Nuova Caledonia: in visita alla casa dell'orgoglio Kanak

Nuova Caledonia: in visita alla casa dell'orgoglio Kanak IL CENTRO TJIBAOU PROGETTATO DA RENZO PIANO Nuova Caledonia: in visita alla casa dell'orgoglio Kanak V -REPORTAGE ■ Silvia Greco Aguardarlo da lontano quasi non si capisce se si tratta di un'antica costruzione melanesiana o di un set di Guerre Stellari. Eppure il centro Tjibaou, in Nuova Caledonia, non è né l'uno né l'altro. Progettato per rappresentare la cultura e lo spirito dei kanak, fonde elementi della tradizione indigena con un'architettura futuristica. Non è museo tradizionale, il Tjibaou; anzi, sembra animato di vita propria. Fuori è il vento tra le doghe di legno, all'interno il leggero sussurro dei pannelli in vetro del lungo corridoio, computerizzati, che si alzano e si abbassano a seconda della temperatura esterna. «Vogliamo che sia vivo», spiega Emmanuel Kasarhérou, direttore culturale. «Ci piace che l'architettura, con le dieci case che sembrano appena accennate, non finite, rifletta la filosofia del centro culturale: non un museo del nostro passato ma qualcosa che sia proiettato verso il futuro». Dice Kasarhérou che tra la quindicina di architetti in lizza, Renzo Piano è stato quello che meglio ha saputo interpretare la cultura kanak, e che per questo è stato scelto il suo progetto. Ed è mi progetto che viene da lontano. Pagato da Francois Mitterrand (è stato l'ultimo dei suoi «grands projets», costato 320 milioni di franchi francesi - circa 95 miliardi di lire) ha cominciato a prendere forma nel 1975, quando Jean-Marie Tjibaou, leader indipendentista kanak al quale il centro è dedicato, risvegliò nei melanesiani l'orgoglio di un'identità quasi dimenticata. Un semplice festival, «Melanesia 2000», eppure la prima volta, dalla colonizzazione francese, in cui i kanak si sono trovati a celebrare la propria cultura con gioia. Quando, quattordici anni dopo, Tjibaou venne assassinato da un estremista kanak, le basi del «risveglio» erano gettate. Oggi il centro, che sorge nello stesso luogo dove si tenne «Melanesia 2000», è lo specchio dei 75 mila indigeni della Nuova Caledonia, un popolo in cerca di autonomia e identità. Inaugurato a giugno dello scorso anno nella capitale Numea, Tjibaou è già diventato il punto di riferimento per l'arte e la cultura di tutto il Pacifico. La collezione permanente è formata da opere di artisti contemporanei dell'intera regione: Nuova Zelanda, Australia, Polinesia, Melanesia... Le dieci stanze, a forma di capanna all'interno e di vela all'esterno - la più alta raggiunge i 33 metri -, ospitano antichi manufatti tradizionali, una sala cinematografica, un teatro, il centro multimediale per ricerche su arte e storia dell'Oceania, e monumentali sculture in legno che raccontano le tradizioni del Pacifico. La sfida è slegare l'arte di questo mondo ancora bambino dall'approccio etnografico occidentale. E, naturalmente, non lasciare che il centro culturale (il più grande, stravagante e costoso dell'intero Pacifico) resti un semplice tribù- to dell'Europa ad una delle sue colonie. All'esterno, il «cammino kanak» è un'iniziazione simbolica alle tradizioni melanesiane. La pietra forata attraverso la quale passano gli spiriti di chi lascia questa terra - puntata verso il mare, regno dei morti per i kanak -, come pure i fiori, gli alberi, le piante di taro. Tutto parla del mondo kanak e tutto racconta della vita e della mitologia di Téo Kanaké, l'eroe dal quale tutto ebbe inizio. Dall'altro lato tre capanne simboleggiano le province, o meglio i tre grandi gruppi tribali: il Nord, il Sud e le Isole della Fedeltà. Tre mondi diversi, che vanno dalla giungla ad un mare cristallino ricco di coralli, pesci tropicali, testuggini e delfini, con ima laguna che è una delle più grandi del mondo (22 mila km). Duecentomila abitanti, di cui circa la metà kanak, sono sparpagliati in una terra grande il doppio della Corsica. Nonostante due secoli di colonizzazione, la Nuova Caledonia ha mantenuto