Università com'è lontana l'Europa
Università com'è lontana l'Europa Atenei in agitazione per la riforma: in azione lobby, corporazioni, interessi privati Università com'è lontana l'Europa Nicola Tranfaglia LE università della penisola sono in queste settimane sempre più in agitazione. La riforma è ancora sulla carta ma professori e ricercatori sono preoccupati per molte ragioni. Il decreto generale sul cosiddetto 3+2 è ormai in vigore ma nulla si può fare se il ministro non emana i decreti d'area che dettano i requisiti minimi per costruire i nuovi percorsi di laurea. Proprio oggi il ministro presenta al Consiglio Universitario Nazionale il primo decreto d'area elaborato dagli esperti a suo tempo nominati. Peccato che questo decreto che include 41 classi di laurea non sia completo perché esclude i corsi di laurea presenti nelle Facoltà di Medicina, Veterinaria e Farmacia, di Formazione Primaria perle quali ci vuole il concerto di altri ministeri e soprattutto peccato che il decreto si fermi alle lauree triennali, cosiddette di primo livello, e nulla dica su quelle specialistiche, di secondo iivello, che gli studenti potranno conseguire dopo cinque anni di corso. Ma come si fa a giudicare le lauree triennali se non si sa nulla su quelle specialistiche? E come potranno le Facoltà organizzare nel prossimo anno accademico 2000-2001 i nuovi percorsi didattici triennali se non si possono costruire quelli specialistici? Il sospetto che ci si voglia fermare al primo triennio, escludendo così di fatto la ricerca dalle università, percorre il Paese e genera un senso assai forte di amarezza e di delusione. Ma l'agitazione che si percepisce in queste settimane negli studi universitari non si ferma qui ed ha sicuramente altre ragioni. È infatti ormai vicino all'approvazione in via definitiva il progetto di legge n. 5980 che è nato con l'idea di creare una terza l'ascia di professori che dovrebbe ospitare gli attuali ricercatori prevedendo per essi una prova didattica che rischia di essere una vera e propria sanatoria. Come se ciò non bastasse (ogni sanatoria ha un sapore sinistro in un Paese come l'Italia nel quale già i concorsi non sono un modello di meritocrazia!) quel progetto di legge contiene una frase ancora più sinistra perché prevede all'articolo ! che nella sanatoria rientrino «le figure equiparate ai sensi dell'articolo 16 della legge 19 novembre 1990» che in parole povere significa una parte più o meno grande di tecnici laureati. Cioè di persone che in certi casi sono anche ricercatori ma in altri svolgono mansioni esclusivamente tecniche e nulla o pochissimo hanno a che fare con la ricerca scientifica. Il paradosso del progetto che ha visto in Parlamento un affollarsi di consensi molti dei quali derivano proprio da ricercatori che sono oggi deputati o senatori (ma in questo Paese non esiste proprio più il conflitto d'interessi?) è che ai futuri professori ricercatori non si danno né maggiori emolumenti né mutamenti significativi di stato giuridico salvo il fatto che possono fare i presidi di facoltà, di addossarsi cioè un onere notevole senza poter neppure partecipare alle riunioni dei professori ordinari e degli associati in cui si decidono le chiamate e i trasferimenti giacché così dicono le leggi ancora vigenti. Un secondo paradosso, per non dire beffa, attende i futuri professori di terza fascia giacché il disegno di legge sullo stato giuridico attualmente in discussione dice che si tratta di una fascie ad esaurimento e questo porterà senza dubbio a far sì che l'esercito dei ventimila professori-ricercatori (età media superiore ai quarant'anni) premerà con ogni forza nel prossimo ventennio per accedere alla seconda fascia, tagliando così la strada ai più giovani che dovranno in un solo balzo accedere alla seconda fascia. Qualcuno si chiederà a questo punto, come ha fatto l'altro ieri Angelo Panebianco sui Corriere della Sera: come è possibile che si vada avanti in questo miscuglio di corporativismo d'accatto e di così forte contraddittorietà? La risposta richiederebbe lunghi discorsi che in questa sede non è possibile delineare ma una cosa appare assai chiara a prima vista: la «transizione infinita» della Repubblica e la debolezza del governo e dei partiti lasciano liberà strada ai vari gruppi di pressione, alle corporazioni, agli interessi privati anteposti a quelli pubblici. E tutto in un orizzonte che non si pone i problemi del futuro ma naviga a vista, oppresso dalle scadenze quotidiane come se domani ci fosse il diluvio e nel frattempo si dovesse cercare ad ogni costo l'appoggio dei futuri elettori senza preoccuparsi di individuare regole coerenti e capaci di assicurare un'università moderna al Paese. Sì, certo, siamo entrati in Europa, ma quando l'Europa arriverà in Italia, nel sistema universitario italiano? Nicola Tranfaglia, preside della facoltà di Lettere all'Università di Torino. A destra, Margherita Hack, professore emerito all'Università di Trieste. In alto, studenti di Giurisprudenza dell'Università «La Sapienza» di Roma
Persone citate: Angelo Panebianco, Margherita Hack, Nicola Tranfaglia
Luoghi citati: Europa, Italia, Roma, Torino, Veterinaria
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