MACCARTISMO il diavolo aveva ragione di Augusto Minzolini

MACCARTISMO il diavolo aveva ragione L'America rivede il giudizio sul senatore della «caccia alle streghe»: i comunisti erano al servizio dei sovietici MACCARTISMO il diavolo aveva ragione Augusto Minzolini inviato a NEW YORK COMUNISTI e anticomunisti, spie, archivi del Kgb, monumenti del passato che crollano, vecchi tabù che tornano. A stare appresso al dibattito negli Usa sulla fine della guerra fredda, sulla storia e il ruolo del partito comunista Americano, sembra di riassistere pezzo dopo pezzo, pagina dopo pagina, alle polemiche italiane di questi anni. Uno scontro non meno cruento del nostro che il New York Times ha definito a buona ragione «la guerra fredda senza fine». Qui, come da noi, il comunismo è morto e sepolto, ma c'è un mondo che trova ancora la sua identità, la sua ragione di esistere, in quella guerra combattuta per cinquant'anni. Questo mondo è abitato da creature con caratteristiche ben definite. L'unica diversità con il fenomeno italiano è che i principali protagonisti delle controversie sul comunismo sono ebrei. Una curiosità che non deve meravigliare visto che il partito comunista americano (The C.P.U.SA.) ebbe un seguito specie in alcuni circoli ebraici di Manhattan. A parte questo, le affinità con la situazione italiana non sono rare. Anzi. Ad esempio, le polemiche investono sì sinistra e destra, democratici e conservatori, ma diventano ancora più dure, più lancinanti quando riguardano persone che dopo aver militato nella New Left o nella Old Left, ammettono che il partito comunista americano era, nei fatti, uno strumento del Kgb, che Rosenberg era una spia, che l'anticomunista per eccelenza McCarthy -, cioè il cacciatore di rossi, l'uomo della caccia alle streghe - non era il diavolo. In questi casi la polemica storica si confonde con le storie personali, con i rancori delle ex appartenenze. Appunto, come da noi. Ronald Radosh c Giuliano Ferrara, per fare dei nomi, non condividono solo il fatto di essere entrambi rotondetti, di avere tutti e due la battuta pronta e di aver ambedue militato da giovani nella sinistra, ma anche l'antipatia, per non dire di peggio, che suscitano le loro posizioni odierne tra gli ex compagni di militanza. Semmai l'unica vera differenza è che mentre in Italia Ferrara non ha pagato poi molto la sua conversione (è un affermato direttore di giornale e una conosciuta star televisiva), Radosh, sembrerà strano, ma qui negli Usa non è mai diventato professore di ruolo all'università nonostante abbia scritto il libro più importante sulla vicenda dei coniugi Rosenberg. Cosa che nella sua vita lo ha portato ad autocommiserarsi, a teorizzare l'esistenza di una sorta di «maccartismo alla rovescia» da parte degli ambienti accademici americani nei confronti dei conservatori. Una condizione ben descritta nel suo libro di memorie che ha un titolo alquanto esplicativo: Un viaggio attraverso la vecchia sinistra, la nuova e gli avanzi della propria vita. Per cui non solo le vittime delle liste nere del maccartismo, ma anche gli anticomunisti hanno pagato in un modo o nell'altro le loro convinzioni. E' evidente che in un universo del genere il fatto che sulle colonne del New York Times si parli, sia pure in termini problematici, della riabilitazione di McCarthy, non può non suscitare stupore. In un boro pubblicato appena 15 giorni fa dal titolo inequivocabile - Joseph McCarthy: Re-examing the Life and Legacy of America's Most Hated Senator - Arthur Herman, uno storico della George Mason University, considera «the Redhunter» come uno dei punti di riferimento del nuovo conservatorismo Usa, l'uomo che ha ricreato un rapporto tra l'americano comune e il partito repubblicano. Insomma, il padre di Ronald Reagan ma anche del prossimo candidato alla presidenza, George Bush. Del resto lo stesso Kenneth Starr, il procuratore che ha messo alla sbarra Clinton sul caso Lewinsky, non è che un esempio di maccartismo dei nostri giorni. In questa visione McCarthy rimane certo una figura politica discutibile, ma non è più considerato il diavolo, il Belzebù, lo strumento di una sorta di oscurantismo negli anni del dopoguerra. La verità è che questa figura controversa è entrata a far parte, con un ruolo non ^differente, della galleria dei personaggi che hanno lasciato un segno nel pensiero conservatore. Come è avvenuto tutto ciò? Intanto la pubbli- cazione del rapporto Venona (lo studio che raccoglie i messaggi cifrati tra l'Unione Sovietica e i suoi agenti negli Usa durante e subito dopo la guerra mondiale) e il materiale ritrovato negli archivi del Kgb a Mosca hanno dimostrato che la rete spionistica sovietica era più capillare di quanto si potesse pensare in passato. Che il partito comunista americano era in buona parte uno strumento dello spionaggio sovietico. Infine, per stare al caso più famoso della caccia alle streghe, che Julius Rosenberg era una spia. Una verità, che comincia a essere condivisa anche da molti storici di sinistra. «Dobbiamo accettare che il dibattito è finito», ammette uno dei più noti, Maurice Isserman, professore all'Hamilton College, a proposito della colpevolezza di Julius Rosenberg (sulle reali responsabihtà di Ethel