Il «nemico» Formica
Il «nemico» Formica Il «nemico» Formica «Dopo la lite delle comari ci prendemmo un caffè» ROMA Il «commercialista di Bari», ovvero Rino Formica secondo Nino Andreatta, che a sua volta si beccò in risposta un bel «...e tu sei una comare di Bologna», è ovviamente addolorato per lo stato di salute di quello «che non potrei mai definire come un nemicò, mai; e che invece è sempre stato un amico caro»; La polemica, lo scambio di battute tra il ministro delle Finanze socialista e quello del Tesoro democristiano, è del novembre del 1982. Formica proponeva il congelamento dei Bot, e si beccò da Andreatta l'appellativo di «trafelato commercialista di Bari». Formica, lei reagì con altrettanta veemenza. Pentito? «Quella battuta non era di Andreatta. La scrisse sul Popolo, mettendola in bocca a lui, Remigio Cavedon, che poi di quel giornale diventò direttore. Perché, allora come oggi, anche se adesso è assai peggio, il giornalismo politico fatto di battute produce questo effetto, di imbarbarire i rapporti e la politica. Andreatta e io, invece, siamo stati sempre amici». Come andò veramente? «Quella mattina, prima del consiglio dei ministri nel quale si ratificarono le dimissioni del governo, io e Andreatta ci vedemmo a casa di un amico.il dottor Briatico, a prendere un caffé. Il rapporto amichevole è poi continuato, a Madonna di Campiglio, al ristorante insieme anche pochi giorni fa, e per anni e anni sul lavoro, quando io ero alle Finanze e lui presiedeva la commissione Bilancio del Senato...». E allora, come venne fuori quello scambio fulmineo che rese celebre il temperamento dell'uno e dell'altro? «Venne fuori come sintesi di ragioni di dissidio profondo. E perché il presidente del Consiglio, che allora era Spadolini e si trovava all'estero, colse il senso di quelle battute, e volendo pertineggiare, disse "fuori tutti e due!". Fuori dal governo, naturalmente. Mentre invece non noi, ma i nostri partiti non volevano più lui, Spadolini, al governo. E quando capì che la sua era una gaffe, tentò di ricomporre. Ma a quel punto, i partiti erano, come dire, già partiti...». E adesso che il suo amico sta male? «Ho provato un grande dolore, perché viene meno un ingegno di grande valore, di grande rigore. Lui appartiene a una generazione che aveva una passione politica profonda, totale. E basti a significarlo il fatto che è caduto a mezzanotte, alla Camera. Sul campo. Vorrei sapere quanti giovanotti del ppi a quell'ora erano al lavoro». Cosa la colpiva di lui, quando lavoravate assieme? «Il grande temperamento politico e il disinteresse. La politica, oggi, è a sangue freddo, il sangue freddo dei burocrati. E invece Nino sapeva miscelare passione e fredda lettura dei fatti. Se muore, sparisce un gigante». Cosa vorrebbe ricordare del suo rapporto con Andreatta? «Abbiamo fatto insieme tante Finanziarie, e io mi sono accorto che lui aveva una sua disciplina politica. Negli anni tumultuosi dall'89 al '92, e pur nelle nostre tumultuose discussioni, le conclusioni politiche erano sempre all'unisono». Però riconoscerà che all'aneddotica sono passate molte di quelle vostre «discussioni». «Mica vero. Andreatta discuteva moltissimo, e fortissimo anche con Guido Carli, che era allora al Tesoro, nei cui confronti tutti avevano un profondo rispetto. Carli veniva dalla Banca d'Italia. Anche con lui, come con me, come con tutti, Andreatta aveva l'atteggiamento del buon docente. Non dimenticava, nonostante la passione politica, di dover capire le ragioni di chi ascoltava. Come fa, appunto, un buon professore». (a. rain. !
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