E finalmente Veltroni sorrise
E finalmente Veltroni sorrise E finalmente Veltroni sorrise Primo giorno di sole dopo un anno al Bottegone personaggio RilppoGeccareliS FRA gioia trattenuta e sollievo dissimulato si è svolta ieri mattina alle Botteghe Oscure la conferenza stampa di Walter Veltroni. Quando il segretario Ds, con Mussi alla destra e Angius alla sinistra, si è seduto al di là del tavolo, di fronte ai banchi circolari della saletta al quarto piano del palazzone (ristrutturato, con ampie scale e corrimano in ottone lucente su ricchi intagli di travertino), insomma, Veltroni ha fatto una specie d'inchino, una piccola pausa e: «Intanto grazie per essere venuti». La cortesia della formula era accompagnata da un bel sorriso. Chissà quanti, lì dentro, compreso Veltroni, si ricordavano della copertina estiva - la illustrarono con foto i quotidiani del 30 giugno - che al leader aveva dedicato Tempi. Si vedeva lui con gli occhioni in basso, la bocca che pendeva e un'aria pallida che più abbacchiata di così non si poteva proprio. Lo «strillo», come si dice nel gergo dei periodici, e cioè la scritta, era da autentico sadismo bianco: «Sorridi, la vita è bella». Neanche a farlo apposta, appena cominciato a parlare, senza più sorridere, anzi con la sicurezza del bravo ragazzo che ha studiato, a Veltroni è capitato di far subito riferimento al passato - che come per tutti i cancerini è perenne croce e delizia. Nelle cinque vittorie di ieri, ba detto, «vedo la conferma delle scelte fondamentali di questo anno di lavoro». Il suo anno, appunto, senza sorrisi. Tutto questo per dire che allora, a differenza di oggi, il povero Veltroni aveva tutte le ragioni per essere triste. Era diventato segretario Ds senza averlo desiderato, e per la verità anche secondo logiche di graziosa concessione, con tanto di buffetto da parte di Massimo D'Alema. Poi, accolto con sospetto nel Bottegone, aveva dovuto sopportare tanto i sarcasmi sul tradimento all'Ulivo quanto le facezie di Palazzo Chigi sulla tempestività di viaggio dove? In Birmania. Quindi in cupa sequenza - e qui le cose erano già più concrete - c'erano stati lo . schianto beffardo dei referendum, il calo alle europee e* l'apocalisse a Bologna. Il ciclo - ed era arrivato un luglio infuocato - si era concluso, per modo di dire, con una bella litigata di palazzo con gli uomini dello staff dalemiano (Velardi e Minniti, senz'altro) e probabilmente con lo stesso D'Alema, per la prima uscita pre-elettorale sulle pensioni. La seconda - diabolicum perseverare nella previdenza - è dell'altro giorno. Ma adesso il risultato elettorale potrebbe perfino archiviarla. La vittoria alle suppletive ridimensiona in effetti certe asprezze e persino certe disperazioni veltroniane, i consiglieri «cinici» di D'Alema, i Ds definiti non solo «partito fragile e arrogante», ma anche pericolosamente simile «a quelli che combattevamo da giovani». Fino a quella specie di grido terminale, così inconsueto per uno prudente come lui: «O si cambia, o me ne vado». Bene, ieri s'è capito che Veltroni resta. Di nuovo ha richiamato il suo «anno di lavoro», ha risposto con divertita cortesia a un giornalista con crocifisso all'orecchino che per una rivista venezuelana ha voluto porre una domanda all'«homo cinematographicus» Veltroni, quindi ha lasciato con garbo la parola ai capigruppi Mussi e Angius, anche per non farli sentire troppo decorativi - ma questa è pura malizia da tedio conferenza stampa. Malizioso, per quanto di grande e benigna urbanità il bigliettino d'auguri che il segretario della Quercia ha inteso spedire per il compleanno della Velina rossa, la nota quotidiana, di acceso orientamento dalemista, che di recente l'aveva più di una volta preso di petto: «Vent'anni sono un traguardo bello e importante per qualsiasi organo d'informazione. Come sai - ha scritto al suo fondatore, dottor Pasquale Laurito - mi piacerebbe che il tuo fosse qualche volta - magari anche a dispetto della testata - un po' meno "velina". Ciò non m'impedisce di inviarti» eccetera. «Con amicizia» scritto a mano, con pennarello rosso. Laurito era tutto contento. Autentico barometro delle fibrillazioni tra il Bottegone e Palazzo Chigi, era lì a rendersi conto di persona di come, e quante volte, Veltroni abbia menzionato D'Alema, e il suo governo, che ora è più stabile; e la coalizione di centrosinistra, che verrà rafforzata; e «questo è merito del governo D'Alema»; e quest'altra «è una questione che riguarda il presidente D'Alema» e così via. Tanto è stato cortese Veltroni, con il presidente del Consiglio, che al termine della conferenza stampa, quando da un paio di domande s'è capito che volevano fargli dire qualcosa che l'avrebbe potuto mettere nei guai con D'Alema, ecco, sopra la sua testa, appollaiato tra i condizionatori e il simbolo Ds, è parso di scorgere un piccolo ectoplasma con i baffi, un dalemino perplesso, o comunque combattuto fra lo stupore e la diffidenza. Sui quotidiani di ieri, e cioè del primo giorno di sole dopo la notte oscura, tra le varie eventualità si dava conto di quella che proprio Veltroni potrebbe sostituire a Palazzo Chigi «zio Massimo». Come papà Walter lo chiamò con le sue bambine il giorno che D'Alema divenne, al suo posto, segretario del Pds. Walter Veltroni, segretario dei Democratici di sinistra
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