova in un vecchio articolo di Aldo Bozzi, galantuomo del pli noto per la sua barbetta risorgimentale. Ma il punto vero, cruciale, per certi versi forse anche inevitabile è che nella politica è cambiato il concetto stesso di decoro, di reputazione, di rispettabilità. Un po' l'onore s'è perso; un po' s'è scambiato con altre virtù eminentemente democristiane tipo la pazienza; un altro po', specie negli ultimi tempi, è stato sacrificato sull'altare del successo mediatico e della visibilità. Che senso, che pregio, che qualità dell'onore possono avere politici che cantano, ballano, si travestono, si spogliano, spengono candeline, accarezzano pelouches e compaiono in mutande a Ciao Darwin? Così, la compravendita dei deputati finisce quasi per sembrare un male minore, o almeno un richiamo a una certa concretezza. Tutto è guadagnato, in fondo, fuorché l'onore. L'ultimo «tribunalino» fu allestito nel '91 per una lite fra il de Pomicino e il psi Piro Ferruccio Parri volle la giuria perché Finocchiaro Aprile lo aveva chiamato «venduto»

Luoghi citati: Cesarò, Pisano, Sudafrica