Lusso da Dogi Il secolo d'oro dei genovesi

Lusso da Dogi Il secolo d'oro dei genovesi Lusso da Dogi Il secolo d'oro dei genovesi LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Valloni UNO non è ancora entrato negli straordinari, claustrofobici locali bassi del labirintico Munizioniere del Palazzo Ducale e già ha l'impressione di sentirsi tramutato in cospiratore-comparsa del Simon Boccanegra di Verdi, l'opera dove il mare ringhia e respira lontano e il grigio-lavagna scende soffocante come un sepolcro sui protagonisti. Così ti volti, ed eccolo 11, disteso su un magnificente sarcofago gotico, il vecchio e dolente Simon Boccanegra, primo Doge nel 1339; avvelenato nelle congiure di Palazzo. La posizione stessa, come sollevata e ruotante del gisant, non più disteso orizzontalmente, ma volto verso di noi quasi a rendere spettacolare e «parlata» la sua morte, dà in fondo la chiave di questa faraonica mostra dal titolo fin troppo ambizioso e Lope de Vega, di El Siglo de los Genoveses: come se la rutilante storia di LA MODESETTMarco questa grandiosa società fosse una costola fiammante del Gran Teatro del Mondo, di barocca fioritura ispanica. Ed in fondo, bisogna dirlo subito, la mostra non vale tanto per le opere convocate (a parte una ridotta quadrerìa di tele rilevanti e sculture di pregio, tra cui Giambologna) quanto per la spettacolare messa in scena illusiva con cui il regista-cerimoniere Pier Luigi Pizzi ha saputo lussuosamente «truccare» questi ambienti spesso angusti e difficili. Con un taglio quasi cinematografico: ci par d'essere in uno di quei film cappa e spada alla Douglas Fairbanks, in cui, durante un duello, gli ambienti mutano vertiginosamente, dietro agli spadaccini, guizzanti tra torri, scalinate, sotterranei. E ragione del «duello», qui, è lo svariare della storia genovese, dai Dorin sino a Napoleone. STRA LA MANA alloni Un documentario raccontato dagli oggetti. E così come il Boccanegra, anche tutte le altre opere, drappegggiate e sontusamente illuminate, paiono scattare sull'attenti, quasi principi del foro riesumati dall'oblio a perorare questa estrema, infuocata arringa sul lusso trionfale di una civiltà oggi del tutto insabbiata. E' l'arte del «porgere» quella che ci viene incontro, con questo senso liturgico, processionale dell'inchinarsi della materia preziosa al nostro passaggio; tra uno schiudersi quanto mai teatrale di drappeggi in broccato dipinto, che lascian filtrare le ostili mutrie di Dogi inflessibili e costumi d'epoca accesamente cremisi, p ara so li e baldacchini, scarpini alla Molière e corone alla Von Hofrnannstahl, da far impazzire un regista quale Pizzi, poiché si tratta d'un trovarobato autentico, un bric a brac da museo. Come negli in Cantili «treni del terrore» o in un sofisticato luna park di effetti teatrali, le opere raccolte si rianimano al nostro passaggio, quasi dovessero replicare niccianamente all'infinito le sequenza emblematiche di una Storia, che è fatta anche di vacue cerimonie, di toson d'ori, parrucche vertiginose e feroci battaglie. Il Gran Ciambellano Girolamo Bordone, è ancora sulla soglia del fascinoso corteo-dipinto nell'affresco del Castello, in attesa di don Giovanni d'Austria. Ma dal momento che i ritrattati sono grandezza «nature», pure noi ab! >iam l'impressione d'esser inghiottiti dentro questa sequenza «televisiva»: il senso processionale è lo stesso, quale lo sentiamo ancora commentare a Verissimo da Carlo Rossella, durante il matrimonio di Filippo del Belgio. Ecco, la mostra, che s'apre con uno spettacoloso Incipit di codice miniato, la Bibbia Atlantica (con Eva che fuoriesce dalla costola solida del suo Adamo venuto da via Pré) si snoda attraverso studioli, trabocchetti, panoplie d'elmi, alabarde e polene di navi istoriate come poppe di dame rubensiane, in un'aura molto Escuria]. Sino a sfogarsi nel grande coup de theatre del sotterraneo salone tombale, sfondato di specchi e di spot, dove non ti stupiresti d'inciampare in una celeste Aida abbracciata a Maria Stuarda. E qui fusti di cannoni illuminati a luce radente, i bellissimi busti del Bocciardo e una gran fetta di salsamenteria fisiognomica, rigorosamente maschilista, tra questi Innominati e Don Chisciotti locali, smunti da un anoressia moralistica tutta ligure, che li costringe a dei rictus abbastanza spettrali: una sorta di fosforescente notte dei quadri viventi, in cui le accidiose fisionomie seriali di Dogi malmostosi si rincorrono vampiri tra le colonne. Come Orson Welles quando intrappola i suoi personaggi in un baraccone di specchi deformanti, anche Pizzi ci convoglia in questa stanza delle illusioni, dove sguardi in conflitto solcano l'aria cone pugnali avvelenati. Quello che non avverti mai, è il senso di vanitas, di annunzio dello sfacelo: è una società davvero concreta, mercantile, le vele sempre fattivamente spiegate come fazzoletti di casa (altro che l'a varani & Luna Rossa) una gens che comprime nell'arte la ragion di Stato. Trittici commissionati per celebrare vittorie e Santi coinvolti a sbaragliare i Savoia: e quando i pittori non bastano, si elegge Regina di Genova la Madonna purché trighi a riottenere regi privilegi. E sempre molto sfarzo ma proverbiale parsimonia, perdendosi certi soffitti gloriosi, di Tiepolo o Bacicelo, perchè costavano troppo. Però oggi si spendono almeno sei miliardi per una mostra-glamour come questa: altro che un vero Giambologna! El Siglo de los Genoveses. Genova. Palazzo Ducale. Orario: 9 - 21. Chiuso lunedi. Fino al 28 maggio 2000 NEL PALAZZO DUCALE DI GENOVA TRA VELLUTI E BROCCATI, SCULTURE DI GIAMBOLOGNA E DIPINTI DI GUIDO RENI, LA STRAORDINARIA AVVENTURA D'UNA REPUBBLICA MARINARA «Gesù dormiente tra due angeli» di Guido Reni è una delle opere esposte al Palazzo Ducale di Genova

Luoghi citati: Austria, Belgio, Genova, Stra