Tutto il calcio, secolo per secolo di Roberto Beccantini

Tutto il calcio, secolo per secolo Continua il conto alla rovescia verso il nuovo K Millennio, ventuno giorni all'arrivo del Duemila Tutto il calcio, secolo per secolo Roberto Beccantini PASUCKUAKOHOWOG. Non male, come nome, por quella che sarebbe poi diventata una delle più suggestive metafore del ventesimo secolo, se non, addirittura, «l'invenzione più grande del Noveconto», secondo il fulminante slogan di Paul Auster. Pasuckuakohowog. I primi Indiani d'America chiamarono cosi quol loro proto-calcio terribilmente rude e rudimentale, giocato sulle spiagge al prezzo eli ossa rotte e tagli sanguinari. Le origini del fenomeno sono ondivaghe e abbracciano Paesi insospettabili come la Cina, civiltà raffinate come la greca e la romana, per confluire, attraverso il calcio Fiorentino e i laboratori francesi della «soule», in quella che è la Betlemme ufficiale e da tutti riconosciuta, venerata, tramandata: l'Inghilterra. A essere pignoli, i natali del foot-ball moderno appartengono alle estreme e febbrili doglie dell'Ottocento, ma la crescita e lo sviluppo hanno scavato, solcato e marchiato questo avventurato Millennio. Il pallone, che ne rappresenta l'attrezzo e il simbolo, era conosciuto persino da Omero. Basta sfogliare l'Odissea: «Quando furono sazie, Nausicaa e le ancelle si tolsero in fretta i veli per giocare alla palla. Cominciò il gioco Nausicaa dalle braccia splendenti». Oggi, ci si toglie i «veli» per celebrare un gol: è il prezzo del progresso... Nel descrivere il calcio fiorentino, il vocabolario della Crusca ricorse pari pari auMmmagine di una «battaglia ordinata con una palla a vento, somigliante alla sferomachia». Battaglia. Guerra. E' sempre stato cosi, in campo e fuori, fin dagli albori. E sempre meno in senso figurato. Prova ne sia, nel 1969, l'abominevole imboscata che gli argentini dell'Estudiantes tesino al Milan, nella sfida valida per la coppa Intercontinentale. E la guerra, guerra vera: duemila vittime, che, sempre nel '69, coinvolse e stravolse Honduras ed El Salvador nell'ambito delle qualificazioni ai Mondiali del Messico. La posta in palio aveva esasperato le tensioni nazionalistiche fra i due Paesi. Le partite si trasformarono in volgari e feroci pretesti. Ogni volta che il destino accoppia Germania e Inghilterra, Germania e Usa, i tasti del computer si avventurano sino allo sbarco in Normandia, per poi rientrare, sazi, alla base. Il calcio nasce come sport «contro» (contro il rugby, nel caso specifico) e per questo si trascina a fior di pelle una carica che talvolta implode, ma spesso esplode. Il calcio siamo noi, con tutte; le contraddizioni che ci portiamo dentro. Se è guerra, dunque, ò anche pace. Agli ultimi Mondiali, il confronto tra Stati Uniti e Iran venne disputato, offerto e celebrato con lo sfarzo scenico della svolta diplomatica, nel ricordo di un precedente non meno memorabile, il ping-pong di Cina-Usa. Quando, nel 1982, argentini e inglesi si scannarono per le isole Malvinas-Falkland, Jorge Luis Borges scrisse un aforisma tanto spietato quanto strepitoso«E' come vedere due calvi che scontondono"un pettine». Quattro anni dopo, poco prima che l'Argentina si laureasse campione del mondo in Messico, Diego Armando Maradona piegò, da solo, l'Inghilterra. Segno due gol: con un colpo di mano e in capo a uno slalom, da area ad area, assolutamente formidabile. La stampa di Buenos Aires scrogiolò nel delirio: «Vendetta è fatta». Il gol di mano diventò, ed è rimasto, «la mano di Dio», con un potere di diffusione, nel gergo comune e nella memoria popolare, che soltanto il calcio può permettersi. Le sue fortune sono anche, se non soprattutto, le smisurate praterie di discrezionalità che lascia agli arbitri, quel conservatorismo di fondo che fa tanto fumo di Londra, quel flirtare con il futuro cedendo un pezzo alla volta, mai però sino in fondo, e mai tutti i pezzi. A un passo dal Duemila, il famigerato problema dei gol-fantasma viene affrontato e (non) risolto come nella finale mondiale del 1966, allorché la terza rete degli inglesi ai tedeschi venne convalidata «sulla parola» di un guardalinee: ogni volta che l'argomento torna d'attualità, non c'è verso di scioglierne il nodo, la palla era entrata del tutto (forse) o no (probabile)? Sarà perché ha visto la luce in una bettola • letteralmente, la taverna dei Frammassoni di Londra - ma il calcio presenta, nel suo Dna, un retrogusto di osteria, al profumo di