Nel mio pranzo di Babette tutti i piatti della memoria di Edoardo Raspelli

Nel mio pranzo di Babette tutti i piatti della memoria Nel mio pranzo di Babette tutti i piatti della memoria L MENU Edoardo Raspelli LA Terza E scalpitava: la stessa aula del liceo classico Carducci di Milano che aveva visto, qualche anno prima, Bettino Craxi e Claudio Martelli, era sul punto della rivolta. Ma quale greco antico, ma quale letteratura latina, ma quale italiano dei grandi classici: noi volevamo l'Oggi, la Cronaca, i problemi del Momento. Il professor Mario Zambarbi eri, non ancora Ambrogino d'oro per la cultura del Comune di Milano, cercava di tenerci a freno: «Non potete capire l'oggi senza comprendere rieri. La scuola vi deve dare il passato per farvi capire il presente e perché voi comprendiate il futuro». Sono trascorsi trent'anni da allora, i miei 20 sono diventati 50 ed ai fornelli arriva la stessa querelle tra passato e moderno dei banchi di scuola di via Beroldo. «La gente ne ha piene le scatole del territorio», grida dal patinato mensile un noto chef di Almese, in provincia di Torino, «considerato il lrerra n Adria italiano», lo chef spagnolo dei sifoni. Precisa, il torinese, che lui non fa come quelli che dicono «ho l'orticello, allevo la gallina, vado a cercare i prodotti». Lui ce l'ha con la città di Torino e con quegli osti che «danno enfasi alla cucina contadina della Langa... per ossequiare la moda del territorio e del tartufo» (scrive il giornale) e «che prende in giro tutti» (sostiene lui). Ma è proprio vero che il territorio è una panzana? Ma è proprio vero che le tradizioni per la gente non contano nulla? Per me, primo cantore della rivoluzione gastronomica degli Anni Settanta, quella Nouvelle Cuisine che tutti oggi fanno senza saperlo, sono per il ritorno all'antico, per la ricerca di quei prodotti da resistenza umana, per quei piatti della memoria che è sempre più difficile fare. Ed allora, almeno in queste righe, fatemi riassaporare il mio Pranzo di Babette: fatemi spalmare sul pane di Altamura il burro di montagna di Viceno di Crodo, visto che l'alpeggio è lontano, rimandato alla prossima estate. E poi fatemi sognare, fatemi risentire nello scrivere i gusti che hanno fatto la mia vita di goloso, i piatti dell'indimenticato. Datemi un pezzetto, meglio, tanti pezzetti di carne eroda come quelli che hanno a disposizione Aimo e Nadia, che la spesa la fanno L MEdoRas da Villa a Milano, da Cecchini a Panzano di Greve in Chianti o da Martini a Boves; lasciatemi un tartufo bianco intero e fatemelo condire solo con un goccio di olio extravergine, da quello sommo delle Peracciole del Don Alfonso di Sant'Agata sui Due Golfi a quello di Romano di Viareggio o del Gambero Rosso di San Vincenzo. Oppure, anticipate la primavera e datemi quel piatto, quell'umile frittata, che mia madre faceva con le erbe spontanee raccolte da mio padre, quelle vitalbe che crescevano, nel NU rdo elli popolare quartiere milanese dell'Ortica della mia infanzia, lungo la massicciata della ferrovia Milano-Genova. I tortelli di zucca mantovani, cosparsi di burro e di un velo di Parmigiano Reggiano, sono una dolce bontà, ma altrettanto è l'agliata, quella salsa bianca di pane imbevuto nel latte e macinato con noci ed aglio con la quale mia suocere rende sontuoso il sacrificio del magro della cena della Vigilia. Oppure fatemi sognare con l'inesprimibile bontà di quel piatto di amatriciana che Gianfranco Vissarli mi fece con della pasta artigianale di Osimo ed un guanciale che era un contadinesco paradiso, oppure con quelle tagliatelle al ragù di pollo che mangiai sempre nel cuore dell'Umbria, in un posto che non ricordo nemmeno più, dove il sugo schioccava sotto la lingua con eteree erotiche suadenze. La straordinaria fiorentina (sempre di Gianfranco Vissani), il cappone bollito con la mostarda mantovana, la costata di Aimo cotta a lungo nel forno, di una bontà che non ha confini, si sposerebbero nel Pranzo di Babette di un Raspelli caloricamente irresponsabile e colesterolicamente folle alla straordinaria mi¬ nestra di ceci e costine di maiale che mangiai pochi giorni fa da Dirce, a Costigliole d'Asti o con la cassoeula della mia infanzia. Portata principe del sogno milanese, il boti aggio di maiale è una carnosa delizia. Dietro ogni piatto c'è un gesto d'amore, dice Suor Germana: pensate ad una moglie, la mia, che al marito sfinito dai viaggi prepara, nel gelo dell'inverno, le verze dalle costole spaccate dal freddo e le unisce all'umile suino di cui utilizza non solo costine ma, anche, testina, piedino, orecchio, codino... E poi i formaggi: il Parmigiano Reggiano dal lungo invecchiamento, ugorgonzola naturale di Cavallirio, quelli fatti in agosto negli alpeggi del Vannino e del Bettelmatt; e poi ancora i dolci. Babette, a me, porterebbe i bignè fritti e i cannoncini ripieni di crema pasticcioni, il panettone adagiato su un letto di crema al mascarpone, il torrone artigianale di Visone di Acqui Terme, i Baci di Dama e i Brutti ma Buoni di Cortemilia, i Baci al cioccolato di Cherasco. Per bere, chiederei aiuto a Giorgio Pinchiorri : che apra per la cuoca Babette l'ultima bottiglia della Malvoise de N us dell'abate Pramotton, oppure un distillato del mio millesimo, del vostro millesimo. E poi, quando tutti hanno finito, se non darà fastidio a nessuno, una volta sola l'anno, il fumo, il grande fumo: quello di uno di quei sigari cubani lunghi una spanna che, tra una nuvola e l'altra di profumo, vorranno anche dire che, finalmente, avrete avuto mezz'ora, un'ora, il tempo dell'Avana, da dedicare tutto a voi stessi, ai vostri pensieri, ai vostri crucci, a questo vostro felice momento della tavola, Dietro ogni portata c'è un gesto d'amore: pensate ad una moglie, la mia, che al marito sfinito dai viaggi prepara, nel gelo dell'inverno, le verze dalle costole spaccate dal freddo e le unisce all'umile suino di cui utilizza costine, testina, piedino, orecchio...» BURRO DI MONTAGNA SUL PANE DI ALTAMURA, L'UMILE FRITTATA FATTA CON LE ERBE SPONTANEE, I TORTELLI DI ZUCCA MANTOVANI, LA FIORENTINA, IL CAPPONE...