Il dito del generale
Il dito del generale La storia (sofferta) della statua di Guglielmo Pepe Il dito del generale dall'altro - il trionfo del gin-tonic e del maxi gelato sulla cocaina, servisse a distrarre l'afflitto generale. Figuriamoci. Provate a spezzare, con un notturno tiro di sasso, il dito indice al comandante dell'esercito napoletano accorso, con sedicimila uomini, al fianco dei piemontesi nella spedizione in Lombardia. Quello, un calabrese di Squilla- ce che s'è fatto ventisette anni d'esilio, diventa una torcia, una pira, un Vesuvio. Sia chiaro: Guglielmo Pepe, un tipo che sembra impassibile in quanto scultoreamente immobilizzato, rivuole il suo dito. Ai giovani che la sera s'addensano e spumeggiano nella piazza liberata; alle mamme che ritornano a spingere le carrozzine su percorsi deaghizzati, la pretesa pepiana di rivolere il dito segnaletico sembrerà eccessiva. Però, ragioniamo. A Guglielmo Pepe che rischia la pelle per i piemontesi, che entra di diritto nel numero dei patrioti insigni del '48-49 a fianco di Manara e Garibaldi, Bassi e Mazzini, Manin e Mameli, e che a Torino muore addirittura due volte, la prima nel 1855 e la seconda, oltre un secolo dopo, investito e fatto a pezzi dall'auto d'un tossico dipendente, a questo non marginale uomo di spada e moschetto, non è stato offerto neppure il dono d'un cavallo. Egli non potrà mai dire come Lamarmora: il mio, vedete, è un monumento equestre! Dopo l'investimento, il generale ebbe come clinica il cortile d'un marmista nei pressi del cimitero e li, sotto una lacera coperta, trattato peggio di come l'avrebbe trattato Radetzky, attese il miracolo della ricostruzione. Non ci sono dubbi, Pepe è un uomo che ha sofferto. Meriterebbe un cavallo bianco. Si accontenta d'un dito. Che cosa si aspetta a riattaccarglielo? Gianni Ranieri l.a stallia con le dita mancanti in piazza Maria Teresa
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