accanite partite a carte, inesauribili bevute e ciclopiche risse. C'è chi scorge, nel sistematico rifiuto delle tecnologie più sofisticate, la volontà di difendere l'aspetto aleatorio del risultato, pietra cruciale sulla quale erigere la cattedrale dell'effimero, in barba al dilagante effetto-scienza che ha reso altre discipline (il basket, per esempio) meno vulnerabili, ma anche più omologate e monotone. E' stato detto: il calcio genera spettacolo, sposta ricchezza e produce violenza. Si ciba di eccessi, e in questi cent'anni non ha mai seguito percorsi rettilinei. Non sempre, e non necessariamente, una florida economia ne ha scandito l'espansione su scala nazionale. Si pensi al Brasile, e al groviglio politico, non proprio un modello di stabilità, dentro il quale il calcio è riuscito a crescere un Pelée un Garrincha e a conquistare ben quattro Mondiali. Gli stadi - anche quelli trasformati in salotti - rimangono arene facilmente incendiarie e, tutto sommato, alla politica e alla polizia fa comodo che così sia. La strage deU'Heysel, nel 1985, ha tracciato una linea di confine fra vecchia e nuova architettura impiantistica, prima ancora che fra vecchia e nuova cultura d'approccio all'evento agonistico. Secondo Bobby Charlton, lo scoppio di un conflitto vero e proprio farebbe degli hooligans altrettanti volontari ed eroi. Paradossalmente, è la mancanza di guerre effettivamente mondiali a rendere, sempre più verosimile e attuale la similitudine calcio-guerra che ha acceso la fantasia di Paul Auster: e di tanti altri, prima e dopo di lui. E non può essere una banale coincidenza se, a squadre e popolazioni di generazione in generazione più meticci' e multi-etnicbe, si affianca un ributtante rilancio del razzismo e dell'antisemitismo. Nessun «happening» regala la cassa di risonanza che offre il calcio, i suoi volutamente fragili paletti (fra nazionale e nazionalismo), il suo essere di tutti e, quindi, tutto o, all'occorrenza, niente. Di sicuro, la matrice fortemente inglese ha spinto gli Stati Uniti a snobbarne il fascino e a boicottarne lo sbocco professionistico. Resta, il calcio, una delle rare riserve di caccia in cui un David possa abbattere i Golia di turno: il minuscolo Uruguay ha vinto due coppe del Mondo; gli Stati Uniti, nessuna. E se la stessa Inghilterra,.che pure l'ha partorito e allattato, è ferma all'edizione casalinga del 1966, le ragioni vanno localizzate, non già all'interno di ima logica rigorosamente sportiva, ma fra i detriti di una filosofìa post-imperiale che ha favorito un progressivo, e deleterio, isolamento, accentuandone i lati meno ricettivi e abbassandone, di conseguenza, la soglia della competitività. E' lo specchio che, meglio di qualsiasi altro strumento, riflette l'anima e la natura dei terrestri. Oggi, la Fifa, madre di tutte le federazioni, può orgogliosamente fregiarsi di 203 Paesi membri. La televisione rappresenta la nuova frontiera e, dettaglio non periferico, il nuovo, 'inico e indiscutibile termine di paragone, oltre che la più generosa fonte di reddito. Gli sponsor hanno scalzato i mecenati. La ■ugge Bosnian ha ridisegnato la geografia, moltiplicando il potere dei Giocatori e dei (di loro) procuratori: è stata, nel suo genoro, la rivoluzione più sconvolgente, quella che ha travolto gli equilibri, già precari, LegheFederazioni e Club-Nazionali, relegando queste ultime al rango di docili damigelle. Una volta, in Cina, si impiegava un pallone di cuoio riempito con capelli femminili; in Grecia, viceversa, si usava di solito una palla riempita di piume d'oca. I palloni odierni hanno indirizzi remoti e sperduti, e puzzano di lavoro minorile. Non tutti, per fortuna. Il calcio è guerra e pace, vita e morte, lealtà e trucco. Lo è stato per un secolo. Lo sarà, anche, su Luna o Marte. Quando ci andremo, se mai ci andremo. Cominciò a celebrarlo Omero nell'Odissea e lo giocarono anche romani e cinesi, mentre gli indiani d'America inventarono una versione da spiaggia, molto sanguinosa Le partite si trasformano in appuntamenti classici come Germania-Inghilterra e un gol può essere «la mano di Dio», come la controversa rete segnata da Maradona S o o a a K La gioia di Diego Armando Maradona dopo aver segnato il gol della vittoria contro gli inglesi, ai Mondiali dell'86: per gli argentini fu la «vendetta» dopo la guerra persa per le Falkland, quattro anni prima

Persone citate: Bobby Charlton, Diego Armando Maradona, Garrincha, Golia, Jorge Luis Borges, Maradona, Paul Auster