Velàzquel i ii

Velàzquel i ii Velàzquel i ii ql rainos meraiia LO garantiva Manet, che come esperto del color nero non era secondo a nessuno: «Questo è forse il pezzo di pittura più scuro mai dipinto al mondo». Parlava di Velàzquez, ovviamente (anzi, nemmeno ovviamente, perchè tra Ribera, Goya, Caravaggio e Rembrandt la gara non era poi così già vinta in partenza). Ma è incredibile: appena ti trovi di fronte ad un Velàzquez, quale che sia, hai l'impressione che sia lui il più grande, il più geniale, il più «assoluto» pittore del mondo, o meglio, quello che ti apre lo sguardo, che ti fa accadere le «cose» mentre le guardi, come un formidabile prestigiatore, che «inventa» la pittura al davanzale squartato della tela. Che te la cuoce davanti al naso, odorosa di verità spesso mite e plebee, come la Friggitrice di Edimburgo, che è uno dei vertici LA MODSETTMarco di questa mostra dedicata al primo Velàzquez, quello di Siviglia, la città allora popolarissima (Madrid non era che un borgo) che diede i natali, cinque secoli fa, a questo mostro magnifico della pittura «del naturale». E così inarrivabile che, come spesso accade, gli officianti degli anniversari si sono trovati un po' in contrattempo sulle celebrazioni ed annunciano per il prossimo anno grandi manifestazioni. Ma quest'assaggio (oltre a una risistemazione più concertata al Prado della pittura spagnola coeva e a molte rassegnesatelliti sulla fortuna «incisa» del pittore), già tentato in parte da Edimburgo nel '96 risulta di assoluta magnificenza. Certo Velàzquez non conosce confronti: la pur sapiente e congegnata rassegna di Siviglia, che con un articolato preambolo storico introduce al STRA LLA MANA allora sancta santorum della mostra, rappresentato da non più di una ventina di capolavori assoluti del Sivigliano getta un'ombra sconfortante sui suoi predecessori (con l'eccezione forse di un'unica opera rilevante di Alonso Cano, suo compagno di bottega). Al punto che studiato cosi, a millimetrica distanza dai suoi antecedenti, Velàzquez risulta davvero quel meteorite sfolgorante venuto da un cielo impreparato su un terra pur coltivata e ricchissima, quale quella del Siglo de Oro, tra Calderon de la Barca, Cervantes e Lope de Vega: ma in pittura è davvero solo, drammatico gigante del dettaglio. «Troppo vero, troppo reale» pare che abbia osservato sgomento Innocenzo III da lui ritratto (troppo Bacon! potremmo aggiungere noi). Basta guardare la Colazione di Budapest: ma è impressionante! sono già i Giocatori di Cézanne, non nel senso che li preannunziano, li anticipano stilisticamente, che sarebbe banalità, ma letteralmente li contengono, stanno già li, annegati dentro il tessuto rivoluzionario della sua pittura. Velàzquez è davvero il serbatoio di tutte le modernità (avendo come compagno d'audacia, forse, soltanto El Greco). Guardiamo accanto il suo maestro Pacheco (di cui lui ci ha lasciato un ritratto tagliente e superbo) il confronto è perfido. Pacheco, trattatista esimio, poeta stentato ed offiziale dell'Inquisizione per garantire rispetto alle immagini sacre, come pittore, ancora succube alle regole ormai asfittiche del manierismo internazionale, è macilento di struttura, magro di colori, gracile d'ispirazione, tanto l'allievo è deciso, spavaldo. Ed anche senza troppi riguardi per l'autorità. Quando Re Filippo IV, secondo Palomino, il Vasari spagnolo, protestò contro il suo ritratto equestre e «bocciò adirato» gran parte della sua pittura, sostenendo che era contro le regole dell'arte lui fece intendere superbo che delle regole se ne impipava: «preferisco essere il primo pittore nelle cose grossolane, che il secondo in quelle raffinate». E lo mostrano per esempio i suoi evangelisti presi dalla strada, ma in un modo ancora diverso dal Caravaggio, che pure era uno dei pochi artisti cui guardava con interesse. Quel ragazzaccio bunueliano un po' truce del San Giovanni Evangelista, relegato nel riformatorio di Palmas, con l'adolescente peluria malandrina che gli smuove le labbra carnose in un rictus di sensualità mancata ed un sentore di denti guasti. Oppure, ancora, la fantesca che sta appunto per rimestare due uova nel paiolo di ceramica: e forse è cieca, perchè ha gli occhi invetriati perduti nel vuoto, mentre il garzone accanto a lei, appena uscito da una riga del Lazarillo de Tormes, disturbato dalla nostra intrusione, ci scruta con occhi diffidenti e maligni, pronto a versare l'olio, ma ancor più rapido, forse, nello stringere furtivamente a sè, perchè si cancelli dall'aria, una zucca sottratta alla cucina, prodigio ineguagliabile di natura morta. E sei tu che non puoi sottrarre lo sguardo, incatenato al miracolo della realtà. Quello che Pasolini diceva di Godard: «è lui l'inventore del cinema, lo fa nascere ogni mattina arrivando sul set». Velàzquez, in realtà non inventa nulla, lascia che sia la realtà ad accadere sulla tela, quasi fosse un fiore notturno che sbocci sui suoi neri di petrolio come un'immagine fotografica che si sviluppi in eterno, sulla pellicola immateriale dell'atmosfera dipinta. Altro che l'attimino delle presentatrici Tv. Qui è l'Attimo assoluto che :;i fa pittura, rapinosa meraviglia. Velàzquez Y Siviglia. Siviglia. Monastero de la Cartuja Orano 10-23. Chiuso mer Fino al 12 dicembre. FU IL PIÙ' GRANDE MAESTRO DEL '600 SPAGNOLO LA SUA PITTURA E' UN FIORE NOTTURNO CHE SBOCCIA SULLA TELA COME UN'IMMAGINE FOTOGRAFICA LA MODESETTIMarco V «La friggitrice», uno dei capolavori di Diego Velàzquez in mostra a Siviglia STRA LLA MANA allora