Niente tasse sugli acquisti elettronici di Andrea Di Robilant

Niente tasse sugli acquisti elettronici Niente tasse sugli acquisti elettronici Primo punto per gli Usa: passa ilprincipio del «dutyfree» Andrea di Robilant inviato a SEATTLE La protesta per le strade annebbiate dal gas lacrimogeno non ha impedito agli americani di segnare un primo punto nei lavori del vertice Wto: l'estensione di un regime duty-free a tutto il commercio on Une. In prospettiva, le implicazioni sono enormi. Oggi il commercio elettronico rappresenta una percentuale irrisoria del commercio mondiale. Ma molti economisti sono convinti che i'«ecommerce» diventerà in pochi anni il vero motore dell'economia globale. Negli Stati Uniti il commercio elettronico è già in rapidissima espansione, trainato da colossi come Amazon.com e eBay. Quest'anno almeno il 10 per cento degli acquisti natalizi sarà fatto on line, Ù doppio dell'anno scorso. E ieri Charlene Barshefsky, la coriacea negoziatrice americana, ha avuto gioco facile ha sfruttare il dominio Usa in questo settore per imporre la sua linea. «Negli altri settori dobbiamo abbattere barriere», ha detto la Barshefsky. «Nel commercio elettronico quelle barriere - dazi, tariffe, tasse per fortuna ancora non ci sono. E noi voghamo che le cose rimangano così. Vogliamo che il commercio on line fiorisca il più possibile e senza intralci. Non dobbiamo ripetere gli errori che abbiamo commesso in passato nel commercio tradizionale». Gli europei non hanno avuto granché da ridire, anche perché, come ha candidamente ammesso 11 ministro per il Commercio con l'estero Piero Fassino, «gli europei su questo argomento non hanno ancora una posizione comune. Anzi, nessun governo europeo ha una posizione. Noi italiani non abbiamo una posizione. E' un fenomeno nuovo, da noi si comincia solo adesso». Così gli Stati Uniti vanno avanti da soli su questo terreno, decisi a evitare gli errori che furono commessi tra le due guerre mondiali. «Oggi stiamo ancora cercando di abbattere le barriere che furono erette dopo la prima guerra mondiale nel commercio tradizionale», ha spiegato la Barshefsky. Qui a Seattle gli americani, forti del loro dominio, hanno ottenuto una moratoria sull'applicazione di tariffe su Internet e una cauta disponibilità di massima degli europei a non fiscalizzare il commercio on line. Ma per gli americani le riunioni di ieri sono solo l'inizio di una lunga battaglia per mantenere libero il commercio su Internet. Molti considerano il commercio elettronico come un ennesimo strumento dell'egemonia americana nel mondo. Sottolineano che la lingua dominante di Internet è l'inglese. E ricordano che l'esplosione dell'«e-commerce» negli Stati Uniti poggia anche su un sistema di stoccaggio e su una rete di trasporto e di distribuzione che non esistono in altre parti del mondo. E anche nei Paesi più avanzati - Europa, Giappone - dove l'accesso a Jntemet è già molto diffuso (in alcuni Paesi, soprattutto quelli scandinavi, più diffuso che negli Stati Uniti), il commercio elettronico tarda a decollare per motivi culturali. Come sottolineava ieri il Wall Street Journal, «pochi europei condividono l'entusiasmo degli americani per l'acquisto on line di vestiti e cosmetici». I lobbisti dell'«e-commerce» sono arrivati a Seattle per convincere i più recalcitranti che il commercio on line permetterà ai Paesi più piccoli e meno sviluppati di competere con i Paesi ricchi fintanto che non ci saranno tariffe, dazi, prelievi fiscali e altre barriere. «Internet offre la possibilità ai Paesi più poveri di fare un vero balzo in avanti», insiste George Vradenburg, vicepresidente di America On Line, «e di accedere direttamente ai mercati più evoluti». Ma è facile capire perché questa propaganda susciti scetticismo. Dalla Rivoluzione industriale in poi, ogni evoluzione del mercato ha finito per allargare la forbice tra i Paesi ricchi e i Paesi poveri.

Persone citate: Barshefsky, Charlene Barshefsky, George Vradenburg, Piero Fassino