Ore di negoziati per una difficile minaccia

Ore di negoziati per una difficile minaccia INDUMSCONO LA BOZZA — DIPLOMATICI Ore di negoziati per una difficile minaccia Una giornata di scontri e mediazioni sulle misure da adottare retroscena HELSINKI Le tre cartelle dattiloscritte della «Dichiarazione sulla Cecenia» sono il risultato di una battaglia diplomatica' che ha visto l'Italia in prima fila e si è conclusa con un sofferto compromesso fra i partner, un segno della debolezza della «Politica estera e di sicurezza comune», impersonata al vertice europeo dallo spagnolo Javier Solana. Nei saloni del Palazzo delle Fiere di Helsinki tutto è incominciato quando sul tavolo della sessione mattutina di lavoro del Consiglio Europeo è arrivata la prima «bozza», risultato del lavoro preparatorio dei direttori politici dei 15 ministeri degli Esteri. Nel testo c'era la condanna delle violenze in Cecenia ma il riferimento alla Russia era assai blando e soprattutto non vi era alcun accenno alle misure pratiche da adottare nei confronti del Cremlino se Grozny dovesse diventare teatro di una carneficina. Il presidente francese, Jacques Chirac, è stato il primo a rompere il ghiaccio: «Bisogna chiamare la Russia per nome, dire cosa faremo se non si fermano». Subito dopo è toccato al presidente del Corisi- fo Massimo D'Alema: «Siamo fronte ad un documento che deve essere rafforzato per chiarire quali saranno le iniziative europee nei confronti della Russia se il nostro appello non verrà accolto». L'intesa fra Parigi e Roma sulla Cecenia si era andata rafforzando negli ultimi dieci giorni - con ripetuti contatti diretti - e a Helsinki si è trasformata, con il sostegno an- . che della Germania di Gerhard Schroeder, nella punta di lancia della dottrina dell'«ingerenza umanitaria» già motivo della guerra in Kosovo e dell'intervento di pace nella lontana Timor Est. «Quando si parla di diritti umani non ci possono essere due pesi e due misure» ha ripetuto più volte D'Alema nel corso della serrata giornata di colloqui, mentre i direttori degli affari politici tornavano a riunirsi per redigere un nuovo testo. E' stato in questa seconda fase che il contributo del Quay D'Orsay e della Farnesina si è fatto più incisivo. I ministri degli Èsteri Hubert Vedrine e Lamberto Dini hanno indicato, con il costante sostegno della presidenza della commissione europea, quale era la strada da seguire: pressione politica diretta su Mosca e annuncio delle ritorsioni politiche ed economiche che seguiranno se la Russia non porrà fine all'«uso sproporzionato della violenza» e non rispetterà l'impegno, assunto davanti alla comunità internazionale, a cercare una «soluzione pacifica» in Cecenia. In questo forcing diplomatico teso a rompere le esitazioni europee, Parigi, Roma e Berlino si sono trovate al fianco come alleati altri partner, come i danesi e gli olandesi. Sul fronte opposto, a suggerire di non andare troppo in là con le minacce verso Mosca, c'era invece proprio il Paese che ha dato i natali alla dottrina dell'cingerenza umanitaria»: la Gran Bretagna di Tony Blair, che si è fatta portavoce a Helsinki della posizione contraria alle sanzioni alla Russia, già espressa dal presidente americano Bill Clinton. Sulla linea della «realpolitik» nei confronti del Cremlino i britannici però non sono stati isolati, anzi alcuni importanti paesi dell'Unione (come la Spagna) li hanno sostenuti. Al pranzo fra i Capi di Stato e di governo è apparso chiaro che la «trojka» italo-franco-tedesca rappresentava l'umore della maggioranza. Ma le sorprese non erano ancora Finite. Durante l'ennesima consultazione fra i direttori degli affari politici la presidenza di turno finlandese, a sorpresa, lanciava la proposta di una «missione a Mosca» per «notificare» i contenuti della dichiarazione sulla Cecenia. La delegazione sarebbe dovuta partire già oggi, ed avrebbe dovuto comprendere Romano Prodi, presidente della commissione europea, Javier Solana, responsabile degli Esteri e della Difesa dell'Ue, e il presidente finlandese Manti Ahtisaari. La proposta restava in vita per poco più di due ore, quanto bastava ai padroni di casa per immaginare alla fine del. loro semestre di presidenza europea un nuovo blitz di suc¬ cesso del loro Ahtisaari, come quello che portò alla fine della guerra in Kosovo. Ma il progetto finlandese aveva vita breve: Solana era costretto a volare ad Ankara per convincere i turchi ad accettare la candidatura all'adesione all'Ue e Prodi prendeva cautamente le distanze. Trovarsi dentro il Cremlino nel giorno della scadenza dell'ultimatum a Grozny avrebbe messo l'Europa in grande imbarazzo senza la garanzia di poter ottenere alcunché dai russi, impegnati nella campagna elettorale per la Duma. Mentre si consumava lo scivolone finlandese, gli «sherpa» dei Quindici erano impegnati nell'ultimo braccio di ferro: questa volta sulla formulazione verbale del monito alla Russia. A pomeriggio oramai inoltrato, nella prima versione del testo redatta, si affermava che, se i russi proseguiranno la guerra in Cecenia, alcuni importanti accordi economici «dovrebbero essere sospesi». Ma non era abbastanza. Francesi, tedeschi ed italiani puntavano i piedi e chiedevano la stessa frase ma con un verbo differente: «saranno sospesi». Ma la proposta non passava. Finiva così il lungo negoziato sulla Cecenia, estenuante per tutti quelli che lo hanno vissuto in prima persona. Come il ministro Dini che, fra sarcasmo e stanchezza, prima di iniziare la sua conferenza stampa, commentava a denti stretti: «Meglio i film western che i Consigli europei». [m. moì. 1 Italia e Francia guidano il fronte degli intransigenti appoggiati da Danimarca Olanda e Germania Cauti invece inglesi e spagnoli. Il risultato è un compromesso dai toni duri Il premier Massimo D'Alema