Addio a Pietro De Vico nostromo balbuziente di Masolino D'amico
Addio a Pietro De Vico nostromo balbuziente Un altro lutto colpisce il teatro napoletano, se ne va il grande caratterista Addio a Pietro De Vico nostromo balbuziente Masolino d'Amico ROMA PIETRO De Vico, che era nato a Napoli nel 1911, che si è spento ieri a Roma, e che resta nella storia della tv come l'ormai mitico nostromo Nicolino balbuziente, sciancato e inetto di «Giovanna, la nonna del Corsaro Nero», era stato scoperto dal pubblico dei teatri importanti alla fine degli Anni Cinquanta, quando Eduardo De Filippo gli affidò le parti un tempo sostenute dal fratello Peppino, in particolare in «Natale in casa Cupiello», proprio come aveva eletto a orede di Titina Pupella Maggio, la cui scomparsa abbiamo pianto nemmeno tre giorni fa. Ma anche la carriera precedente di De Vico assomiglia a quella della grande Pupella. Figlio d'arte, era entrato in scena per la prima volta addirittura a sci mesi, come sostituto (di un bambolotto che non si trovava), e poi, come titolare, a sei anni (Peppiniello in «Miseria e nobiltà» di Scarpetta). Dopo aver fatto parte della compagnia di prosa di suo padre Adolfo, ne fondò una di avanspettacolo negli anni trenta, coi fratelli Mario e Antonio e con Anna Campori, moglie e compagna poi di tutta la vita: lì ballava e cantava oltre a specializzarsi in parecchie macchiette. Nel dopoguerra diventò senza sforzo un richiesto caratterista in molti filmetti anche con Totò. Lì brillavano il suo brio e il suo senso del ritmo; quando gli affidò la parte di Tommasino detto Nennillo, al quale 'o presepe ostinatamente non piace, Eduardo valorizzò anche il lato aggressivo, cattivo della sua comicità, quello che poi avrebbe trionfato nella pellicola «Che fine ha fatto Totò baby?» di G.Alessi (1964), capolavoro di parodia grottesca, in cui De Vico è protagonista alla pari con Totò. In precedenza era apparso, fra gli altri, in «Totò Diabolicus» e in «Totòtruffa '62», in seguito avrebbe continuato a figurare in molti film, compreso «Brancaleone alle crociate» (1969), fino a «La messa è finita» di Nanni Moretti (1985) e a «Scandalo segreto» di Monica Vitti (1989). Sempre come Pupella, infine, a un certo punto De Vico fu riscoperto dal regista-autore Antonio Calenda, che lo mise al centro di una memorabile rivisitazione-omaggio dello spettacolo dell'epoca fascista.. «Cinecittà» ( 1984). Dopo quel successo Calenda incoraggiò De Vico a riprendere il suo antico repertorio, per esempio in «Farsa», ma poi lo impiegò spesso anche in parti del teatro per così dire maggiore, tra cui si ricordano un «Plauto» addirittura in latino, una ripresa delle «Rose del lago» di Brusati, un «Aspettando Godot». Come si sa almeno da quando Rossellini affidò parti drammatiche ad Aldo Fabrizi e ad Anna Magnani, gli esponenti della nostra tradizione dialettale e popolaresca, formatisi a contatto col pubblico più ingenuo ma anche più esigente e feroce, erano in realtà attori a tutto tondo, di ampio spessore umano oltre che di tecnica sopraffina. Pietro De Vico, che apparteneva a questa "razza ormai estinta, univa ai talenti caratteristici degli altri una grazia c una delicatezza tutte sue; era particolarmente adorabile proprio quando faceva l'impunito. A destra, una recente immagine dell'attore Pietro De Vico. Accanto, in una scena di «Giovanna, la nonna del Corsaro Nero», nei panni del nostromo Nicolino
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