Sono i dolci a rendere «unico» il Natale

Sono i dolci a rendere «unico» il Natale MANCA UNA TRADIZIONE GASTRONOMICA COMUNE Sono i dolci a rendere «unico» il Natale IL RITO folco Poitinan LUCIA - Pensate un poco! Ma che giornata magnifica per il nostro primo pranzo di Natale! Una bella giornata di sole, la neve, e una predica stupenda. Il reverendo Me Carthy ha pronunciato una predica commovente. Mi ha fatto piangere dal principio alla fine. Roderick - Che preferite, mamma? Un pochino di petto? Lucia - Gertrude ha dimenticato la salsa. E' là, nella credenza, in alto. Roderick - Coraggio, Lucia, appena un sorso. Mamma, un po' di vino rosso per il giorno di Natale. Brandon - Che buon odore di tacchino! Roderick - Lucia, un po' di petto? Del farcito? Chi vuole la salsa? Lucia - Oggi il ripieno è buonissimo». A parte i nomi è sufficiente il menù a farci capire che siamo in America, basta quel tacch in o ripieno (di castagne?), così «americano». Infatti, quelle citate sono alcune battute di uno dei capolavori teatrali del secolo, rivoluzionario la sua parte, il Lungo pranzo di Natale di Thorton Wilder. Sì perché, com'è noto all'universo e in altri siti, dall'Oregon alla Florida al Massachusets per Natale si mangia il tacchino ripieno. Almeno da quando sbarcarono da quelle parti i coloni cristiani che, assieme alle Indie Occidentali, scoprirono quel nuovo gallinaceo autoctono. Cioè dal tardo XVI secolo, l'altro ieri, poiché gli indigeni pellirosse non conoscevano Gesù e festeggiavano con tutt'altri cibi Manitù. Qualcosa del genere dev'essere successa in Australia col canguro. Mi è capitato, una volta, di trovarmi per Natale a Manaus, sul Rio delle Amazzoni: 1'«albero» non era un abete, ma pendevano lumini e palle colorate di vetro da una palma. Secondo natura. Mi diedero uno spezzatino saporitissimo di maiale e, alla fine, il più disgustoso panettone della mia vita. Secondo natura: sono secondo natura il tacchino, il canguro, il maiale, mentre non lo era ù panettone. Tutto per dire che non mi pare esista un rituale gastronomico natalizio. In altre parole non c'è una tradizione gastronomica legata ritualisticamente a quel preciso avvenimento che si viene a celebrare, un rito con una sua memoria simbolica e storica, consacrato. A differenza della Pasqua, che ce l'ha. E' verosimile che nell'ultima cena, come han continuato a dipingerla per secoli i pittori, l'ebreo Gesù e gli apostoli abbiano mangiato un agnello o comunque un ovino, come gli altri ebrei in quel momento celebrativo. In ricordo del padre Abramo. E oggi in tutto il mondo per la Pasqua, chi ci crede, mangia, ov'è possibile e animalisti permettendo, l'agnello appunto pa- IL RfoPoit TO o an squale. Alla festa corrisponde un cibo con un senso rituale. Non così per Natale. Tanfo che in molti luoghi si prende in prestito l'agnello della Pasqua, a dicembre, quasi per riconoscere in quel bimbo il futuro innocente sacrificato. Come fa Leonardo, e molti dopo di lui, che dipinge il bambino già con la croce o con un agnello in braccio. Il procedimento e lo stesso. Il Natale, come si è visto, procede secondo natura e al festino ognuno partecipa con le risorse della stagione e del luogo. E' vero che ci sono, eccome, anche le mode, per cui si mangia il tacchino all'americana pure in Val d'Aosta. Non c'è tradizione ma abitudine, che è, anche temporalmente, ben altra cosa. Altra cultura. Allora si procede per zone. In certe parti, ma non solo in Italia, c'è per esempio l'abitudine di mangiare gli agnolotti. In mezzo il cappone, ma ormai merce rara (ricordo che mio padre lo riempiva in modo che, alla fine, tagliato, era come una galantina: durante la guerra, in mancanza del cappone, metteva il ripieno in un budello e per i figli quello diventò «il salame del nonno», abitudine perpetuata ormai coi pronipoti). Per chiudere: i mandarini, la frutta secca e il torrone. Ecco finalmente il rituale e il senso: i dolci. Prima che diventas¬ se un vero «evento» commerciale e consumistico (negli ultimi trenta- Suarant'auni), il Natale era la festa el Bambin Gesù o di Gesù Bambino, era cioè la festa dei bambini. Ma di un bambino che volle nascere povero e, si immagina, con i gusti tipici dei fanciulli: i dolci. Vediamo che, relativamente tradizionali, per Natale ci sono i pani dolci, abbastanza distribuiti su vari territori, non solo il panettone milanese, come ognuno sa. Dove si mettono assieme, conciliandoli, il cibo più umile per definizione, il pane, con il piacere infantile altrettanto per definizione, il dolce e la frutta. In onore di un fanciullino, ma re dei re, dentro una mangiatoia in una grotta. Solo questo è il Natale. Ma io sono vecchio ormai e tutti adulti, tranne Tommaso, quelli che mi stanno attorno. E noi abbiamo la nostra tradizione e i nostri personalissimi riti. In primis il «salame del nonno», che una volta era mio padre e adesso sono io. Poi faccio un salto ad Alba e compro i più straordinari agnolotti col plin da l'etiti, mentre, accanto a Piazza Savona, da Piero, gran macellaio, la carne per il mio brasato di un bue sacrificato alla fiera di Carrù. Non me ne vogliano i milanesi, pure il panettone, per scelta qualitativa, lo compro in piazza Savona, da Beppe Scavino, extra. Torrone Relanghe e mandarini. Non c'è dubbio, è un Natale piuttosto piemontese, come si addice al tempo, al luogo, alle risorse. In Val d'Aosta la moda del tacchino all'americana, qua e là gli agnolotti, io privilegio «il salame del nonno» E ancora: la carne per il mio brasato di un bue sacrificato alla fiera di Carrù la compero ad Alba

Persone citate: Beppe Scavino, Carthy, Gesù, Thorton Wilder

Luoghi citati: Alba, America, Australia, Carrù, Florida, Italia, Oregon, Val D'aosta