Febvre, un'Europa senza confini ma l'unità è un ideale da incubo

Febvre, un'Europa senza confini ma l'unità è un ideale da incubo Febvre, un'Europa senza confini ma l'unità è un ideale da incubo RECENSIONE Alessandro Barbero NELL'inverno del 1945, in ima Parigi appena liberata e ancora attanagliata dal freddo e dalla fame, mentre il cannone tuonava a poche centinaia di chilometri e le antiche città europee si consumavano nel fumo degli incendi, Lucien Febvre tenne un corso al Collège de France sulla formazione dell'identità europea. A sessantacinque anni, Febvre era il più grande storico vivente in Francia; il solo uomo che avrebbe potuto sottrargli quel titolo, Marc Bloch, fondatore insieme a lui della rivista Annales, era stato fucilato dalla Gestapo appena pochi mesi prima. Il testo di quelle lezioni, rimasto inedito, esce ora contemporaneamente in Francia, Germania e Italia. Benché sia trascorso più di mezzo secolo, il valore storiografico di questa sintesi coraggiosa, che comincia dai greci e finisce con Hitler, è ancora indiscutibile. Febvre ha la capacità di rimettere in discussione l'argomento fin dal punto di partenza: tutti noi impariamo a scuola che il mondo si suddivide in continenti? Ebbene, è un'assurdità, e non è certo il caso di essere riconoscenti ai greci per aver imposto al nostro pensiero, con motivazioni tutte teoriche e astratte, una nozione RECENAlessBar SIONE ndro ero che a ben vedere non vuol dire niente. Col risultato che ancor oggi ci trasciniamo dietro pseudo-problemi di cui potremmo fare a meno: niente di più insensato, anche per il geografo, dell'idea che l'Europa finisca agli Urali. L'Europa cui pensa Febvre non ha confini geografici, ma è ovunque gli uomini si riconoscano in un insieme di valori intellettuali, politici e religiosi che i loro antenati hanno faticosamente costruito nel corso dei secoli. Il che non vuol dire che questi valori non possano entrare in conflitto fra loro: per Febvre gli americani i cui soldati stanno liberando l'Europa dal nazismo sono europei a tutti gli effetti, ma è europea anche la Russia, anzi lo è ancora di più da quando s'è imbevuta di un'ideologia europea come il marxismo. Non c'è bisogno di ricordare quanto scandalose potessero apparire queste affermazioni, entrambe!, fra le macerie del 1945. E pazienza, allora, se l'Europa ai suoi occhi non si distingue sempre bene dalla Francia, l'unico Paese al mondo ad affacciarsi al tempo stesso sulle pianure del gelido Nord e sulle spiagge del Mediterraneo, e se nel presentare al pubblico parigino l'argomento del suo corso, gli scappa di parlare dell'Europa come di «questa nozione francese»: dopo tutto era un momento in cui l'amor proprio gallico aveva un gran bisogno d'essere rassicurato. Non so invece se tutti perdoneranno, in quest'epoca di politicai corrvirtness, l'inconscia superiorità con cui lo storico guarda a chiunque non sia europeo; per cui il suo Carlo Magno, al ricevere l'elefante o l'orologio meccanico mandati in regalo dal califfo Harun al-Rashid, «si stupisce, come si stupiscono i re negri di fronte a un fonografo o a una pistola». Non che gli asiatici se la cavino meglio, giacché se la guerra ha insegnato, fra altre tragiche lezioni, la rapidità con cui gli eserciti e gli aeroplani possono attraversare la minuscola Europa seminando morte e distruzione, il timore che ne nasce è di vederla fra poco «divorata dalle popolazioni brulicanti, dalle folle maleodoranti e prolifiche dell'Asia». Ma Febvre precorre il suo tempo con l'intelligenza, non con i sentimenti; e così, se denuncia l'illusione di chi pensa ad Algeri o al Cairo come a città europee (giacché anche questo era possibile e anzi naturale, nel 1945), è con angoscia e perfino con ribrezzo che adaiia )u folle «frementi e ostili» degli indigeni, pronte a spazzar via da quelle città la vernice europea. Non si tratta di rinfacciare a ilo storico d'essere stato uomo del suo tempo; ma piuttosto di misurare la profondità dei mutamenti che hanno trasformato la nostra sensibilità nel corso di questo ultimo mezzo secolo. La distanza tra il china intellettuale in cui operava Febvre e quello odierno raggiunge il massimo quando si sfiora l'ideale di un'Europa unita. Questa icona che nessuno, oggi, oserebbe mettere in discussione, per il vecchio maestro non è un sogno ma un incubo; giacché non gli sembra realizzabile se non con la sopraffazione. Non si è mai parlato tanto di Europa come in questi ultimi anni, osserva Febvre; ma chi ne parlava erano i nazisti, e le loro voci sembravano così poco europee! Giacché la vera Europa è quella delle nazioni, prima fra tutte, si capisce, la Francia; e la sua unificazione è soltanto un fantasma che nasconde il delirio della dominazione universale. Popoli innamorati della forza, come i tedeschi o gli italiani, hanno potuto marciare dietro quella bandiera, ma i francesi non potranno mai rassegnarsi a un'unità realizzata in questo modo, per pura disperazione, sotto l'egemonia di una nazione che sopraffa le altre: e perciò il vecchio storico ha una sola speranza, che quella parola d'ordine non si realizzi mai. C'è un'ironia nella storia, che può anche essere, come in questo caso, un'ironia benevola e perfino pietosa. Lucien Febvre ha speso una vita di storico per insegnarci, uri libri grandissimi anche quand'erano sbagliati (penso al Problema dell'incredulità nel XVI secolo'.), che ogni generazione è prigioniera del linguaggio e dell'attrezzatura mentale di cui dispone. Ora, proprio il senso di spaesamento che ci coglie ascoltando la sua voce rimasta sepolta per oltre mezzo secolo è la dimostrazione più convincente che aveva ragione. Fermo restando, si capisce, che anche l'ottimismo con cui noi guardiamo all'Europa unita, e che ci sembra così ragionevole, è in realtà l'esito d'un percorso obbligato; e chissà che cosa ne penseranno fra cinquant'anni. Nelle lezioni del '45 lo storico rifiutava l'idea di un mondo diviso in continenti, temeva il passato «delirio» di Hitler Lucien Febvre, in un ciclo di lezioni del 1945 tradotto da Donzelli, ripercorre la storia dell'idea di Europa dal Medioevo (qui sopra l'incoronazione di Carlo Magno) fino al '900 Lucien Febvre L'Europa. Storia di una civiltà traduzione di Adelina Galeotti, Donzelli, pp. XXVIII+340. L. 55.000 SAGGIO