Il Mille arrivò nella miseria di Lorenzo Mondo

Il Mille arrivò nella miseria Continua il conto alla rovescia verso il nuovo % H Millennio, ventitré giorni per il Duemila Il Mille arrivò nella miseria Lorenzo Mondo MA come cominciò il primo anno mille? Quello che, inscritto nei numeri del calendario, ha accompagnato fino a oggi, e ancora per una manciata di giorni, tante generazioni? Che cosa rimanda di noi quello specchio brunito dal tempo? Diciamo intanto che in quell'alba epocale non squillò più lacerante e vittoriosa la tromba del gallo, non ci fu tripudio di campane da chiese e monasteri, non accorrere di gente per le strade. Non credete a Giosuè Carducci, alla sua tornita eloquenza: "E che stupore di gioia e che grido salì al cielo dalle turbe raccolte in gruppi silenziosi intomo a' manieri feudali, accasciate e singhiozzanti nelle chiese tenebrose e ne' chiostri, sparse con pallidi volti e sommessi mormorii per le piazze e alla campagna, quando il sole, eterno fonte di luce e di vita, si levò trionfale la mattina dell'anno mille!'' Carducci faceva sua la leggenda romantica sui terrori che avrebbero accompagnato l'attesa della fine del mondo (mille e non più mille) e vedeva nella radiosa, solenne smentita il primo dissiparsi delle tenebre medioevali. La storia è sempre contemporanea, ahimè, anche nel senso che può essere sempre travisata e falsificata dalle passioni del momento. In verità, nessunadèlléfonti coeve autorizza quella immaginosa rappresentazione. Rodolfo il Glabro che crede, come tutto il Medioevo cristiano, alla inevitabile fine del mondo e registra le calamità e i prodigi che potrebbero annunciarla, scrive intorno al 1040 senza far cenno all'anno mille. E poi non erano in molti capaci di accorgersi del trapasso, forse soltanto i chierici, tanto più che l'inizio dell'anno cadeva in giorni diversi a seconda dei luoghi, osculava tra il Natale e la Pasqua. E' ipotizzabile allora che, quel giorno, il monaco fosse occupato a cantare Mattutino, il nobile a cavalcare, il contadino a raccogliere legna nei boschi. La gente -osserva Edmond Pognon-"aveva ben altro da fare che spaventarsi per la fine del mondo". La vita, per una popolazione composta in massima parte di contadini, non risparmia fatiche e dolori. Tutta l'Europa è invasa da foreste che rappresentano insieme una frontiera e una elementare difesa. Là si rifugiano le ultime divinità pagane. Le foreste sono una presenza forte nella realtà e nell'immaginario collettivo. Nelle radure si coltivano, più che il grano, cereali vili, che costituiscono l'alimento base, insieme agli ortaggi, ai frutti del bosco, agli animali da cortile (il vino, esclusi i luoghi di produzione, è un lusso). I terreni sono scarsamente remunerativi: mancano i concimi, si utilizzano perlopiù utensili di legno, non si conoscono tecniche di irrigazione e di drenaggio. Le pioggie torrenziali, gli inverni rigidi eie siccità rendono familiare, incombente, una fame spettrale. Talora -documentano con orrore e pietà i cronististerminata la cacciagione si arriva al cannibalismo. A ben vedere, si tratta di disastri comuni anche ai nostri giorni, ma diversa è la possibilità di farvi fronte. Alla denutrizione si aggiungono come causa di morte le epidemie. Viene soprattutto segnalato il fuoco di Sant'Antonio che, provocato dalla farina avariata della segale, divora i coipi come per una combustione interna. Lo scenario che ci viene proposto fa pensare alle condizioni di vita delle più miserabili popolazioni africane. Tali eravamo, e tali ne restano ancora su gran parte del pianeta. I conUdini, come vediamo in molte rniniature, vestono rozze tunichette di lana o di canapa, in Francia resistono le brache di ascendenza gallica. Queste figuri- I ne armate di falcetto devono difendersi dall'inclemenza di una natura selvaggia (che non suggerisce preoccupazioni ecologiche) e con la crudeltà degli uomini. Si sono arrestate, all'epoca, le terrificanti invasioni di Normanni e di Ungheri, perdurano le razzie dei Saraceni, padroni della Sicilia e della Spagna. Ma i villani sono taglieggiati da bande di masnadieri, dai signorotti locali che, insediati nei loro castelluzzi di legno, fanno pagare a caro prezzo la loro protezione. Poche e semideserte le città, sopravvivono appena come piazzeforti, come residenze ben altrimenti ricche di signori e