Sono lettere d'amore e di malinconia di Marco Vozza

Sono lettere d'amore e di malinconia Sono lettere d'amore e di malinconia Marco Vozza L'opera di Cézanne costituisce, insieme a quella di Kafka, il più rilevante esempio novecentesco di dislocazione interpretativa, nel senso che, oltre all'aver determinato buona parte degli sviluppi dell'arte contemporanea, può vantare una cospicua storia della ricezione sia in ambito letterario sia in quello filosofico. All'orìgine del mito letterario di Cézanne - alimentato poi dalla Woolf, da Lawrence e da Handkeci sono indubbiamente le lettere di vertiginosa intensità espressiva che Rilke scrisse sotto l'effetto delle ripetute visite al Grand Palais di Parigi in occasione della retrospettiva dedicata al pittore provenzale nel 1907, nelle stesse sale frequentate, tra gli altri, da Matisse e Modigliani, Braque e Lcger, e nello stesso anno in cui Picasso sovvertiva I canoni dell'arte figurativa con "Los De moiseiles d'Avignon». La pubblicazione di queste lettere, di cui offriamo qui un'anticipazione («Verso l'estremo. Lettere su Cézanne e sull'arte come destino», pp. 160, L 26.000, ed. Pendragcn, tel. 051 -267869), rappresenta un evento editoriale destinato a lasciare un segno sia nell'interpretazione di Cézanne sia in quella dello stesso Rilke; infatti, il curatore Franco Rella ha riunito, con grande passione e competenza, tutte le lettere In cui II poeta praghese offre qualche Illuminante prospettiva sulla pittura (non soltanto quella di Cézanne ma anche quella di Van Gogh, Klee, Kokoschka e Picasso) insieme a quelle, altrettanto significative, in cui la lezione di Cézanne, queH'«incendk> di chiaroveggenza» da lui sprigionato, dà origine alla creazione del capolavori di Rilke, i «Sonetti a Orfeo» e le «Elegie duinesi». Quella proposta da Rella è una tesi forte: senza l'incontro con Cézanne, Rilke non sarebbe diventato il poeta che conosciamo, forse il vertice della lirica novecentesca. Quelle di Rilke sono lettere d'amore sulla pittura e sulla poesia, che sembrano attingere alla stessa fonte creativa, ma sono al contempo lettere d'amore rivolte alla principale destinataria, la moglie Clara souftrice, come per istituire un comune mondo dei significati, che da concretezza e densità d'esperienza al mondo degli affetti: «Oggi volevo raccontarti un po' di Cézanne... questo si ricollega in cento punti intorno a noi e con noi». Rilke si awidna ai quadri di Cézanne con la malinconica consapevolezza del carattere effimero e transitorio della nostra esperienza, con la luttuosa sensibilità nei confronti di ogni abbandono. Come giustificare lo scandalo della sofferenza, delle idee estetiche. Agli occhi di Rilke, Cézanne è il testimone di questa fedeltà alla terra, della caparbietà con cui l'artista deve perseguire la forma della realtà, quella incorruttibile della mela o della montagna Sainte- Victoire. Il pittore si è spinto fino all'estremo limite della rappresentazione per ritrovare la consistenza delle cose «indistruttibili nella loro ostinata presenza», ha indagato non la loro configurazione empirica ma il loro «farsi cosa», fino a costringerle a mostrare il loro splendore. L'abnegazione di Cézanne al cospetto della morte che cerca di afferrarne il pennello è una lezione etica, educativa, prima ancora che estetica. L'essenza delle cose, la consistenza e la durata del loro esserci, la loro umile oggettività, vengono restituite dalla meticolosa descrizione di Rilke, che cerca altresì, in un mirabile esercizio di fedeltà al pittore, di evocare il mutuo rapporto tra i colori, il loro intimo colloquio. Dopo Baudelaire, Cézanne ha condotto l'arte «verso un linguaggio di cose», mostrate nella loro terrìbile inesorabilità: ora il poeta sa che il proprio compito sarà quello di corrispondere a tale «svolta»: «In fondo noi dobbiamo solo "esserci", ma semplicemente, ma con insistenza, come è la terra, concorde alle stagioni, chiara e oscura e tutta nello spazio, senza pretendere di posare in altro che nel reticolo degli influssi e delie forze, in cui le stelle si sentono sicure». Il 22 ottobre la mostra di Parigi chiude i battenti e Rilke sembra smarrito, tutto gli appare spettrale e inafferrabile: per assolvere al compito artistico che si è prefisso, deve mettere a tacere il mondo esterno per potenziare quella concentrazione interiore che aveva permesso a Cézanne d i raggiungere lo scopo, perquanto precario, della «réalisation». ABaladine Klossowska, il poeta scrive di dover convogliare le proprie forze verso i centri interiori impedendo loro di dirigersi verso l'esterno, «verso il visibile», mentre - nell'ultima fondamentale lettera a von Hulewicz - chiarisce che soltanto nella profondità dell'invisibile si manifesta quel salvifico «doppio regno» che opera la costante metamorfosi tra istanze di vita c affermazioni di morte. In questo pathos rivolto all'invisibile si avverte un elemento problematico della transizione rilkiana dalla pittura alla poesia: mentre a quest'ultima pare essenziale una conversione interiorizzante, la pittura sembra risolvere il magma arcano dell'interiorità nella configurazione cromatica del visibile, dissolvendo ogni opposizione metafisica tra essenza ed apparenza. Come fautore della metamorfosi interiore, volta a penetrare nelle sfere dell'ineffabile, Rilke sembra paradossalmente più vicino al trascurato Kandinskycheal prediletto Cézanne, dedito all'ascolto della «necessità interiore» piuttosto che alla costruzione di una «logica delle sensazioni organizzate».

Luoghi citati: Parigi