Il giorno in cui D'Alema disse: «Basta» di Federico Geremicca
Il giorno in cui D'Alema disse: «Basta» Il giorno in cui D'Alema disse: «Basta» Ma il Quirinale e Veltroni lo frenano: non lasciare adesso Federico Geremicca ROMA I giornali non c'era nemmeno bisogno di riaprirli, lì sulla scrivania del premier, un pezzo pregiato di legno scuro al primo piano di palazzo Chigi: D'Alema, Velardi e gli altri uomini dello staff del presidente, li avevano naturalmente - già letti tutti. Primo titolo: «Boselli: a gennaio via D'Alema». Secondo titolo: «Castagnetti: la Quercia deve accettare l'alternanza». Terzo titolo: «Socialisti all'attacco di D'Alema». Quarto titolo: «Con Massimo non possiamo che perdere». Il capo del governo completo grigio su cravatta appena più chiara - era ur. misto di rassegnazione e fjjrìa: «Vogliono la crisi? Vogliono un altro al posto mio? La porta è aperta, si accomodino, io me ne vado...». Il calendario della crisi D'Alema lo aveva già'cmàfo,adendolo pensato è rimuginai® per una serata intera: incpnjflp„ cpl^pq^lello Stato e dimissióni èlle ore 15, poi conferenza stampa a palazzo Chigi alle 17 per spiegare le ragioni della decisione e appellarsi a maggioranza e opposizione affinchè si procedesse ad una rapida approvazione della finanziaria. «Certo non potranno dirsi sorpresi - ragionava D'Alema con i suoi -. Li avevo avvisati per tempo: "Non starò qui a farmi logorare"...». Se poi onesto freddo lunedì di metà dicembre, festa di Santa Lucia, non è diventato precisamente il giorno in cui D'Alema ha detto «basta», è stato solo per l'ingresso in campo di due uomini prudenti e saggi come Carlo Azeglio Ciampi e Walter Veltroni. Il leader Ds, ricevuto a palazzo Chigi di prima mattina, ha concordato con D'Alema sulla necessità di rompere 1'«assedio», ma gli ha chiesto di attendere almeno l'approvazione della Finanziaria: «E soprattutto, se vogliono la crisi, la dichiarino loro, assumendosene la responsabilità in Parlamento». Identica indicazione, qualche ora più tardi, arrivava al premier dal capo dello Stato. Prima la Finanziaria, poi il chiarimento, argomentava Ciampi: e nessun accenno a crisi o dimissioni. Non a caso, nel comunicato che palazzo Chigi diramava poco dopo le 17, la crisi veniva derubricata a «immediato e radicale chiarimento politico di fronte al Parlamento». Ma questo, spiegava a fine giornata uno dei più stretti collaboratori del premier, «non cambia la faccenda di una virgola. Approvata la Finanziaria, giovedì o venerdì, il presidente farà una sua comunicazione al Parlamento, attenderà il dibattito e, visto che è difficile attendersi un ripensamento da Boselli perchè i cretini già non pensano e dunque figurarsi se ripensano, il premier salirà al Quirinale per rassegnare le dimissioni». Questo è quanto, e la si potrebbe anche chiudere qui, se l'inizio della fine del dalemismo (questo inizio e questa fine, insomma: perchè quanti leader sono poi risorti?) se l'inizio di questa fine, dicevamo, non meritasse un flash back e un paio di istantanee per mostrare quanto sia cambiato il clima intorno a super-Massimo. E allora eccolo, D'Alema, domenica pomeriggio, concordare con Veltroni una nota di solidarietà Ds al premier attaccato da Boselli al congresso Sdi: e poi attendere invano attestazioni analoghe dagli altri partner della maggioranza. Oppure e anche questo offre la misura della quantità d'acqua passata sotto i ponti - ecco Pierluigi Castagnetti, segretario popolare, argomentare le sue critiche e la sua sfiducia nei confronti del presidente del Consiglio. Accade a ora di pranzo, mentre D'Alema sta preparandosi all'incontro con Ciampi. E accade nello studio del leader Ppi, con Castagnetti che scandisca con calma il suo j'accuse al presidente, standosene accoccolato su una comoda poltrona. «Cosa vuole che le dica? E' troppo presto... Può finire con un governo Mancino, diciamo di decantazione, o anche con le elezioni, se D'Alema dovesse convincersi che la sua personale partita è persa. Certo ha compiuto dei miracoli: per esempio permettere a Berlusconi di rispolverare l'anticomunismo e tornare in sella. O anche mettere in piedi un governo di dieci-dodici partiti senza nemmeno provare a governare la conflittualità che ne avrebbe accompagnato la vita. Ora non so dove vuole andare con questa accelerazione. Ha sorpreso tutti, amici e nemici. Cossiga compreso. L'ho sentito mez- z'ora fa, era un po' spiazzato: prima si divertiva a tirare i fili, ora ha capito che i fili li ha ripresi in mano D'Alema». Ma cosa intenda fare con questi fili riconquistati, nessuno lo sa: forse nemmeno lo stesso D'Alema. «Ha giocato d'anticipo per smascherare il bluff del Trifoglio», giurano alcuni. «Ha semplicemente perso la testa», contestano altri. «Vuole mettere spalle al muro i Ds che vanno a congresso: o con me o elezioni», sentenziano dalle file del Polu. Ognuna di queste ipotesi, naturalmente, potrebbe avere un fondamento: più difficile, invece, è tenerle tutte assieme. Ed è da qui, precisamente da qui, che nascono allora - gli interrogativi e i dubbi intorno alla mossa di D'Alema. Lui la spiega a modo suo: e naturalmente con atteggiamento tutto suo. Flash e telecamere lo inquadrano, mentre su Roma scende il buio, ad un convegno dell'Unione delle province italiane. Sono le sei della sera, lui è alla tribuna e parla con la mano sinistra in tasca e l'indice della destra alzato ad ammonire pre¬ senti e assenti: «La politica non l'intendo come la difesa del potè- ' re personale, ma come servizio. E' per questo che dico no al ritorno al gioco irresponsabile di veti e di ricatti. Compito del governo è risolvere i problemi: se ci sono le condizioni sono pronto a fare il mio dovere, altrimenti farò di tutto perchè il Paese abbia un governo rinnovato e nel pieno dei poteri». Diciamo che, anche nella sua maggioranza, sono in molti a pensare che è giunta ora di imboccare questa seconda via. II diessino Massimo D'Alema, 50 anni compiuti lo scorso 20 aprile, è stato eletto quattro volte deputato ed è diventato presidente del Consiglio il 21 ottobre II diessino Massimo D'Alema, 50 anni compiuti lo scorso 20 aprile, è stato eletto quattro volte deputato ed è diventato presidente del Consiglio il 21 ottobre 1998, dopo la caduta del governo Prodi: è perciò in carica da 419 giorni (la scadenza naturale della legislatura è nella primavera del 2001). Tra i ministri in carica ci sono: 7 Democratici di sinistra; 4 Popolari; 2 Verdi; 2 Comunisti italiani;. 2 Rinnovamento italiano; 2 cossighiani; 1 Udeur; 1 Sdì; 4 indipendenti (Amato e i 3 ai area prodiana, Maccanico, Micheli e De Castro)
Luoghi citati: Roma
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