di vescovi. Se le campagne sono ricetto di superstizione e magia, nelle città, all'ombra delle chiese, si affaccia l'eresia. I manichei di Orléans (ma siamo ormai al 1022-23) salgono sul rogo, e quei tizzoni resteranno accesi per secoli. Ma proprio nell'anno mille, nella stessa Orléans, alla notizia che i musulmani hanno devastato a Gerusalemme il Santo Sepolcro, gli ebrei, ritenuti ispiratori dei misfatto, vengono massacrati ed espulsi. Una pratica atroce di cui, purtroppo, gli uomini dei tempi bui non hanno conservato l'esclusiva. La cultura è viva soltanto nelle abbazie, dove si continua a copiare, insieme ai testi sacri, le opere di Cicerone, Boezio, Virgilio. E di origine chiesastica o conventuale sono i pochi scrìtti apprezzabili: cronache, storie di miracoli, panegirici. Se si esclude Rodolfo il Glabro, non emerge scrittore paragonabile all'epico e sanguigno autore della "Cronaca di Novalesa" o all'antecedente Liutprando di Cremona, caustico e pettegolo ambasciatore degli Ottoni alla corte di Bisanzio. La lingua volgare è riservata alla comunicazione orale. In Italia ci ricordiamo appena dei "Placiti Campani", scarne testimonianze rese davanti ai giudici in una causa civile. Ma ci sono molti indizi che in Francia fossero già divulgati i temi della "Chanson de Roland". Non mancano in un quadro così accidentato e fosco i segnali che preannunciano un mondo migliore. C'è innanzitutto un forte incremento demografico, che contribuirà all'inurbamento e alla rinascita delle città. La civiltà materiale si avvale di nuove tecniche, come il vomero dell'aratro, il collare rigido per gli animali da tiro, la ferratura degli zoccoli, i mulini ad acqua. Da sempre sono attivi i meccanismi di solidarietà e di aiuto reciproco, che restano ineguagliati anche nel nostro tempo (così Georges Duby). Fanno perno, oltre che sulle abbazie, sulla famiglia, le comunità di villaggio, la biessa signoria: in tempo di carestia, il castellano è tenuto a spalancare i propri granai per sfamare i poveri. Per influsso del monachesimo riformato di Cluny si arriva a codificare la pace di Dio e la tregua di Dio che frenano almeno le pulsioni guerresche dei cavalieri. Il " bianco manto " di chiesa che, secondo il poetico resoconto di Rodolfo, si stende sulla terra ringiovanita, non può essere identificato con le più tardive e superbe creazioni romaniche. Ma è indizio di una fede più pura e intensa, che si risolve anche in una maggiore ricchezza delle abbazie, nelle quali i più fortunati ricevono l'istruzione elementare e secondaria. Al massimo livello della società si registra l'incontro di due esseri eccezionali. Sul trono papale siede Silvestro II. l'ex monaco Gerberto d'Aurillac: imo degli uomini più colti del suo tempo, che pone termine con la severità dei costumi a una serie sciagurata di pontefici. E' lui a incoronare imperatore Ottone IH di Sassonia, che sogna di essere un nuovo Carlo, addirittura un nuovo Costantino. La "Renovatio Imperii Romani" è l'ultimo preagonico sussulto di una concezione del mondo ormai superata, ma sottintende una aspirazione all'imita dell'Europa che si sarebbe riproposta più volte, in forme diverse, fino ai nostri giorni. La rivolta del prediletto popolo romano, la feudalità riottosa, hanno ragione del fragile e tenace imperatore. Che morirà qualche anno dopo, di malaria e forse di crepacuore, a soli 22 anni. A Oriente e a Occidente si va delinendo una nuova, semplificata geografia feudale in cui si ravvisa il seme dei futuri stati nazionali. Aldilà dell'anno mille, il primo e il secondo, la storia continua, con le sue straordinarie riuscite e i suoi ripetuti, e perfino rinnovati orrori. Per quanto sta alle nostre possibilità di osservazione e di previsione, le piccole e grandi Apocalissi restano affidate alle mani, e al cuore, dell'uomo. La gente non si spaventò per la fine del mondo: non erano in molti ad essere capaci di accorgersi del trapasso. La prima alba dell'anno iniziò in giorni diversi, a seconda dei luoghi Denutrizione ed epidemie affliggevano l'umanità: finita la cacciagione si arrivò al cannibalismo. La cultura viveva solo nelle abbazie dove si copiavano i Testi sacri e Cicerone % H Il «Finimondo» di Luca Signor olii

Persone citate: Boezio, Campani, Carducci, Cicerone, Edmond Pognon, Georges Duby, Giosuè Carducci, Mattutino, Saraceni, Ungheri