una forte identità, con culture diverse e un popolo che parla tutt'oggi 28 lingue. Differenze che il Tjibaou non ha cercato di appiattire, ma ha invece raccolto sotto un unico ombrello. Allo stesso tempo pittori, musicisti e scultori di tutto il Pacifico sono stati invitati a dare ciascuno il proprio contributo artistico. «Il mondo per noi non finisce dove inizia la barriera coral- VISITA ALLA TRIBÙ' ■ La costa Ovest è ideale per andare a cavallo o per esplorare a piedi o in auto valli e colline semitropicali. Spiagge di sabbia bianca e palme da cocco sono invece il tipico scenario della selvaggia costa Est. Attenzione, per visitare le tribù kanak è necessario l'autorizzazione dei singoli clan. E-mail: Kungreco@ozemail.com.au lina», ha detto la vedova di Tjibaou, Marie-Claude, all'inaugurazione del centro. Anche per questo un'architettura «non finita», che lascia spazio all'immaginazione, è tanto importante. Al comitato kanak che seguiva il progetto, le idee di Renzo Piano sono piaciute da subito. A cominciare dalla sua impostazione di lavoro, rigorosamente di gruppo, proprio come si usa nella tradizione tribale melanesiana. Una piccola delegazione kanak è andata più volte a trovarlo nel suo workshop di Genova per discutere i dettagli della realizzazione. «Sono convinto che l'origine italiana di Piano sia servita a capirci a vicenda», dice Kasarhérou. «Se avessimo dovuto lavorare sotto una guida rigida non saremmo airivati a capo di nulla. Invece Tjibaou è stato costruito con il dialogo». L'approccio di Piano è stato inconsueto da subito. È stato l'unico della quindicina di architetti che concorrevano al progetto a volere un esperto di cultura kanak al suo fianco, e stato l'unico a chiedere a OctaveTogna, direttore dell'«Agence de développement de la culture kanak», di essere lasciato da solo per un giorno intero nel luogo dove il centro culturale sarebbe stato costruito. Ha ascoltato il vento, osservato la laguna e gli alberi. Poi ha deciso che «il rapporto tra la natura circostante e la struttura costruita deve essere così stretto da avere lo stesso odore e dividere lo stesso vento». Così è stato. Il suo Tjibaou, costruito con forme futuristiche e materiali tradizionali, vive in simbiosi con la baia e con i tre ettari di parco attorno. La struttura esterna delle dieci case è di un legno sudafricano, l'iroko, che con il tempo perderà il rosso originale e diventerà simile ai tronchi delle palme della Nuova Caledonia. Soprattutto, Tjibaou non avrebbe potuto essere costniito altrovp- ò figlio della cultura melanesiana. Per i kanak è la riscoperta di un'identità addormentata dalla colonizzazione. Dall'inaugurazione, quando i capi delle principali tribù kanak hanno dato il loro benestare con una cerimonia di danze e preghiere durata sei ore, tre mostre collettive hanno portato a Numea artisti provenienti dal Pacifico del Sud, Nuova Caledonia e Papua Nuova Guinea, per giorni al lavoro fianco a fianco nell'atelier del museo. In comune hanno culture che parlano dello stesso mare, e un senso di appartenenza a terre dove arte e antichi rituali camminano insieme. Alban Bensa, antropologo francese (quello che Piano ha voluto dietro alla propria matita), ha scritto che il Tjibaou non sarebbe esistito se in Nuova Caledonia non ci fossero state le tensioni e gli scontri antifrancesi degli Anni '80. Da questa lotta nasce il tentativo di dare un nuovo valore alle culture del Pacifico, a popoli che l'Occidente tende a considerare curiosità etnografiche. Non è museo tradizionale e sembra animato di vita propria: fuori, dal vento tra le doghe di legno; dentro, dal sussurro dei pannelli in vetro computerizzati che si alzano e si abbassano a seconda della temperatura VOLUTO DA FRANCOIS MITTERRAND, E STATO L'ULTIMO DEI SUOI «GRANDS PROJETS» ED ALLA FRANCIA È COSTATO 320 MILIONI DI FRANCHI, CIRCA 95 MILIARDI DI LIRE

Persone citate: Alban Bensa, Emmanuel Kasarhérou, Francois Mitterrand, Jean-marie Tjibaou, Marie-claude, Renzo Piano, Silvia Greco