Il mio presepe
Il mio presepe Il mio presepe LA MEMORIA Luiyi Mainolfi AVEVO sei anni. Andavamo in Venezuela con mia madre e mio fratello, lui aveva un anno meno di me. Era il 1954. Noi venivamo da Rotondi, vicino ad Avellino, e mia madre, Angelina, voleva andarsi a riprendere nostro padre che era emigrato in Venezuela. Eravamo a bordo della «Lucania», un bel piroscafo che era partito da Napoli. Faceva inverno, era freddo e la prima tappa fu nel porto di Genova. Da lontano, prima di attraccare al molo, Genova aveva le luci accese, migliaia di lampadine in quelle finestre strette e mi sembrò un gran presepio. Poi il piroscafo riparti e non avevo più freddo perché mia madre mi aveva comprato un berretto di lana da camallo. Dopo un po' di giorni arrivammo alle Canarie, a Santa Cruz di Tenerife e anche allora pensai, guardando le luci del Porto, che mi sembrava di stare davanti a un presepe. E quando arrivammo in Venezuela, a La Guyre, vidi la Montagna Rossa, coperta di casette, le ranchitas, come a Caracas, fatte di fango. Quando ci sono tornato, tanti anni dopo, ho visto molte donne che nelle pause del lavoro costruivano ancora mattoni di fango, aiutandosi con tavolette di legno, per far casa alle figlie. Al mio paese, a Rotondi, sotto Natale gli zampognari arrivavano la mattina a suonare davanti a casa e noi aprivamo per dargli due soldi. Il presepe era un r <no di pungitopo in un angolo, con un pastore: bastava una figurina per dare l'idea. E non ricordo che ci fossero abeti per fare l'albero di Natale. In Venezuela non ricordo presepi, eravamo emigranti, ricordo per le feste i fiaschi del vino, il Chianti. Ho cominciato a vedere i presepi quando, tornato in Italia, sono andato all'Accademia, a Napoli. Quando ho cominciato a girare per San Gregorio Armeno. Consideravo gli artigiani che facevano i pastori come dei veri scultori. Loro nelle botteghe ci lavoravano tutto l'anno. Mi piaceva vedergli fare anche le novità, inserire fra un pastore e un venditore di arance Totò, e della stessa misura. Hanno fatto anche Bossi, anche Bassolino. Sono creativi, è un presepe che s'arricchisce dal quotidiano. Le città del Sud, sotto Natale, si animano molto di più che quelle del Nord. C'è gente e zampogno per strada. Sono belle quelle botteghe artigiane, come vecchie botteghe rinascimentali dove i «maestri» ti spiegano, ti insegnano ad usare i materiali, a cuocerli, a dipingerli. Sanno tutto sulla creta, sulla pittura a freddo. Fanno dei presepi surreali, dove Pulcinella sta a gomito col venditore d'auricchio, la lavandaia, il venditore d'agnelli e Bassolino. Il presepe napoletano accoglie tutti. E' un presepe che si aggiorna, anno dopo anno. Molte delle mie «città», di quelle casine che faccio io, han preso spunto dai Sassi di Matu¬ ra, certo, ma penso anche che ci si rivolge spesso a ricordi, a immagini forti dell'infanzia. >E il presepe è una di quelle: una piccola città, elementare, un po' pagana, che rappresenta la festa, la vita, con il suo mercato, il suo stare in strada, bambini insieme agli adulti. A Rotondi mia zia mi faceva vedere le stelle cadenti e io pensavo al Venezuela dove era rimasta mia madre. C'è una melanconia nelle feste del Natale e io la lego a mia madre che era lontana. «Trovai Rotondi in uno stagno d'acqua» è un'opera legata a quegli anni, a quei sentimenti, alla forma del presepe. Una forma universale che ho trovato in Thailandia, in Giappone dove, come a San Gregorio degli Armeni, trovi anche gli altarini con le cose da mangiare. Il presepe lo si può fare con tutto, con la mollica di pane, con i cerini. E' una grande rappresentazione della famiglia, la rappresentazione di qualcosa che oggi manca un po' a tutti, che è nei nostri sogni o che è stata nel nostro passato. Grande rappresentazione della Natività: padre, madre, bambino. E il bambino eravamo noi. Mi viene sempre da ricordare Eduardo e il «Natale in casa Cupiello», Luca, il, protagonista, e la sua ansia di fare il presepe, di tenere la famiglia unita, e la distrazione intorno a lui, con quel figlio che dice che il presepe «nun me piace». Intorno al presepe c'era uno scontro generazionale, da ragazzo quel testo m'annoiava. Ora non più. E sempre di più ho capito la vitalità del presepio. Mainolfi racconta le città fantastiche di un emigrante, i sogni dell'infanzia Mainolfi le città fadi un emi sogni de mi mi ini «Il «il ili ìli "«■» 'A'.:
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