La lunga guerra Cuba-Usa sul piccolo naufrago Elias di Mimmo Candito

La lunga guerra Cuba-Usa sul piccolo naufrago Elias CONFRONTO A COLPI DI PROPAGANDA La lunga guerra Cuba-Usa sul piccolo naufrago Elias la storia Mimmo Candito ■ L piccolo naufrago Khan torna Ha casa, a Cuba, e l'idei di I nuovo, il vecchio immarcescibile Fidai; vince la sua guerra contro quella che ama chiamare «la tracontanza yanqui» (spesso, anche, a ragione). L'ultimo comunicato del Dipartimento di Stato fa sapere che Juan Miguel Gonzalez, padre naturale di Elfan e residente a Cuba, «sta per essere coni attato per discutere delle possibilità di ricongiungimento». La formula non ò felicissima, le panile lasciano ancora qualche spazio d'ambiguità diplomatica; ma il tono del documento pare che debba essere interpretato come la volontà d'applicare il principio del ricongiungimento di un bimbo con il suo papà. Proprio come il diritto e il senso comune prevedono, ma non sempre ottengono. Sballottato tra gli affetti e la politica, il piccolo innocente Elian si stnva trasformando, sen za nemmeno rendersene conto, nella vittima sacrificale della lunga guerra ideologica che Cuba e Usa si combattono da quarant'anni. Era stato salvato al largo delle coste della Florida, tre settimane fa, quando due pescatori s'erano avvicinati alla camera d'aria di uno pneumatico che galleggiava sulle onde e vi avevano visto un bimbo disperatamente aggrappato. Elian era stremato, lottava da due giorni, dopo che la barca con cui 13 cubani erano fuggiti dall'isola della Revolución era affondata, trascinando nella morte 11 dei suoi passeggeri, compresa anche la mamma di Elian. Portato a Miami, curato con ogni affetto, era però diventato subito il simbolo del fallimento della Revolución: non l'avevano ancora asciugato dall'acqua del mare e già la forte colonia di esuli cubani che domina la «little i I uba 11 a >i di Miami lo aveva esposto nel presepe mediatico dei telegiornali della sera come un esempio vivente del rifiuto che i cubani hanno del castrismo, «il simbolo doli'esilio per la libertà»; e l'aveva anche mostrato circondato da montagne di giocattoli, tutti quei giocattoli che la crisi economica i Cuba non permette a nessuno dei bimbi dell'isola. Pessima messinscena, certamente. Una misera manovra di propaganda politica, che sfruttava il piccolo Elian - e la sua innocenza - per tentare di ferire ancora una volta di fronte al mondo il regime dell'Avana. Ma Fidel, che ha fiuto politico come pochi ormai tra i vecchi leader di un tempo che finisce, coglieva subito la debolezza della posizione americana (che pareva orientata a concedere l'asilo politico, sotto le pressioni che la comunità cubano-americana forzava opportunisticamente, in un anno elettorale per gli Usa). E Cuba si trasformava allora nel teatrino del diritto naturale negato» e dei buoni sentimenti che debbono vincore sulle sporche manovre dell'imperialismo. Prima partiva il leader della Joventud Comunista, l'eroico Otto Rivero, che si presentava con un gruppo di «spontanei» manifestanti davanti alla sede (quasi) diplomatica degli Usa all'Avana e, scandendo slogan contro l'invasione coloniale americana, si dichiarava pronto anche al sacrificio estremo. «Patria o muerte», gridava al microfono, esponendo il petto al vento salmastro del Malecón. Dopo, però, più modestamente, aggiungeva: «Vedremo se gli yanqui sapranno resistere alla nostra presenza qui tutti i giorni». E faceva rullare i suoi tamburi rivoluzionari, sperando di prendere per stanchezza e assordamento i poveri impiegati americani sotto assedio acustico. Lo seguiva da lontano il presidente dell'Assemblea dei deputati, Ricardo Alarcón, un tempo un diplomatico di fine intelligenza, e ora trasformato in un capopopolo che guidava un centinaio di manifestanti a Cardenas, provincia di Matanzas, la città natale di Elian. «Rivogliamo indietro il nostro piccolo eroe», annunciava Alarcón alla tv di Stato, rivedendosi in questa battaglia come l'erede degli eroi della lotta d'indipendenza nazionale, De Céspedes o Marti. Alla ''indignazione rivoluzionaria" si sommava anche la nonna materna, Raquel Rodriguez, che dopo aver parlato per telefono con il nipotino («gli yanqui lo tengono ostaggio») si metteva alla testa di una "marcia delle nonne" di vaga eco argentina. La mamma di Elian aveva tentato di scappare dall'isola, ma il papà divorziato era ancora lì, e aveva ogni di ritto a riprendersi il figlio. «Gli yanqui sono una tigre di carta», recitava orgogiiosamen- te uno dei cartelli appoggiati alla casa del companero Gonzalez. Scendeva infine sull'arena lo stesso Lfder Maximo, che lanciava un solenne ultimatum agli americani: «O ci rendete il bimbo entro 72 ore, o scateneremo una guerra mondiale». La minaccia forse non ha fatto tremare Clinton, né il Pentagono; e di guerra mediatica è da credere che il vecchio Fidel intedesse tuonare. Comunque, l'ultimatum ha messo in un imbarazzo reale la Casa Bianca, che s'accorgeva con qualche ritardo d'essersi impelagata in una vicenda per la quale Castro poteva accusarla platealmen te d essere «insensibile, crudele criminale, ipocrita». Fidel, all'oc casione, recita l'indignazione po polare con straordinaria etnea eia; e vederlo in tv accarezzare. bimbi cubani e festeggiare con loro «il sesto compleanno del nostro piccolo eroe lontano», è stato uno spettacolo di grande commozione per gli spettatori dabbene di tutto il mondo. Gli accordi tra Usa e Cuba prevedono che i cubani che rie scano a sbarcare in America han no diritto all'asilo politico, men tre vanno rispediti all'Aveva quelli che vengano ripescati nelle acque territoriali statunitensi. In questa disti/ione legale c'è spazio abbondante per qualsiasi manovra. Pare che gli Usa stiano scegliendo ora la strada della più saggia ricomposizione degli affetti, tra Elian e il suo papà, e che la vicenda si chiuda con un'altra vittoria del buon senso. Certo, vince anche Fidel, ancora una volta, ma forse la sua non è proprio una "vittoria rivoluziona ria se il piccolo Elfan, commi que, stava scappando da Cuba i dal suo regime. L'ultimo comunicato del Dipartimento di Stato alla fine sembra accettare il principio del ricongiungimento del bambino con il suo papà L'ultimo dei grandi cortei di protesta all'Avana per II piccolo profugo