Rosenberg sussistono ancora dei dubbi). Poi c'è un altro problema indiretto, non legato solo alle indagini storiche, ma non meno importante: l'afflusso continuo di materiale dagli archivi sovietici, più o meno autentico, sta ricreando il clima dei giorni più terribili della guerra fredda. Sulla testimonianza di un ex ufficiale di.'l Kgb o, magari, di una scheda o di un articolo di un giornale d'epoca, da un giorno alTaltro una persona può eserre additata comu ipia o informatore dei sovietici. Ne nascono vicende clamorose. Herb Romerstein, che come tradizione da uomo di sinistra è diventato un dei più famosi cacciatori di rossi del passato (ha lavorato anche con l'amministrazione Reagan), si diverte a mettere sulle liste delle possibili spie sovietiche personaggi di un certo nome, in alcuni casi morti da un pezzo: da politici come Harry Hopkins, uno dei più stretti collaboratori del presidente Franklin Delano Roosvelt; a scienziati come Robert Oppnheimer; a giornalisti liberal famosi come I. F. Stone. Proprio il figlio di Stone, uno scienziato affermato, ha aperto una polemica durissima con Romerstein per difendere la memoria del padre. Addirittura, mettendo da parte per un po' le formule matematiche e indossando mantello e pipa alla Sherlock Holmes, anche lui ha cominciato a fare indagini negli archivi del Cremlino. Alla fineha tirato fuori in un libro l'identikit di una spia infiltrata nel Manhattan Project, il gruppo di Oppenheimer, dal nome in codice «Perseus», che è la descrizione esatta del suo protettore nel mondo accademico, il professore Philip Morrison del Mi!. Inutile dire che quest'ultimo se l'è presa non poco e che niente di ciò era vero. Probabilmente nella sua ricostruzione fatta sulla base di ritagli di giornali, Stone era stato deviato dalla volontà di allontare i sospetti dal padre, magari diventando anche lui un «cacciatore di rossi» senza scrupoli, capace di dare in pasto alle cronache anche il suo tutore professionale. Insomma, questa inedita fase della guerra fredda ha innescato un meccanismo psicologico complesso, quanto devastante, nella sua mente. E' evidente che di fronte a simili casi l'esigenza di dividere i fatti dalle polemiche politiche e personali diventa sempre più urgente. E forse proprio per rendere l'analisi storica più obiettiva, meno condizionata dalle esperienze personali, lo spogliare la figura di McCarthy, cioè dell'uomo più odiato di quel periodo, della sua immagine romanzata, può contribuire a rendere meno cruento lo scontro. La guerra fredda, insomma, non è stata combattuta da diavoli e da angeli, né da una parte, né dall'altra. Un problema che deve essere risolto anche da noi, se si vuole condurre a termine la transizione tra la prima e la seconda repubblica e porre fine a un gioco al massacro che va avanti da anni. Un problema urgente se si pensa alle tante proposte che sono dimenticate nel cassetto d'ultima è quella di Violante). Eppure se non si ratifica la fine di un mondo diviso tra Gladio e Kgb, tra «assassini comunisti» e «assassini mafiosi», le ombre del passato torneranno periodicamente a turbare e a sconvolgere il presente. Succede in America, figuriamoci da noi. Scrive il New York Times: «L'approccio alla storia del comunismo americano in un modo meno critico non significa che non c'orano eroi e canaglie, con molte gradazioni tra questi due estremi. Semplicemente riconosce una realtà che molti sembrano non voler accettare: che la guerra fredda ora è diventata storia. Quelli che vorrebbero spiegare ciò che è successo devono innanzitutto separare se stessi da quei fatti». E' un consiglio per gli Usa, ma andrebbe bene pure per noi. JOSEPH RAYMOND McCARTHY ( 1909-1957) è il senatore repubblicano che legò il suo nome all'operato della famigerata commissione d'inchiesta sulle attività antiamericane costituita nel '53, di cui fu eletto presidente. Tre anni prima aveva denunciato pubblicamente di essere in possesso di una lista di funzionari del Dipartimento di Stato che avevano aderito al partito comunista. Nel clima della guerra fredda ne era nata una aspra campagna che assunse i caratteri di una vera e propria caccia alle streghe. McCarthy si distinse per una foga fanatica che provocò dure polemiche, tanto che nel '54 venne esautorato dal presidente Elsenhower A HOLLYWOOD il maccartismo fece le vittime più illustri. Fra gli altri Dalton Trumbo, 10 sceneggiatore e regista di EJohnny prese il fucile, che rievocherà il clima pesante di quegli anni nel suo epistolario Addictional da/ogue. Altri iscritti nella lista nera, come il regista Martin Ritt, lo sceneggiatore Walter Bemstein, l'attore Zero Most e) nel 76 realizzeranno il film 11 prestanome, in cui Woody Alien impersona un modesto cassiere che offre la propria copertura a un uomo di cinema accusato di attività antiamericane. Quel dima sarà richiamato dal Crogiuolo di Arthur Miller, in cui il drammaturgo, parlando dell'inquisizione a Salem, racconterà sotto forma di metafora gli eccessi di quegli anni. Al vaglio della commissione McCarthy passarono attori come Ronald Reagan, Errol Flynn, Robert Taylor e Gary Cooper (foto) che messo alle strette si difese dicendo: «Francamente, non ho mai considerato di buon occhio i comunisti»