Casa Accorsi ora è museo di Maurizio Lupo

Casa Accorsi ora è museo APRE DOMANI IN VIA PO CON LE COLLEZIONI DEL GRANDE ANTIQUARIO Casa Accorsi ora è museo Esposti tesori per250 miliardi eventi Maurizio Lupo D A domani, dopo 17 anni d'attesa, apre in via Po 55 il nuovo «Museo di arti decorative», creato dalla Fondazione dedicata a Pietro Accorsi (1891-1982), con le collezioni e i preziosi arredi che il grande antiquario torinese riunì a «Villa Paola», la sua principesca residenza in strada Santa Brigida 78. La città potrà infine ammirare un patrimonio di oltre 7 mila tesori: mobili, dipinti, sculture, porcellane, bronzi, arazzi, cristallerie, argenti, tappeti e «oggetti di virtù», che ricostruiscono ambienti aristocratici della Torino del Settecento e del primo Ottocento. L'insieme, valutato circa 250 miliardi, è stato ricomposto da Giulio Ometto, collaboratore di Accorsi. Ha ideato una fuga di 27 stupefacenti stanze, esaltate dai restauri al palazzo di 12 mila metri quadri che le accoglie e da un raffinato allestimento museale di 2 mila metri quadri, costati in tutto circa 27 miliardi. «Il Museo - spiega il direttore Alberto Cottino - offre tre diversi approcci per scoprirlo. Propone eccezionali collezioni, le affianca in ambienti spettacolari e spiega l'interpretazione che Accorsi dava al Settecento, con la proposta di una casa "eclettica" d'epoca barocca, di gusto franco-piemontese e veneto». Il percorso di visita guidata, ogni 15 minuti, con orario continuato dal martedì alla domenica, dalle ore 9 alle 19, prende avvio in una galleria di specchi, al piano nobile. E'il primo di una serie di ambienti «nuovi», che il gusto estetico di Ometto ha concepito in stile Luigi XVI, per accogliere eleganti vetrine a piena parete che ospitano collezioni di cristallerie, argenti, ben 60 tabacchiere d'oro e svariate maioliche. L'occhio stupisce fino alla sala che accoglie «La Madonna delle nevi», una lignea scultura piemontese dei Quattrocento. Di qui si susseguono poi in fuga le stanze di «Casa-Accorsi». Si entra dalla cucina, dove spiccano 575 rami appesi, la poltrona appartenuta allo statista Giovanbattista Bogino e una ricca piattaia. Seguono altre vetrine con maioliche cinquecentesche di Faenza, arbarelle di Savona e porcellane di Vinovo. Un intero locale è dedicato ai 160 pezzi del servizio da tavola Frankenthal commissionato nel 1772 da Carlo Teodoro di Bavie- ra, posto accanto ad un altro grandioso servizio di Sèvres. Si passa poi alla sala da pranzo, con «papier-peint» naturalistici, e alla sala della musica. Nel successivo salone Luigi XVI sono presenti sei sedie «Impero» donate da Napoleone alia sorella Paolina, in occasione del suo matrimonio con il principe Camillo Borghese, ma l'occhio cade su un pezzo eccezionale: un mobile a doppio corpo unico al mondo, tutto rivestito di maioliche di Pesaro del 1775, probabile dono a Vittorio Amedeo III di Savoia dello Zar Alessandro II. Si è ora pronti per godere del «pezzo simbolo» del Museo: un altro mobile a doppio corpo, intarsiato d'avorio e firmato nel 1738 dall'ebanista Pietro Piffetti. Fu realizzato probabilmente per le nozze di Carlo Emanuele III di Savoia con Elisabetta di Lorena ed è simile ad un altro esemplare conservato al Quirinale. L'intimità della casa prosegue quindi in una camera da letto caratterizzata da un baldacchino ricamato a punto Bandera e da una specchiera decorata da Amedeo Cignaroli. Poi ci si affaccia alla «sala Luigi XV», qual è lo stile di una stupenda consolle in lacca e di un mobile a cineserie «ironiche» che l'arredano. Accorsi dormiva nella stanza successiva, su un letto a baldacchino in damasco verde, dirimpetto a una scrivania genovese. Ma lavorava in uno studiolo, fra boiseries del Seicento. Vi si accede da un «salone cinese», tappezzato in carta di riso del Seicento, dipinta con scene di vita orientale. Lo si raggiunge ancora meravigliati dalla «stanza veneziana», ricca di azzurri cassettoni laccati, dopo aver attraversato le sale che la «casa» dedica a sei grandi scene di caccia, dipinte da Vittorio Amedeo Cignaroli, ed aver visto tele di Pierre Charles Trémolières, che ritraggono i sette sacramenti, dinanzi a una pala d'altare del Moncalvo. Prima d'uscire c'è ancora l'occasione di ammirare un'anticamera con specchiera che la tradizione vuole fosse nel «pied-a-terre» che Vittorio Amedo II possedeva a Villa Palmanota, a Orbassano. Per concludere la visita dinanzi a un cassettone di Piffetti, fiancheggiato da due angoliere di Giuseppe Maria Bonzanigo, posti in un salottino dell'Ottocento, laccato in oro e finta tartaruga, già appartenuto allo stilista Christian Dior Dopo 17 anni d'attesa si potranno ammirare oltre settemila pezzi fra mobili, dipinti e bronzi della Torino del Settecento e primi Ottocento Incentro il direttore Alberto Cottino accanto al «pezzo simbolo» del Museo: mobile intarsiato d'avorio dell'ebanista Pietro Piffetti. Sopra il letto con baldacchino ricamato a punto Bandera. a lato la statua lignea «Madonna delle nevi»

Luoghi citati: Faenza, Orbassano, Pesaro, Savona, Vinovo