MOTORE ANGLO-FRANCESE PERL'EUROESERCITO di Aldo Rizzo

MOTORE ANGLO-FRANCESE PERL'EUROESERCITO OSSERVATORIO MOTORE ANGLO-FRANCESE PERL'EUROESERCITO Aldo Rizzo QUASI mezzo secolo dopo il fallimento della Comunità europea di difesa (1954), e dopo tanti rimpianti e ammissioni di colpa, e tentativi velleitari di riaprire il discorso, l'Europa finalmente sembra fare sul serio. Tra undici giorni, al vertice di Helsinki, dovrebbe essere firmato l'atto di nascita dell'Euroesercito: un corpo d'armata di 40-50 mila uomini (e circa un triplo di soldati coinvolti, per i turni e gli avvicendamenti), più i mezzi tecnici e logistici necessari. La nuova formazione militare dovrebbe essere mobilitabile entro 60 giorni, e capace di operare per almeno un anno, in missioni di pacificazione e di mantenimento della pace nelle aree di crisi del «teatro» europeo. Non è l'indipendenza dell'Europa dall'America (la Nato resta un'alleanza insostituibile), ma è un passo storico verso una dignitosa autonomia. Tutto ciò.è più vero dopo il vertice bilaterale franco-britannico di giovedì scorso a Londra, che ha gettato le basi concrete del progetto di difesa europea, tra quelle che sono le due maggiori, se non le sole, potenze militari dell'Ue. E questo è il fatto nuovo, come ha sottolineato Chirac: dopo il «motore franco-tedesco», prezioso finora per reahzzare l'unione economica e monetaria, c'è un «motore anglo-francese» per dare vita all'unità nel campo della sicurezza, e della politica estera. Lo si era capito già un anno fa, nell'altro vertice bilaterale di Saint-Malo, ora c'è un'accelerazione significativa (perché nel frattempo c'è stata una prova clamorosa della subalternità o insufficienza strategica dell'Europa, nella guerra del Kosovo). E dunque abbiamo un nuovo «asse» Parigi-Londra, dopo quello Parigi-Bonn? Sembra di sì. Per varie ragioni. Blair il pragmatico vede nelle questioni della difesa un ruolo europeo della Gran Bretagna che altrove non è ancora maturo e sa, nel contempo, che nessuno come lui può «garantire» gli Usa e la Nato. La Francia deve ancora farsi perdonare il fallimento della Ced, di cui porta le responsabilità maggiori. Sullo sfondo, c'è un dato ancora «intrattabile», ma pesante: Francia e Gran Bretagna sono entrambe nucleari, insieme possono essere l'embrione di una futura «forza di dissuasione» europea su scala mondiale. A questo punto, in sintesi, due problemi. I progressi verso l'identità militare europea possono essere sganciati da un quadro «istituzionale» comune? La risposta è no. Ma con un'aggiunta, subito: le spinte bilaterali sono realisticamente necessarie, e il quadro istituzionale, in base al Trattato di Amsterdam, prevede casi di «cooperazione rafforzata» di una parte dell'Ue, lasciando ovviamente la porta aperta ai ritardatari o agli agnostici. Il secondo problema riguarda l'Italia. Essendo uno dei Paesi «grandi», essa ha sempre contrastato assi e direttorii che la escludessero. Ma non ha mai fatto molto per esservi ammessa, come sarebbe stato suo pieno diritto. Ha preferito posizioni «generaliste», a volte utili, più spesso improduttive e retoriche. Ora ci sono tutte le condizioni per conciliare entrambe le scelte possibili: difendere il quadro comune e partecipare all'azione di spinta. Naturalmente, questo implica passare (completare il passaggio, per molti versi già in atto) dalle dichiarazioni ai fatti. Con gli onori, ma anche con gli oneri, conseguenti.

Persone citate: Chirac