Immensi rischi dietro il Millennium Round di Alfredo Recanatesi

Immensi rischi dietro il Millennium Round OLTRE LA LIRA Immensi rischi dietro il Millennium Round Alfredo Recanatesi IL grande ciclo di trattative commerciali che comincia oggi a Seattle con l'altisonante etichetta di Millennium Round si iscrive lungo la Linea di quelli che l'hanno preceduto e che hanno aperto la. porta alla globalizzazione degli scambi, il Tokyo Round e l'Uruguay Round. Ma avrà un carattere e scopi molto diversi, e non solo perché oggetto delle liberalizzazioni ancora da compiere sono soprattutto beni immateriali - diritti, servizi, cultura, informazioni, commercio telematico - piuttosto che i ben più percettibili beni fisici e capitali con i quali si è avuto a che fare finora. Lo scopo del Millennium Round è principalmente la introduzione di un riordino; di ima qualche disciplina del processo di globalizzazione che si va sviluppando con ritmi ed effetti sempre più tumultuosi e dirompenti. Fino a due o tre anni fa, chi andava sostenendo l'esigenza di disciplinare i processi di liberalizzazione voluti dalle scelte politiche e imposti dal progresso delle comunicazioni veniva tacciato di arretratezza, di oscurantismo o, nella migliore delle ipotesi, di ingenuità. La tesi di gran lunga prevalente era quella dell'ineluttabilità di quei processi e della conseguente necessità di adattarvisi senza la pretesa di potervi resistere o anche soltanto di poterli modificare. La diffusione di queste tesi è stata favorita sia dagli interessi di grandi gruppi industriali e finanziari (americani, soprattutto: la storia insegna che il Paese all'avanguardia del progresso tecnologico issa la bandiera del liberismo su un pennone più alto degli altri), sia soprattutto dalla circostanza che le altre potenze economiche del mondo erano in tutt'altre faccende affaccendate (l'Europa nel risanamento finanziario propedeutico all'avvio della moneta unica e il Giappone alle prese con la più inestricabile delle crisi deflazioniste) per impegnarsi in una qualsiasi azione di recupero dello spazio che veniva sottratto alla politica. Perché di questo, in realtà, si tratta. Così come si è affermata finora, la globalizzazione sta unificando in un mondo solo tanti mondi tra loro diversi non solo e non tanto per il livello di sviluppo e di reddito, ma per cultura, tradizioni, religione, valori civili; mondi ciascuno dei quali ha proprie scale di priorità attorno alle quali si aggrega il consenso e sistemi politici funzionali per perseguirle. Sono posti in diretta competizione sistemi economici nei quali è possibile produrre con bassi costi del lavoro, bassissimi costi della sicurezza e della protezione sociale, bassissimi o addirittura nulli costi della tutela ambientale, con sistemi economici nei quali i costi incorporano non solo e non tanto un maggiore valore economico attribuito al lavoro, ma i costi della solidarietà sociale, della sicurezza, della preservazione dell'ambiente e di tutto quanto costituisce il risultato del progresso civile maturato in secoli di storia. Sono poste in diretta competizione popolazioni di mentalità confuciana, nelle quali l'individuo è portato ad anteporre all'interesse personale di se stesso quello della propria collettività di appartenenza, a sistemi nei quali, per contro, il benessere economico e sociale dei singoli costituisce il fine idtimo dell'attività economica e della gestione politica. In questo modo la libertà dei commerci, che pure attraverso una nuova e più efficiente divisione internazionale del lavoro è suscettibile di produrre un generale innalzamento dell'efficienza dell'intera economia mondiale, configge con il consolidato principio secondo il quale ogni comunità nazionale ha il diritto di autogovernarsi attraverso metodi e procedure democratiche, E' il conflitto che si concreta nella sintetica constatazione della sottrazione di potere che il mercato opera ai danni delle istituzioni democratiche di ciascun Paese. Dirimere questo conflitto è impresa tutt'altro che semplice. Il problema è dato non solo dalla diversa sensibilità con la quale gli stessi Paesi sviluppati lo avvertono - massimo nell'Europa continentale, di tradizioni umanitarie e solidariste, ma già più blando negli Stati Uniti e nel Regno Unito -, ma anche dall'ambiguità stessa del concetto di protezionismo sulla cui condanna tutti convengono, ma senza alcun accordo sulla sua accezione: nessuno ritiene lesivo della libertà degli scambi un embargo dei prodotti la cui produzione si avvalga di lavora minorile, ma già quando si tratta di formulare standard di protezione sociale o di tutela dell'ambiente il disaccordo è massimo. E' già un passo avanti, tuttavia, che di questi problemi si cominci a parlare e che, comunque, cominci a farsi strada la consapevolezza della necessità di regolare un processo che ha già dimostrato le sue immense potenzialità, ma anche gli altrettanto immensi rischi che comporta se rimarrà affidato esclusivamente alle forze del mercato, ossia a chi sul mercato è più forte. ?P'ù

Luoghi citati: Europa, Giappone, Regno Unito, Seattle, Stati Uniti, Tokyo, Uruguay