«Il mercato non basta a migliorare il mondo»

«Il mercato non basta a migliorare il mondo» Sviluppo umano: Fabre spiega il rapporto dell'Orni «Il mercato non basta a migliorare il mondo» intervista TORINO Abbiamo veramente chiaro in mente quale sia il fine dello sviluppo delle nostre società o non siamo invece degli autolesionisti? Con questa domanda Jean Fabre, vicedirettore dell'Undp, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, ha presentato ieri al Bit il rapporto '99 dell'Agenzia, il decimo, «Lo sviluppo umano: la globalizzazione», pubblicato da RosenborgfcrSellier. Il primo rapporto, nel '90, apriva con una riflessione: «Il fine dello sviluppo consiste nel creare un ambiente che consenta agli individui di godere di una vita lunga, sana e creativa. Questa semplice, ma potente, verità viene spesso dimenticata nella ricerca della ricchezza materiale e finanziaria». Il decennio invece, dice Jean Fabro, si chiude con una globalizzazione selvaggia, che confonde la libertà con l'assenza di regole e, incurante dei veri bisogni dell'uomo, prepara una inevitabile catastrofe. Jean Fabre, i rapporti precedenti parlavano di crescita economica, questo invece ruota intorno all'uomo. Perché questo cambio di rotta? «Perché la domanda essenziale è: come sta la gente? Non qualcuno, non la "crema" dei 500 ultraricchi che ogni secondo aumentano il loro reddito di 500 dollari, non i due miliardi che se la passano abbastanza bene, ma l'umanità in generale. Il Prodotto interno lordo è una unità di misura fuorviente. Gli uomini non sono mai stati così ricchi come oggi - di mezzi, di sapere, di comunicazione - ma le disparità che si sono create sono grottesche». E forse anche pericolose. «Sì, molto pericolose. Lo globalizzazione non riguarda soltanto i flussi di beni e di ricchezze. Sono globalizzati anche i problemi ambientali, le malattie, la criminali¬ tà. Oggi nessun gruppo è più al sicuro. Siamo tutti interconnessi e gli anelli deboli sono la debolezza anche dei forti». Anche lei, dunque, ritiene che soltanto un rovesciamento dei valori e delle priorità può portarci su spiagge più sicure? «La parola chiave dev'essere: cooperazione. L'attuale modello di sviluppo non è lungimirante. Il mercato non guarda la qualità della vita e neppure la vita in sé. Per il mercato conta soltanto la competizione: se qualcuno non è competitivo, viene eliminato. Ma siccome non muore, finisce da qualche parte, e lì nasce un problema. Un problema che è di tutti». E' come se la competizione, che grazie alla medicina moderna non ò più la sopravvivenza del più adatto fisicamente, si rosse traferita su un altro piano: sopravvive il più adatto economicamente. «Oggi la società ha come modello il gladiatore, dalla culla alla tomba. Quello che conta è guadagnare. Che cosa succeda agli uomini, è' considerato irrilevante. Ma io faccio una profezia: tra pochissimo la forza delle cose ci costringerà a rifare il patto sociale, economico, ambientale. Nessuna società regge a lungo senza un sistema di valori condivisi né regole di convivenza». Ma la globalizzazione ò un processo senza ritorno, «il problema è il suo essere un processo parziale: non è prevista, ad esempio, la libera circolazione degli uomini. E quegli stessi governi che hanno abbattuto le frontiere economiche, si sono ritirati all'interno di quelle politiche e cercano soluzioni domestiche a problemi mondiali. Non è più possibile agire così. Per problemi globali occorrono soluzioni globai. E una nuova etica. O si rida valore alla vita, a tutte le vite, o anche le comunità ricche imploderanno. Sta già succedendo: degli 80 conflitti scoppiati negli ultimi quattro anni, soltanto tre erano guerre tra Stati. Tutti gli altri, erano implosioni interne».

Persone citate: Fabre, Jean Fabre, Jean Fabro

Luoghi citati: Stati, Torino