«E' colpa di mio figlio, io non c'entro»

«E' colpa di mio figlio, io non c'entro» Dal carcere il giovane conferma: ho ucciso da solo i nonni, i miei sono innocenti «E' colpa di mio figlio, io non c'entro» //papà accusa il killer di Chiavari Brunella Giovara inviata a CHIAVARI «Io e mia moglie siamo innocenti». Nascosti dietro le persiane, Gianluca Morachioli e la moglie Pia urlano al vento che loro con il doppio delitto di Chiavari «non c'entrano». Chi ha fatto tutto è Simone, «e adesso mi ritrovo con un figlio assassino di mio padre, pensate voi come mi posso sentire». Ma il caso non è chiuso. Nonostante un ragazzo di vent'anni abbia confessato l'omicidio dei nonni, spiegando di aver fatto «tutto da solo», o assicurando che «i miei e la mia ragazza non c'entrano». I conti non tornano, in questa inchiesta partita alla grande con la scoperta di un complotto di famiglia, e ora ridotta ad un unico colpevole, un giovanotto che voleva fare il paracadutista - o il poliziotto, o il carabiniere -, e che si ritrova miseramente carcerato, lui e i suoi sogni. I genitori, ad esempio. Subito indicati dagli inquirenti come mandanti del delitto, poi rimandati a casa «perché sul loro conto non ci sono indizi di colpevolezza». E la ragazza - Sonia Franceschi, aspirante Miss - ancora detenuta nel carcere di Pontedecimo. Per alcuni, una sprovveduta piombata senza saperlo in una famiglia di mostri. Per altri, la chiave di tutto: ispiratrice del piano, spalla dell'assassino, complice in tutto e per tutto del fidanzatino Simone. Su tutto, l'eredità Morachioli: i miliardi accumulati negli anni dalle vittime, Silvano - detto «il Comandante» - e la moglie Nicoletta Nicolella, «la Preside», uccisi con dieci coltellate a testa dal nipote, giovedì scorso, a Chiavari. «Per evitare sorprese, ho chiesto il blocco dei beni», dice Massimo Bòggio, avvocato di parte civile per i Nicolella. Un mucchio di soldi, tra appartamenti, titoli e libretti, che avrebbero potuto risolvere i problemi finanziari dell'unico erede: Gianluca Morachioli, il papà di Simone. ' Un bel rebus, per il sostituto procuratore Margherita Ravera. Coordina indagini equamente divise tra polizia e carabinieri: gli agenti del commissariato di Chiavari hanno fermato la ragazza, i carabinieri hanno individuato e portato in caserma il giovane Simone. Perciò, procedono entrambi, e relazionano in parallelo al magistrato. Ufficialmente, collaborano. Di fatto, hanno idee diverse su come sono andate davvero le cose, nella famiglia Morachioli. Per la Questura, infatti, Sonia Franceschi sapeva tutto e faceva parte del complotto. Ha accopagnato il fidanzato almeno tre volte sotto casa dei nonni, ha partecipato a riunioni famigliari in cui si pianificava il delitto, si facevano schizzi della casa di corso Dante, si decideva come spartire il malloppo. Un ritratto di ragazza diabolica, che aveva bisogno di soldi per far bella figura in discoteca, e che avrebbe addirittura proposto agli amici del suo giro «un grosso affare, di quelli da guadagnarci su parecchio». Vero o falso, questo progetto non era piaciuto: «troppo rischioso, abbiamo capito che era una cosa poco pulita». Un omicidio? Gli amici del bar Nuovo Caracas rispondono in coro che «Sonia non è così. E' una ragazza tranquilla, con un solo problema: Simone, un tipo strano con la fissa dei para e delle macchine grosse». «Uno che diceva di avere un padre maggiore dei carabinieri, ma noi sapevamo che era solo una ex guardia giurata». Un tipo pericoloso? «Ma no, era solo un piccolo Rambo», dicono quelli della compagnia di Sonia. Sonia manca a tutti. Il giro del bar Nuovo di San Salvatore di Cogorno le ha persino trovato un alibi: «Al momento del delitto era Simone Morachioli. il ragazzo in carcere con l'accusa di aver ucciso i nonni con noi. Qui al bar, certo. Abbiamo gli scontrini delle consumazioni. E poi quel pomeriggio si è seduta qui, ai videogiochi. Lo dimostra la sua parola chiave, "So", che sta per Sonia». Ma Sonia ha raccontato di una sera, in macchina con i genitori di Simone, «si sono fermati tre volte, e ogni volta buttavano un sacchetto nel cassonetto. Mi hanno detto "dentro ci sono i suoi vestiti, sporchi di sangue"». E ha detto di una riunione «in cui dissero che bisognava far fuori i vecchi bastardi, che bisognava chiamare due sicari di Genova per sistemarli». Una ragazza troppo furba, o troppo scema? «Ho sempre pensato che scherzassero», ha ripetuto negli interrogatori. Di certo, comunque finisca questa storia, con gli amici del bar Nuovo Caracas che vorrebbero tanto «almeno una bella discoteca, qui in paese», lei non c'entra più niente. «Adesso io mi ritrovo genitore di un ragazzo che ha ucciso mio padre. Pensate come posso sentirmi»

Luoghi citati: Caracas, Chiavari, Genova, San Salvatore